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La ricreazione è finita? Forse; ma bisogna vedere per chi

di Francesco Lamendola - 30/10/2008


 

Commentando, con ostentata soddisfazione, l'approvazione del decreto Gelmini sulla scuola da parte del Parlamento, che lo ha trasformato in legge dello Stato, il capogruppo leghista Federico Bricolo ha commentato lapidariamente: «La ricreazione è finita».
Invidiamo la sua sicurezza e il suo ottimismo; quanto a noi, confessiamo di avere dei dubbi circa il soggetto al quale si debba applicare quella frase.
La ricreazione è finita, dunque. Ma per chi?
Evidentemente, c'era qualcuno che stava prolungando la propria ricreazione da troppo tempo, e che ora sarà costretto a rimettersi a lavorare per davvero.
Benissimo: che ci fossero dei fannulloni impenitenti nella società italiana, era una sensazione largamente diffusa nell'opinione pubblica; e, se costoro saranno costretti a rimboccarsi le maniche e a riprendere il lavoro in maniera più seria, nessuno avrà a dolersene.
Ma chi sono questi fannulloni, che hanno fatto festa un po' troppo a lungo?
Dal punto di vista logico e linguistico, si direbbe che l'onorevole Bricolo alludesse agli studenti. Non tutti, ovviamente: solo i fannulloni; cioè, si presume, quelli di sinistra, che scioperano troppo spesso, invece di rimanersene in classe a studiare.
Oppure sono i parlamentari del centro-sinistra?
Sì, forse l'onorevole alludeva a loro. Ma in che cosa sarebbe consistita la loro ricreazione? Oppure non era la loro ricreazione, ma quella cui avevano autorizzato, indebitamente, l'attuale generazione studentesca?
Ciò sarebbe in sintonia col Berlusconi-pensiero: dietro le manifestazioni studentesche c'è la regia della sinistra, che ha ingannato i meschinelli, mandandoli sulle barricate senza raccontargliela giusta circa le riforme del centro-destra.
Oppure ancora, il soggetto della frase sono i professori, i quali - per dirla con il ministro Brunetta - essendo lavoratori a part-time, sono pagati già fin troppo bene (stipendio medio di un insegnante italiano: la metà di un collega tedesco, francese o inglese, con una pari anzianità di servizio), eppure hanno l'impudenza di protestare contro i "tagli" alla scuola?
Quarta possibilità: i fannulloni in eterna ricreazione potrebbero essere gli intellettuali (di sinistra), i giornalisti (di sinistra), e magari anche le lobby delle Case editrici (di sinistra pure quelle?): tutta gente contraria per principio a tagliare sprechi e privilegi, perché abituata a predicare un Sessantotto permanente, unico modo di difendere le loro sinecure, ovviamente corporative.
Insomma, da quando il ministro Brunetta ha lanciato la sua campagna moralizzatrice contro le assenze ingiustificate (a dispetto del fatto che nel suo governo vi siano dei personaggi con due, tre o quattro incarichi istituzionali, tutti regolarmente stipendiati dallo Stato o dagli Enti locali), si respira un clima propizio alla caccia alle streghe; tant'è vero che la campagna moralizzatrice è partita, come è giusto, dal basso e non certo dall'alto.
Del resto, come parlare di buon esempio da parte di senatori e deputati, visto che un così gran numero di lorsignori hanno rilevanti conti in sospeso con la giustizia, specie per reati di tipo fiscale e amministrativo?
Quando mai: da noi, si sa - nel Bel Paese dell'«armiamoci e partite», la caccia ai fannulloni e a coloro che mungono le casse dello Stato deve partire dai postelegrafonici e dagli insegnanti, i quali sono, notoriamente, le sanguisughe del pubblico erario.
Non dai manager che se ne vanno con buonuscite da capogiro per essere stati così bravi da mandare in bancarotta aziende che erano state floride e ben quotate in Borsa.
Non dai primari ospedalieri che operano i pazienti della mutua dopo mesi e mesi di attesa, ma nel giro di ventiquattro ore i pazienti paganti; sempre, beninteso, usufruendo delle strutture sanitarie pubbliche, ossia finanziate proprio da quegli stessi pazienti i quali, così, pagano due volte le prestazioni ricevute.
Non dai dentisti che intascano duecento euro per una visita di controllo di quindici o venti minuti, ma poi denunciano un reddito annuo inferiore a quello di una maestra d'asilo o di un operaio di fabbrica.
Non dai baroni universitari che non si fanno mai vedere in facoltà; che non sanno neanche che faccia abbiano i loro studenti; ma che, una volta divenuti ministri o viceministri, si improvvisano giustizieri della pubblica fannulloneria e paladini della crociata contro sprechi inammissibili e medievali privilegi.
Non dalle più alte cariche dello Stato le quali, al contrario, si preoccupano in primo luogo di blindare la loro intoccabilità, varando delle leggi ad hoc che le mettono al riparo dalle assurde pretese di qualche Fouquier-Tinville di provincia, di qualche Viscinskij in sedicesimo, di tradurli in tribunale come si fa con qualunque altro cittadino in odore di corruzione o concussione.
Non dai banchieri che investono i sudati risparmi dei loro clienti in operazioni spregiudicate e perdenti; e, poi, vengono premiati dallo Stato, che corre in soccorso dei loro istituti traballanti: oh, per carità, per tutelare gli interessi dei cittadini, mica per amor loro!
Non dai furbetti del quartierino, dai bancarottieri di professione, dagli imprenditori che non hanno mai creato un posto di lavoro in tutta la loro vita, ma che continuano a ricevere finanziamenti a pioggia di pubblico denaro per le loro fabbriche fantasma - che, se pure esistono, di certo non si trovano dove dovrebbero essere, ma in qualche angolo della Romania o dell'Ucraina.
Non dagli imprenditori che hanno più familiarità con i titoli di Borsa che con i mattoni o il cemento; che viaggiano sugli yacht battenti la bandiera di Panama, per non pagare un euro di tasse; che mettono i loro onesti capitali in qualche banca compiacente del Lussemburgo o delle Isole Cayman; che al fisco italiano risultano, a volte, del tutto sconosciuti, cioè evasori totali.
E nemmeno dai senatori e deputati che si aumentano lo stipendio ad ogni nuova legislatura; che utilizzano gli aerei militari per godersi in trasferta la partita di pallone; e le cui scorte alle auto blu, alle ville e agli yacht, ci vengono a costare più della legge sul macinato, nello stesso tempo che distraggono le forze dell'ordine da compiti ben più seri e urgenti nell'interesse della comunità nazionale, come la lotta alla criminalità organizzata.
O dai membri del governo che se ne vanno in visita ufficiale all'estero con uno stuolo di mogli, mariti, parenti, amici e amici degli amici, cuochi, camerieri, sarti, truccatori, parrucchieri, autisti, massaggiatori, medici, fisioterapisti, segretari, portaborse, sedicenti tecnici ed esperti d'ogni tipo, per non parlare del loro guardaroba diplomatico: il tutto a spese della Seconda Repubblica che, come è noto, è succeduta, onesta e laboriosa, alla corrotta Prima Repubblica di Tangentopoli, Calciopoli e Vallettopoli.
No di certo: si comincia dai postelegrafonici e dagli insegnanti.
E va bene: si dovrà pur incominciare da qualche parte.
Però, come ricreazione, lasciateci dire che è stata ben magra, quella dei pubblici impiegati, a paragone delle categorie sopra elencate.
Pazienza: ciascuno se la spassa come può, secondo i propri mezzi.
Ma, per tornare al decreto sulla scuola, non vorremmo che alla ricreazione facesse seguito un mattatoio, come lo abbiamo visto - per restare in tema - preso la scuola "Diaz" di Genova, all'epoca del famigerato G8 , quando il sangue dei ragazzi pestati nel sonno era schizzato fin sulle pareti.
C'è un clima non bello, da quando vari esponenti del governo hanno annunciato che la polizia non farà sconti agli studenti in vena di protestare.
Speriamo bene; ma gli incidenti di stamani, 29 ottobre 2008, a Roma e a Milano, non sono un segnale molto rassicurante.
Intendiamoci: vi sono cose apprezzabili - secondo noi - nel decreto Gelmini sulla scuola; cose che solo la più sfrenata demagogia potrebbe rifiutare in blocco.
Ma il punto è un altro.
Il punto è che il governo Berlusconi ha cercato di contrabbandare come una riforma della scuola un taglio astronomico delle risorse ad essa destinate.
E a noi, che nella scuola lavoriamo da trentadue anni (non in una cattedra universitaria dove gli studenti ci possono vedere solo col cannocchiale, due o tre volte l'anno, se va bene) sappiamo che essa è ormai sull'orlo del collasso, anche per mancanza di mezzi finanziari. Tagliare gli sprechi, va benissimo: ma formare classi di trenta e più studenti non è precisamente una operazione anti-spreco. È la morte della didattica: di quel poco, di quel pochissimo di didattica che ancora si fa nella scola italiana, nonostante il fiume di chiacchiere che la sta travolgendo da ogni parte.
Quanto al costo dei libri di testo, ci sia permessa una semplice, quasi banale considerazione.
Si dice che i libri costano troppo; ed è vero. Ma poi le famiglie non battono ciglio quando si tratta di mandare i propri figli in gite scolastiche (pardon, in viaggi d'istruzione o, addirittura, soggiorni culturali) da cui tornano senza aver imparato niente di niente, e in cui bruciano, anno dopo anno, somme triple a quelle necessarie per l'acquisto dei libri di un liceo per l'intero corso di studi. E i libri sono un bene che rimane, non un bene di rapido consumo.
La spesa totale per l'acquisto dei libri di testo, in una prima superiore, si aggira sui trecento euro: una gita di sei giorni a Londra o a Parigi, che non servirà neanche per imparare un po' di lingua, può costare - tutto compreso - anche più di ottocento euro. E ci sono molte famiglie che hanno due o tre figli che vanno a scuola contemporaneamente…
Poi ci sono le settimane bianche per i corsi di sci; i corsi di vela o di chissà che altro: e, intanto, i ragazzi che non hanno i soldi per frequentarli, devono venire a scuola, mentre i loro compagni se la spassano a Cortina o alle Isole Eolie. Alla faccia dei valori educativi.
Basta con la demagogia, dunque: e, quando si parla di tagliare gli sprechi, cominciamo col tagliare spese assurde di questo tipo.
Anche alle scuole, del resto, un viaggio all'estero costa un occhio della testa, per via della missione dovuta ai docenti accompagnatori. Poi, però, non ci sono i soldi per le supplenze: e si va avanti per giorni, settimane e mesi con le uscite anticipate o, peggio, con le ore di "studio autonomo", cioè, per parlare la lingua dei comuni mortali, con le classi totalmente abbandonate a se stesse.
Perciò, cari signori del Palazzo, se volete tagliare una cifra miliardaria al budget (che è già da Terzo Mondo: e i risultati si vedono) della scuola pubblica: ebbene, fatelo; ma abbiate il coraggio e la decenza di chiamare le cose con il loro nome, e non di camuffarle da riforme.
Quanto al fatto, poi, che avete pensato bene di porre la fiducia, per evitare qualunque discussione in Parlamento: ebbene, fate anche questo (già lo avete fatto): ma per favore, non parlate di volontà di dialogo e non lamentatevi ogni minuto di avere a che fare con una opposizione sovversiva.
Voi neanche sapete, che cosa sia l'opposizione: non vi viene neppure in mente che essa è il sale della democrazia,.
Per voi, l'opposizione è un fastidio: in Parlamento, nelle strade, sulla stampa: dovunque.
Il vostro ideale sarebbe una opposizione che dicesse di sì a tutto, che vi desse sempre ragione. Sempre, anche quando vi fate le più spudorate leggi ad personam.
Ed è vero che, in linea di massima, l'opposizione italiana (non questa di ora, ma l'opposizione in quanto tale: di destra o di sinistra) è faziosa, corporativa, demagogica.
Questo è il dramma del nostro Paese: la totale mancanza di serietà e di credibilità di tutta la classe dirigente, dunque dell'intera classe politica.
Un tempo avevamo l'arroganza democristiana e il settarismo comunista; ora abbiamo l'arroganza berlusconiana e il settarismo veltroniano.
Sembra di vedere un brutto film; un film già noto.
Un film che qualche sadico regista, specializzato nel genere horror, ci fa vedere all'indietro: come se il tempo, in Italia, corresse all'incontrario.
Cosa direbbe un astronauta di ritorno dallo spazio, dopo un'assenza di dieci o venti anni, vedendo queste facce, queste leggi, queste sceneggiate?
Noi crediamo che direbbe: «Okay, ragazzi; abbiamo scherzato abbastanza. Ora mettete via questi  fotomontaggi, sbarazzate queste quinte di teatro e mostratemi com'è la società italiana oggi, veramente. Forza, smettetela di prendermi in giro.»
Povero astronauta, vittima di uno scherzo del destino peggiore di quello riservato ai suoi colleghi di  «2001, Odissea nello spazio».
Crediamo che, se potesse, si affretterebbe a rientrare nella sua navicella spaziale: ma col biglietto di sola andata.