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L'attualità di Mattei

di Claudio Moffa - 30/10/2008

Fonte: mastermatteimedioriente

MATTEI, L’ “IMPRENDITORE ERETICO”

Cominciamo dalle fondamenta, che è allo stesso tempo cronaca dei nostri giorni,

l’economia mondiale in crisi, la rovina di tantissimi lavoratori e famiglie, i timidi o difficili

tentativi di reazione del capitalismo industriale produttore di ricchezza reale, ai contraccolpi

borsistici della finanza transnazionale. Una dialettica oggi forte e eclatante, dopo che alla svolta

del secolo il rapporto fra capitale industriale e capitale finanziario ebbe raggiunto il gap di 1 a

10, ma vecchia quasi quanto il capitalismo e già esistente al tempo di Enrico Mattei: figura

eccezionale – il fondatore e presidente dell’ENI - di capitalista di stato, sostenitore del sistema

misto pubblico-privato, produttore come pochi capitani d’industria italiani di “ricchezza reale”

per il benessere e lo sviluppo del suo paese: a cominciare, ma non solo, dalla metanizzazione

dell’apparato produttivo nazionale

Come si collocava Enrico Mattei rispetto a questo allora sotterraneo confronto fra due

mondi che solo certo schematismo “marxista” può ridurre ad una monolitica realtà? Disegnando

le storie parallele e antagoniste di Raffaele Mattioli e Enrico Cuccia, Giancarlo Galli così

inserisce nel suo
Il Padrone dei Padroni. Enrico Cuccia, il potere di Mediobanca e il

capitalismo italiano, la vicenda Mattei e il capitolo oscuro della sua morte, il 27 ottobre 1962:«

Qualunque sia stata la causa della sua morte, fra i “nemici” si collocava, in primissima fila,

lo gnomo di via Filodrammatici (…) Fu a cena da Enrico Mattei... che sentii per la prima volta

nominare Enrico Cuccia… disse Mattei: “È molto bravo, sa dove vuole andare, e bisognerà

fare i conti con lui. Se passa ci distrugge... Qui stanno le divisioni di Cuccia: i francesi, gli

americani, i tedeschi, gli ebrei...” Baldacci
[direttore del “Giorno”] fece presente che “è uomo

di Mattioli, un amico”; al che Mattei scosse la testa, con un “ne riparleremo” pieno

d’irritazione”
» 1.

Due mondi e due visioni del mondo diversi, quelli del finanziere laico e azionista Cuccia

e dell’imprenditore cristiano e democristiano Mattei: da una parte Cuccia con la sua morbosa e

calvinisteggiante bramosia per il Denaro – per lui «
il danaro è numero, e nei numeri risiede lageometria cosmica del potere…» 2 - e col suo progetto totalitario teso al «primato della finanza

e del suo supercapitalismo sulla politica, evitando gli errori del comunismo e del keynesismo o

capitalismo statalistico
» 3. Un Cuccia proiettato sul piano internazionale per il tramite del

Gruppo Lazard, la grande banca dell’ ‘anticomunista viscerale’, masson-socialista e radicale

ebreo francese André Meyer.

Dall’altra Mattei, amico di Nasser e alleato “organico” del mondo arabo e islamico

mediorientale; alieno alla sudditanza prona ai circoli finanziari ebraici dei suoi tempi

1 Giancarlo Galli, Il Padrone dei Padroni. Enrico Cuccia, il potere di Mediobanca e il capitalismo italiano, Garzanti,

Milano 1995, pag. 80

2 Idem, p. 41.

3 http://www.doncurzionitoglia.com/mattiolcuccia.htm.

2

ricordatigli dal sottosegretario agli Esteri Folchi in una lettera del 1957 4, in modo non dissimile

dai suoi coevi Eisenhower, come lui in contrasto con Israele durante la crisi di Suez del 1956; e

forse Kennedy, con cui non a caso Mattei avrebbe dovuto incontrarsi se non fosse stato ucciso

un anno prima dell’attentato di Dallas; fascista “rivoluzionario”, il diciottenne Enrico, ma poi –

dopo essere diventato imprenditore e aver conosciuto a Milano gli ambienti cattolici antifascisti

di Boldrini - comandante partigiano durante la Resistenza, stimato dal comunista Luigi Longo.

Mattei patriota convinto in un’epoca in cui il termine “patria” era tabù; edificatore di una

impresa che aveva al suo centro sia un’idea di lavoro per la creazione di ricchezza reale, sia il

fattore umano: “gli uomini”, come ci ricordano i filmati sull’attività dell’ENI da lui voluti e

come sanno bene i suoi ex collaboratori ancora memori del suo carisma e della sua carica

umana. Mattei, infine, che all’opposto dell’elitario Cuccia, una delle eminenze grigie di

Tangentopoli, era stato fra i protagonisti indiscussi della costruzione della democrazia

parlamentare repubblicana fondata sui partiti di massa e sulla effettiva partecipazione del

popolo alle vicende politiche nazionali.

Oggi quel mondo è pressoché scomparso, con la fine del bipolarismo sul piano

internazionale e, su quello interno, con Tangentopoli e l’abbandono del proporzionale, due

eventi-processi sorretti dalle micidiali campagne di stampa del “centrosinistra finanziario”:

eppure proprio per questo l’eredità di Mattei resta forte e suona come un monito, un esempio

utile – certo in una situazione storica radicalmente diversa - su come affrontare l’attuale crisi

“di sistema”.

Qualcuno ha evocato il 1848 per spiegare le agitazioni di questi giorni: non so nulla delle

specifiche argomentazioni del paragone – non ho letto gli articoli di riferimento - ma comunque

l’evocazione-confronto è per metà vera e per metà fuorviante: vero il confronto, perché oggi è il

mondo della finanza e dell’economia borsistico-virtuale a minacciare le fondamenta di quella

reale, composta di parti differenziate e fra sé anche fisiologicamente conflittuali, ma comunque

entrambe sottoposte
hic e nunc alla supremazia e all’anarchia distruttrice del capitale bancariofinanziario.

Come appunto accadde nel 1848 descritto mirabilmente – per quel che riguarda la

Francia di Luigi Filippo controllata dalla finanza dell’epoca – da Marx nel suo
Le lotte di

classe dal 1848 al 1850 in Francia: una raccolta di articoli pieni di strali feroci ed “estremisti”contro “l’aristocrazia finanziaria” salita al potere con Luigi Filippo nel 1830

5; contro “la

dinastia Rothschild”; contro gli speculatori di borsa parassitari che non erano altro secondo

Marx che «
la riproduzione del sottoproletariato alla sommità della società borghese» (come

dire – secondo la drastica categorizzazione di Marx - la parte delinquenziale della borghesia); e

con la sia pur temporanea fotografia, nel libello di Carlo Marx, di «
un compromesso tra lediverse classi» come base dell’abbattimento del trono di Luigi Filippo nella rivoluzione di

febbraio del 1848: proletari e borghesi produttori, insomma, uniti contro la cricca dei parassiti

di Borsa che, speculando e usando a loro profitto il debito costante dello Stato 6, minavano la

4 Claudio Moffa, Dalla guerra di Suez all’attentato di Bascapé: l’ombra di Israele sul “caso Mattei”, in AA.VV:

Enrico Mattei. Il coraggio e la storia, a cura di Claudio Moffa, Roma 2007.

5 «Dopo la rivoluzione di luglio il banchiere liberale Laffitte, accompagnando il suo compare, il duca di Orléans, in trionfo all'Hôtel de Ville, lasciava cadere queste parole: "D'ora innanzi regneranno i banchieri"». E’ l’inizio de Le Lotte

di classe in Francia dal 1848 al 1850 di Marx..

6 «L'indebitamento dello Stato era, al contrario, l'interesse diretto della frazione della borghesia che governava elegiferava per mezzo delle Camere. Il disavanzo dello Stato era infatti il vero e proprio oggetto della sua speculazione e

la principale fonte del suo arricchimento. Ogni anno un nuovo disavanzo. Dopo quattro o cinque anni un nuovo

prestito offriva all'aristocrazia finanziaria una nuova occasione di truffare lo Stato che, mantenuto artificiosamente

sull'orlo della bancarotta, era costretto a contrattare coi banchieri alle condizioni più sfavorevoli. Ogni nuovo prestito

3

ricchezza reale prodotta dal lavoro francese co-creato - in una dialettica interna comprensiva

anche di vessazioni e dunque conflitti - da lavoratori e capitalisti.

Ma è falso e fuorviante, il confronto fra oggi e il 1848, per quanto appena detto: e cioè non solo

perché di opposizione “proletaria” almeno per ora non se ne vede granché, ma anche perché sul

piano soggettivo la protesta giovanile odierna rischia di essere strumentalizzata proprio dagli

eredi del XXI secolo di quel milieu finanziario – vera causa della crisi attuale - contro cui Marx

giovane nel libello appena citato - scritto vent’anni prima delle ben diverse teorizzazioni de
IlCapitale (il cui paradigma è tutto rivolto contro la borghesia industriale, fino alla assurda

marginalizzazione delle figure del banchiere e del commerciante a meri “commessi” del

capitano d’industria: teoria, anche all’epoca, ben opinabile) - scagliava i suoi strali infuocati.

C’è già chi – ma non è Armani o Valentino – vuole mettere il vestito d’ordinanza al movimento

di protesta studentesco: con rigida esclusione della kefiah, ovviamente
7.

Ora, rispetto alla dialettica odierna fra economia reale e economia bancario-finanziaria –

contornata e operante da assetti istituzionali e tecnologici assolutamente diversi rispetto a quelli

dei tempi di Mattei: dai comizi all’era informatica, dai partiti di massa ai partiti “leggeri” che

sopravvivono senza “sezioni popolari”, solo grazie allo strapotere dei grandi mass media – non

c’è alcun dubbio che oggi il fondatore dell’ENI sarebbe per il compromesso interclassista fra le

classi produttive minacciate dal mondo della finanza “selvaggia”. Un compromesso che

riecheggia indirettamente nella diffidenza di Mattei verso Cuccia e del quale comunque fu

esempio significativo l’azienda ENI: i cui ex collaboratori di Mattei hanno sempre sottolineato

lo spirito di impresa come sua linfa vitale, la coscienza di lavorare a qualcosa di grande e

importante per il bene del paese, secondo costanti suggerimenti dal suo presidente: con dirigenti

che si sobbarcavano volentieri impegni e riunioni extraorario senza pretendere gli esosi stipendi

d’oro dei loro attuali eredi: animati da un ideale produttivistico che oggi cozzerebbe con le

pietose esaltazioni del non sviluppo alla Latouche o con i miti infausti e neoconservatori

dell’estremismo ecologista.

Una visione dell’impresa e del rapporto lavoratore-dirigente d’industria, quella di Enrico

Mattei, che lo accomunava all’epoca a un altro grande industriale suo coevo, anche lui

promotore di una cultura industrialista e allo stesso tempo umanitaria: l’ebreo Adriano Olivetti

– con cui Mattei ebbe ottimi rapporti – grande dirigente di una azienda che allora era

all’avanguardia nel panorama dell’industria italiana, con i suoi prodotti eccellenti a cominciare

dalla mitica Lettera 22, e con la sua “filosofia” d’impresa capace di rispetto vero per i

lavoratori.

Epoche storiche radicalmente diverse, dal 1848 agli anni Sessanta del secolo scorso, ad oggi:

ma comunque sottese dalla stessa dialettica fra capitalismo industriale e capitalismo

finanziario”puro” che sembra continuare ancor oggi, almeno in parte, o almeno in Occidente,

secondo “medesimi” protagonisti: con la vicenda Fazio ad esempio, il governatore della Banca

d’Italia accusato anche lui di essere un po’ come Raffaele Mattioli 8, ma sul versante della

era una nuova occasione di svaligiare il pubblico …». Carlo Marx, Le Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850,

prefazione di F. Engels, Uffici della Critica Sociale, 1896 – Milano, Feltrinelli Reprint, s.d., p. 25-26.

7 Così Repubblica in un suo articolo di cronaca sul modo di vestire degli studenti in rivolta di qualche giorno fa: non è

la prima volta che il quotidiano di via Colombo descrive o per meglio dire diffonde le “regole” del modo di vestire dei

movimenti di protesta: anni fa fu la volta dei “girotondini” di Nanni Moretti.

8Giancarlo Galli, Il Padrone dei Padroni. Enrico Cuccia, il potere di Mediobanca e il capitalismo italiano, Garzanti, Milano 1995, p. 41: «gestire una grande banca... è un’incombenza faticosa e persino ingrata. Per lui, legato alla

cultura classica, il denaro è semplicemente un mezzo (e nemmeno troppo nobile) per realizzare delle cose».

4

“finanza bianca” del filone Sindona-Calvi, un banchiere “eretico”, alieno all’estremismo di un

principio usurario concepito come dogma: e per questo non a caso avversato – al di là di altri

scontri secondari – da Cuccia finché fu un vita; dall’ “anglo-olandese” Abn Amro, che egli

cercò di contrastare con l’operazione Antonveneto; da
Il Corriere della sera, che rimarcò

l’assenza di provvedimenti contro il Direttore della Banca centrale da parte del governo

Berlusconi …

La collocazione di Mattei è dunque chiara: si ritrova contro Cuccia e le sue proiezioni

internazionali, a loro volta interne al più vasto mondo della finanza “laica” mondiale. Per lui, il

denaro non può essere obbiettivo, ma deve strumento per costruire il benessere del paese; per

lui la “patria” è valore positivo – se intesa dentro il quadro della democrazia internazionale e del

rifiuto del colonialismo – e non «
lo lascia freddo, ciò che conta sono le classi superiori... »come accadeva al presidente di Mediobanca 9 . Una dialettica sotterranea – quello fra borghesia

produttiva o bancario-produttiva e borghesia speculatrice parassitaria della ricchezza reale -

spesso non compresa al momento giusto né dai giornalisti – come lo stesso grande Baldacciprima citato – né dai politici («

Cuccia rassicurava l’intero arco costituzionale: gli americani,

dato il suo passato resistenzial-azionista, i comunisti che lo ritengono una “longa manus” diMattioli, la DC e De Gasperi, data la sua amicizia col cardinale Spellman

» 10) e tenuta

nascosta fino a quando è necessario, come nel caso del conflitto Cuccia-Mattioli svelato da

Eugenio Scalfari dopo la morte del presidente della Comit nel 1973
11. Una dialettica che

sembra accomunare la fine di Mattei a quella di altre personalità del mondo economico italiano

entrate in rotta con lo “gnomo” di Mediobanca, l’alleato di Meyer e del gruppo Lazard:

«
Sindona considera il presidente di Mediobanca come uno dei peggiori nemici - scrive ancoraGiancarlo Galli - … Le cronache dell’affare Sindona (a partire dagli inizi degli anni Settanta

sino alla morte, causata da una tazzina di caffè avvelenato, nel supercarcere di Voghera nel

marzo 1986) restano… tuttora avvolte in una pesante coltre di nebbia. Esattamente come era

accaduto per “l’incidente” aereo di Enrico Mattei, e come accadrà per l’impiccagione di

Roberto Calvi… Resta la considerazione che il destino ha sempre assegnato ai “grandi nemici”

di Enrico Cuccia: una tragica uscita dalla scena di questo mondo
»12.

E’ questa collocazione e figura imprenditoriale di Mattei che spiega comunque il silenzio e i

travisamenti che coprono la sua opera e memoria ancora oggi. Mattei imbarazza: a destra

perché, pur difensore dell’industria privata, fu e partigiano e capitalista di stato orgoglioso di

questo suo ruolo, in anni in cui il mondo politico era rigidamente diviso fra partiti dell’arco

costituzionale e MSI, e lo “statalismo” era considerato dai conservatori un “demone” ispirato

dal PCI e dall’Unione sovietica: e a sinistra perché la sinistra di oggi – comprese le sue

appendici “radicali” – non ha nulla più dei partiti di Togliatti e Nenni, ed è alla fin fine

“centrosinistra finanziario” egemonizzato dalla grande stampa “progressista” legata agli eredi

infedeli della filosofia d’impresa di Adriano Olivetti e alla tradizione elitaristica di Enrico

Cuccia. Basti guardare a tutte le “riforme” del centrosinistra negli anni Settanta, dalle

9 Ibidem.

10 Ivi, pp. 60-61, tondo in evidenza, mio.

11 Mattioli muore nel luglio 1973. Ne L’Espresso del 5 agosto dello stesso anno Eugenio Scalfari scriveva: «Niente di

più lontano da lui [Mattioli] di un Cuccia, di un Rockefeller o d’un Abs [il ministro delle Finanze di Hitler] (...). Questi

uomini hanno portato nel loro mestiere un che di puritano e d’esclusivo, ...relegando al margine della loro giornata

quanto non fosse banca. Il contrario di Mattioli..
» (citato in http://www.doncurzionitoglia.com/mattiolcuccia.htm).

Cfr. anche E. Scalfari-G. Turani, Razza padrona, Feltrinelli, Milano, 1974, pp. 159 e segg..

12 Giancarlo Galli, Il Padrone dei Padroni. Enrico Cuccia, il potere di Mediobanca e il capitalismo italiano, Garzanti,

Milano 1995, pp. 125-126.

5

privatizzazioni messe in atto con un golpe notturno agli inizi degli anni Novanta all’aggressione

al mondo del lavoro con la legalizzazione del precariato, alla guerra di Jugoslavia.

Leggete alcuni articoli della stampa “progressista” in occasione del centenario della nascita del

fondatore dell’ENI (2006): sul versante estremistico potrete trovare la lettura di Mattei in chiave

tutta antiamericana (ma Mattei, fra i fondatori di Gladio, ebbe buoni rapporti con gran parte

dell’establishment USA, ben diverso da quello odierno), e sulla “grande stampa” troverete quasi

sempre un lavorìo ai fianchi del primo presidente e fondatore dell’ENI, dove i presunti aspetti

negativi della sua opera sono più sottolineati di quelli positivi: o dove tutto si risolve nel mistero

della sua morte, da lasciare perennemente tale, senza alcuno sforzo per mettere assieme i diversi

tasselli, incastonarli nel fenomeno più generale del terrorismo di cui l’attentato di Bascapé,

secondo una battuta di Fanfani
13, potrebbe essere stato proprio il primo capitolo,

un’anticipazione della “strategia della tensione” dilagata qualche anno dopo, dopo il ‘68.

Aprite poi – per passare a Internet -
Wikipedia alla voce Mattei: troverete la sottile diffamazione

di questa intelligente enciclopedia mediatica, opera di personaggi che non possono che avere in

odio un politico-manager come il fondatore dell’ENI, amico dei paesi arabi e di Nasser. I luoghi

comuni sulla sua presunta “corruzione”, sui suoi presunti difetti e mancanze di imprenditore, sul

suo presunto “cinismo”, sul suo carattere “avventuriero”: tutti aspetti in realtà da vagliare –

nessun politico è mai un puro - e comunque smentiti da chi lo ha conosciuto direttamente, oltre

che da una vasta saggistica non adeguatamente valorizzata e dalla documentazione di archivio.

La natura di “imprenditore eretico” di Enrico Mattei, cristiano, sviluppista, alieno dalla filosofia

del “profitto per il profitto”, nemico del mitico Cuccia - a sua volta in buoni rapporti con il suo

successore Cefis - è il primo fattore che spiega, certo assieme ad altri, il suo obnubilamento da

parte del giornalismo e dell’editoria di regime: che sono quelli, essenzialmente, che

costituiscono la “forza” del centrosinistra postbipolare, un raggruppamento eterogeneo e diviso

ma senza quasi più alcuno spazio di autonomia dalla catena editoriale che lo controlla e soffoca.

Ma queste stesse caratteristiche di Mattei possono probabilmente proporne anche la

straordinaria attualità: su questi aspetti della sua figura di imprenditore – che avrebbe detto

Mattei della crisi dell’Alitalia? La risposta è per chi scrive, molto semplice: si sarebbe schierato

dalla parte dell’italianità dell’azienda – e su altre questioni assolutamente fondamentali, a

cominciare dalla politica mediorientale dell’ENI. Una politica che venne bruscamente interrotta

dopo il 1962 con l’ascesa ai vertici del palazzo dell’EUR di Eugenio Cefis, l’ex partigiano

legato ai servizi segreti inglesi dai tempi della Resistenza, firmatario dell’accordo “al ribasso”

con Israele nel dicembre del 1957
14, e che, all’oscuro del suo Presidente, aveva intessuto

attraverso l’ANIC rapporti commerciali con lo Stato ebraico, suscitando gli attacchi di tutti i

paesi arabi contro l’azienda di cui era vicepresidente: e per questo probabilmente, avendo messo

a repentaglio l’intera strategia di amicizia e collaborazione con i paesi produttori di petrolio del

Medio Oriente elaborata in dieci intensissimi anni dall’ENI, espulso da Mattei nel gennaio

1962, otto mesi prima l’attentato di Bascapé.

13 «Chissà, forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei, più di vent’anni fa, è stato il primo gesto terroristico nel nostro Paese, il primo atto della piaga che ci perseguita »: discorso di Fanfani al Congresso dei Partigiani Cattolici,

Salsomaggiore 1986: citato in Giorgio Galli, Enrico Mattei: petrolio e complotto italiano, Baldini Castoldi Dalai 2005.

14 Claudio Moffa, Dalla guerra di Suez all’attentato di Bascapé: l’ombra di Israele sul “caso Mattei”, in AA.VV:

Enrico Mattei. Il coraggio e la storia, a cura di Claudio Moffa, Roma 2007.

6

LA POLITICA ESTERA DELL’ENI DI MATTEI: UNA POLITICA DI PACE,

DI AMICIZIA E DI COOPERAZIONE PARITARIA CON I PAESI ARABI E

ISLAMICI.

La principale eredità positiva tramandataci da Enrico Mattei è la costruzione intelligente,

perseguita con grande tenacia e determinazione, di una vera politica di pace nel Mediterraneo e

nel Vicino-Medio Oriente grazie ad una politica di cooperazione paritaria fra l’Italia, paese

privo di risorse energetiche, e i paesi arabi e islamici della regione produttori di greggio. Il

volano economico di questa strategia alla fine anche culturale e politico-diplomatica fu la

famosa “formula” ENI, con cui Enrico Mattei riuscì ad incrinare il cartello delle mitiche Sette

sorelle insidiandone il monopolio petrolifero: una formula fondata sulla compartecipazione

attiva e non solo renditaria dei paesi produttori, e che finiva peraltro per combinare - in modo

geniale e “anticonformista” per un’epoca in cui la “patria” sembrava dovesse essere solo

appannaggio delle destre - la difesa degli interessi nazionali italiani e quella dei popoli ex

coloniali: la grande stagione cioè della decolonizzazione, sostenuta apertamente dai partiti e

dall’intellighentzia di sinistra
15.

Ecco dunque che Mattei, sostenitore attivo come Nasser del FLN algerino – non a caso un anno

prima di morire, il presidente dell’ENI aveva ricevuto una lettera minatoria firmata “OAS”

francese - si ritrovò nei fatti a fianco di un’altra grande personalità del mondo ebraico italiano

dell’epoca, il regista comunista Gillo Pontecorvo, l’ autore de
La battaglia di Algeri, cultmovie

di una contestazione giovanile degli anni Sessanta e Settanta spesso incline ad un astratto e

antinazionale “internazionalismo”.

Ed ecco che Mattei fu nel decennio ENI da lui guidato, alfiere della bandiera italiana in tutti i

paesi arabi e islamici del Vicino e Medio Oriente: una bandiera sorretta però non da soldati in

divisa e armati di mitra, ma da tecnici in tuta della SNAM e dell’AGIP, invitati dai suoi discorsi

e dai filmati che egli faceva produrre a collaborare fraternamente con i colleghi arabi e iraniani

16. Mattei patriota convinto, e convinto amico dei paesi produttori di greggio al di là del

Mediterraneo: un aspetto questo che – certo assumendo fino in fondo la diversità fra le due

epoche storiche, non ultima la crisi della centralità del Vicino-Medio Oriente come regione

petrolifera per eccellenza – dovrebbe o potrebbe far riflettere su quali siano, anche oggi, i veri

interessi nazionali dell’Italia. L’assassinio di Calipari ad opera dell’ “americano” Lozano

potrebbe essere per noi italiani la cartina di tornasole di una verità scomoda: che le guerre

posbipolari che hanno visto coinvolto il nostro esercito sono state e sono tutte “per procura”, a

difesa di interessi che peraltro – stando al monito del democratico Jim Moran
17 a Bush Junior

pochi giorni prima dell’attacco all’Iraq del 2003 - potrebbero essere neppure veramente

“americani”.

15 Ecco un discorso di Mattei sul colonialismo, dove affiora la coscienza del pericolo insito anche nel“neocolonialismo” (per usare il termine all’epoca utilizzato fra gli altri dal presidente del Ghana Nrumah): «Bisogna

fare in modo che il colonialismo, ormai universalmente condannato, sia soltanto un triste ricordo, un triste ricordo del

passato, e non resista o cerchi di sopravvivere sotto diverse ma non meno gravose forme. Le forze dell’immobilismo

politico alleato dei privilegi economici, gridano contro lo spirito di ribellione di questi popoli e si coalizzano per

ostacolare la marcia inarrestabile verso l’indipendenza e la libertà. Non molto diverso dal colonialismo è il

paternalismo economico, meno mortificante nella forma per chi lo subisce e anche esso frutto del cieco egoismo dei più

forti verso i più deboli».

16 Vedi il cortometraggio Viaggio di Gronchi in Medio Oriente, Settimana Incom, 1957, che nella seconda parte

descrive i rapporti ENI-Egitto, con parole di chiara esaltazione fra tecnici egiziani e tecnici italiani.

17 Il congressman Moran invitò Bush jr., a meditare che la nuova avventura bellica contro l’Iraq era in realtà intrapresa

dagli Stati Uniti per conto di Israele, e non in difesa degli interessi nazionali. Per questa sua esternazione Moran venne

ovviamente accusato di “complottismo” e “antisemitismo”, e fini per porre le sue scuse a chi lo aveva linciato.

7

Quanto appena detto, a proposito della “lezione” di Mattei per l’oggi, è sicuramente solo un

accenno generale per approfondire il quale occorrerebbero non uno ma più convegni, capaci di

vagliare accuratamente la sua esperienza umana politica e economica attraverso il filtro della

realtà internazionale attuale, una realtà complessa e diversa in tanti cruciali aspetti (dalla fine

del bipolarismo alla scomparsa della DC e dei partiti di massa italiani; dall’emergere di un

islamismo estremista fino al terrorismo transnazionale stragista di “Bin Laden”, all’accresciuto

potere, dopo la scomparsa del blocco sovietico, del lobbismo filoisraeliano in Europa, negli

Stati Uniti e più in generale nel mondo) da quella che vide operare il fondatore dell’ENI.

Ma, per continuare nella descrizione di quella che è comunque l’eredità storica di Mattei,

almeno due considerazioni vanno aggiunte.

La prima è che nel perseguire la sua politica di amicizia e collaborazione con i paesi arabi,

Mattei finì per scontrarsi con l’allora ancora giovane Stato ebraico: questa è verità comprovata

da indizi, fatti e documenti
18, ma come al solito è taciuta, obnubilata, nascosta volontariamente

o ingenuamente dalla stragrande maggioranza della saggistica e pubblicistica che si sono

occupate del “caso Mattei”. Per un motivo molto chiaro, che è quello sinteticamente ma con

grande efficacia accennato nella prima pagina della Prefazione dell’ultimo libro di Ariel Toaff,

Ebraismo virtuale, lo storico ebreo già fustigato in patria per il suo Pasque di sangue. Gli

risponde un collega a cui Toaff aveva domandato perché tante “aspre reazioni” al suo libro:

“perché ti sei “impelagato” nella Shoa?”. La Shoah? fa Toaff, e che c’entra in un saggio che

tratta di una vicenda di cinque-sei secoli fa? “In un modo o nell’altro, la Shoah c’entra sempre”,

conclude il suo interlocutore
19.

E’ la sacralizzazione integralista della storia degli ebrei e di Israele – che solo oggi comincia ad

essere incrinata grazie ai coraggiosi studi di alcuni revisionisti israeliani, come Ilan Pappe – che

produce un occultamento di fatto di Israele e degli Ebrei in ogni pagina negativa della storia

recente, contemporanea o passata: come il dossier Mitrokhin ridotto alla dialettica Est/Ovest,

nonostante Scaramella e la comparsa nella lista ricattatoria di un giornalista assolutamente

liberal e puro, tutto fuorché un “agente del KGB”, ma sicuramente “colpevole” di aver criticato

duramente nel lontano 1982, l’invasione israeliana del Libano e per questo censurato per anni

dal suo stesso giornale; come tutta la strategia della tensione in Italia, ridotta sempre ai binomi

CIA/KGB, estrema destra/estrema sinistra, nonostante l’anarco kibbutzista Bartoli, il caso Argo,

le pur vagliande dichiarazioni sulla strage di Bologna del terrorista Carlos; e il sequestro Alfa

Romeo con stella “a sei punte” del “compagno Moretti”, il sequestratore del filoarabo Moro,

Curcio e Franceschini rinchiusi in carcere e infuriati per l’ “errore” .

Anche per Mattei il meccanismo narcotizzante – capace di lobotomizzare persino studiosi e

giornalisti eccellenti – è consimile: Mattei si era scontrato frontalmente con Israele nella crisi di

Suez, fino a ipotizzare nel 1957 una campagna di stampa contro lo Stato ebraico che non voleva

risarcire adeguatamente – questa almeno la sua opinione - quanto razziato nei campi di Abu

Rudeis l’anno precedente
20; era grande amico di Nasser, l’ “Hitler” del mondo arabo secondo le

accuse reiterate di Israele finchè il leader egiziano fu vivo; sosteneva attivamente una guerriglia

algerina che aveva finito per scontrarsi duramente, durante la guerra di liberazione – e questo

spiega peraltro perché l’OAS fosse guidata da un Soustelle nettamente filoisraeliano – con la

18 Claudio Moffa, Dalla guerra di Suez all’attentato di Bascapé: l’ombra di Israele sul “caso Mattei”, in AA.VV: