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S.o.s per la Terra: consumiamo troppo

di Francesca Marretta - 30/10/2008

 
 
Rapporto Wwf, Società Zoologica di Londra (Zsl) e Global Footprint Network per l'Onu

Altro che "credit crunch". Una recessione ben più grave, che non ammette possibilitá di recupero, se non si interviene immediatamente, è alle porte: quella ecologica. E la colpa non è solo dei comportamenti inetti delle istituzioni finanziarie internazionali. Se non smettiamo di consumare ai livelli insostenibili cui siamo abituati, saremo tutti sul banco degli imputati per l'impoverimento del pianeta e del benessere collettivo dell'umanitá.

Allarmismo ambientalista? Proprio per niente. Lo dicono dati formulati su base scientifica pubblicati nella settima edizione del "Living Planet Report", il rapporto redatto da Wwf, Società Zoologica di Londra (Zsl) e Global Footprint Network per le Nazioni Unite. Se i consumi di risorse naturali continueranno al ritmo attuale entro il 2030 avremmo bisogno, per mantenere i medesimi stili di vita, di due pianeti. Non bisogna essere scienziati per sapere che di pianeta su cui campare ne abbiamo uno. Per capire la gravitá del danno che noi esseri umani arrechiamo alla terra basti pensare che nell'edizione precedente dello stesso rapporto, pubblicata due anni fa, si parlava di questa stessa prospettiva, prevista peró per il 2050. La sostenibilitá della vita sul pianeta si è dunque accorciata di vent'anni a causa dell'aumento sfrenato dei consumi negli ultimi due.

In base ad un maccanismo analogo a quello che ha portato alla la crisi finanziaria globale, la domanda di "capitale naturale" mondiale che soddisfa le attivitá della popolazione mondiale, supera attualmente di circa un terzo la capacitá del pianeta terra di rispondere allo sfruttamento cui è sottoposto. Insomma siamo in debito ecologico con la madre terra. I danni non sono attribuibili alla totalitá della popolazione mondiale, ma ai tre quarti che vivono in paesi in cui i consumi superano, e di gran lunga, la capacità biologica nazionale. Quelli che utilizzano più risorse e producono più rifiuti di quanto il loro territorio potrebbe in teoria sostenere. E lo fanno spalmando idealmente tale eccesso di consumi sul resto della superficie planetaria. Secondo questo schema, paesi come Malawi e Afghanistan, risultano innocenti per i danni e la depauperazione delle risorse del pianeta. Mentre Stati Uniti e Cina sono i primi predatori, in quanto lasciano sul pianeta il maggior numero di "impronte ecologiche nazionali". L'impronta ecologica di ogni paese si ottiene facendo la somma del loro utilizzo delle capacità produttive dei sistemi naturali. Si tratta della domanda dell'umanità sulle risorse naturali a disposizione sul pianeta. L'impronta ecologica complessiva globale è attualmente pari a 2.7 ettari pro-capite. Ma la biocapacità mondiale, ovvero l'area necessaria a produrre le risorse e ad assorbire la quota di emissioni di gas serra è di circa 2.1 ettari pro-capite. Questo significa che esiste un deficit di 0,6 ettari a persona. Siamo debitori del pianeta, alla stegua dei debitori delle banche che si riappropriano delle case per le quali non si riesce più a pagare il mutuo. Solo che in questo caso non ci guadagna nessuno.
Diamo un'occhiata alla classifica delle impronte ecologiche. In pole position, senza meraviglia, troviamo gli Stati Uniti, con un'impronta ecologica1,8 volte superiore alla biocapacità nazionale, seguiti dalla Cina, 2,3. Al terzo posto c'è l'India, 2,2. Nei valori pro-capite tuttavia gli statunitensi battono tutti gli altri di molte lunghezze con un bel 9.4. Questo significa che si comportano come se avessero a disposizione quattro pianeti invece di uno.

Per quando riguarda il Regno Unito, al quindicesimo posto nella classifica mondiale delle impronte, ci vorrebbero 5,3 ettari di territorio a persona per assorbire tutta la spazzatura prodotta e ottenere tutte le risorse di cui i cittadini britannici hanno bisogno. Questo ammonta a più del doppio dei due ettari a testa disponibili per la popolazione mondiale. Nelle isole britanniche si consume consuma quanto in trentatrè paesi africani messi insieme. Nella classifica dei paesi con la maggiore impronta ecologica l'Italia è al ventiquattresimo posto.

Le cifre presentate dal rapporto sono arrotondate per difetto. Nel senso che non tengono conto del rischio di un'accelerazione dei cambiamenti climatici, possibile secondo alcuni pareri scientifici.
Oltre alla classifica dei predatori delle risorse del pianeta, il "Living Planet Report", i cui dati sono stati rilevati tre anni fa, ci mette davanti a dati che illustrano la tragedia della scomparsa, per mano nostra, di mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci. Dal 1970 al 2005, la biodiversità sul pianeta è diminuita del 30%. Nelle aree tropicali il crollo è addirittura del 50%. Milleseicentoottantasei specie di animali vertebrati non esistono più. Gran parte di questa irreversibile perdita è da attribuire alla deforestazione e alle modifiche nell'uso del territorio. Nel conto, oltre ai cambiamenti climatici, vanno annoverati la costruzione di dighe e la deviazione dei corsi d'acqua.

Per la prima volta il "Living Planet Report" introduce in questa nuova edizione anche informazioni sull'impronta idrica dei paesi, che considera i consumi di acqua per la produzione di beni e servizi sia dall'interno sia dall'esterno dei territori nazionali. Mentre ventisette paesi importano più della metá dell'acqua che consumano, almeno cinquanta stanno affrontando delle crisi idriche. Bisogna riflettere sul fatto che per produrre una maglietta di cotone occorrono 2.900 litri d'acqua. E per 1 kg di carne di manzo ce ne vogliono 15mila. In media ogni cittadino del mondo consuma 1,24 milioni di litri di acqua l'anno. Nello specifico di ciascun paese, per la serie a chi tanto e a chi niente, un americano usa 2,48 milioni di litri l'acqua ed uno yemenita 619mila. L'Italia è il quarto maggiore consumatore di acqua al mondo (2.332 metri cubi pro capite). «Il mondo sta vivendo l'incubo di una recessione economica per aver sovrastimato le risorse finanziarie a disposizione» ha dichiarato James Leape, direttore del Wwf Internazionale in occasione della presentazione del rapporto a Londra. «Ma l'erosione del credito ecologico causato dall'aver sottovalutato l'importanza delle risorse ambientali come base del benessere di ogni società provocherá una crisi ben più grave», ha aggiunto. Proprio come per il "credit crunch", si tratta di un disastro annunciato. Solo che non ci saranno manovre di salvataggio che tengano se non si interviene ora.