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La fame e i diamanti

di Marina Forti - 02/11/2008


 

«Cercatori informali di diamanti nella provincia di Manicaland, nello Zimbabwe orientale, sta cercando di resistere ai tentativi della polizia di sgomberarli in un crescendo di scontri violenti», informa un dispaccio di Irin News, agenzia di notizie dell'ufficio dell'Onu per gli affari umanitari. I cercatori «informali» scavano diamanti per guadagnarsi da vivere in un periodo di crisi nera, spiega Irin. Il dispaccio cita il quotidiano The Herald (di proprietà governativa), che riferisce dell'ultimo episodio: alcuni agenti sarebbero stati uccisi due settimane fa in uno scontro a fuoco dai cercatori di diamanti, che sono armati. Abitanti della zona aggiungono che anche un minatore è stato ucciso dalla polizia.
Stiamo parlando di una zona remota. I giacimenti di diamanti di Chiadzwa, nel distretto di Marange, hanno attratto migliaia di cercatori negli ultimi due anni. Il giacimento è del tipo alluvionale, dove i diamanti non vanno cercati in profondità nel sottosuolo (cosa che implica macchinari per lo scavo) ma sono trascinati nel letto dei fiumi dalle grandi piogge stagionali, così che cercarli può essere un'impresa «in proprio»: bastano pale e setacci, e giornate passate con i piedi a mollo nel fango a scavare e setacciare. Un lavoraccio, in cui il cercatore può sperare di trovare una singola pietra da pochi carati al giorno - ma può sempre sperare nel colpo di fortuna. Insomma, bisogna essere spinti dalla disperazione per buttarsi nell'impresa: ma questo è il caso dello Zimbabwe. E il giacimento dev'essere consistente, perché Gideon Gono, governatore della Banca centrale (Reserve Bank) dello Zimbabwe, dice che il contrabbando di quei diamanti nel 2007 è valso circa 400 milioni di dollari sottratti alle casse dello stato.
Il dispaccio di Irin News dà qualche idea della vita di questi cercatori «in proprio». Cita tale John Sakarombe, 24 anni, che cammina zoppicando per un proiettile sparato dalla polizia tre mesi fa, durante un altro scontro a fuoco: «C'è una guerra a Chiadzwa. La polizia e i soldati che pattugliano la zona ci hanno avvertito che hanno ordine di sparare a vista se le cose prendono una piega violenta. Ed è così, abbiamo da poco seppellito uno dei nostri, e un altro sta lottando tra la vita e la morte a casa sua», ha detto il giovane a un corrispondente di Irin: «Uno preferisce morire a casa ... perché nel momento in cui entri in ospedale prima di curarti ti interrogano per sapere come ti sei ferito, in che circostanze, e se parli è il momento che chiamano i babylons», termine dello slang locale per indicare i poliziotti.
Un lavoro duro e una vita pericolosa: ma il miraggio di arricchirsi continua a richiamare uomini - del resto l'80% degli zimbabweani sono disoccupati, l'inflazione nel paese è tra le più alte al mondo (ufficialmente 231 milioni percento!). Non che i cercatori informali si arricchiscano. I «makorokoza» - così vengono chiamati in lingua shona - vendono le pietre grezze a intermediari che poi le contrabbandano fuori dal paese: tutto il business avviene in valuta straniera, che è in sé un vantaggio. I cercatori più fortunate non se la passano male - il corrispondente di Irin cita persone che possono comprare auto sudafricane, pagarsi cure mediche, mangiare bene mentre milioni di compaesani sono ridotti alla fame. Un benessere molto precario però. E una vita breve. Chissà se anche i preziosi contrabbandati dallo Zimbabwe vanno sotto la definizione di «diamanti insanguinati», come quelli estratti dall'Angola in guerra. Forse sì: la descrizione di Irin non assomiglia a una guerra?