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Perché i media italiani hanno riservato uno spazio spropositato alle presidenziali americane?

di Carlo Gambescia - 03/11/2008


Non sappiamo chi vincerà le elezioni americane, e neppure ci interessa. E ne abbiamo spiegato il perché, già in occasione delle primarie, in altro post,(http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/2008/01/le-primarie-e-le-elezioni-presidenziali.html ). Quel che invece risulta interessante è capire perché i media italiani hanno riservato uno spazio spropositato alla campagna elettorale Usa.
Si potrebbe liquidare la questione in termini di puro e semplice strapotere tecnico ed economico delle grandi agenzie internazionali, tese a dettare l’agenda e trasformare un evento politico in dollari sonanti (producendo e vendendo servizi). O comunque provocando emulazione. Ben pagata.
Ma stando agli esperti, in Francia e Germania (ma meno), per non parlare di altri paesi europei, la campagna elettorale sembra non sia stata seguita con la stessa intensità.
Forse - si tratta di un nostro impressionistico giudizio - il duello Obama-McCain è stato “coperto” con pari intensità soltanto negli ex paesi satelliti dell’Unione Sovietica, ora gravitanti nell’orbita americana.
Probabilmente alla base della scelta mediatica italiana - chiamiamola così - c’è uno scarso senso dell’identità nazionale, in particolare nelle élite giornalistiche, e ovviamente politiche, acuitosi soprattutto dopo il 1945. Anno in cui, anche noi entrammo politicamente nell’orbita americana, per restarci. Un debole senso dell’identità nazionale, che si è andato a innestare sulle esigue tradizioni di libertà dei giornali italiani. Passati, sintetizzando, dalla dittatura fascista - dopo una breve parentesi di libertà - al grigiore democristiano, poi consociativo, e infine berlusconiano. Va detto che il tradizionale antiamericanismo del Pci - spesso tattico - sembra non aver lasciato, sul piano mediatico alcun segno. Al massimo oggi, chi viene da quell’esperienza è pro-Obama, e in modo entusiastico. Basti qui sfogliare il Manifesto e Liberazione o seguire il Tg1 di Riotta.
E’ perciò comprensibile che le Reti berlusconiane, primo veicolo del peggiore americanismo culturale in Italia, coprano oltremisura la campagna elettorale americana. Meno che si comportino nello stesso modo quelle di orientamento diverso. Ma qui non va trascurato l’elemento del pacifismo, molto forte intellettualmente proprio a sinistra.
Ad esempio è singolare che lo spazio dedicato alle prossime celebrazioni dell’ottantesimo anniversario della nostra vittoria nella Prima Guerra Mondiale sia stato mediaticamente pari a zero. Anzi soprattutto nei giornali e televisioni pro-Obama si è registrato un sussulto di antimilitarismo, e del peggiore, confondendo, come al solito idea di patria (che dovrebbe restare) con i generali infingardi (che dovrebbero passare)… E la pace, pur necessaria, con un' utopistica idea di definitivo disarmo generale.
Pertanto alla base della massiccia copertura della campagna elettorale americana va posta la totale mancanza, soprattutto - ripetiamo - nelle élite dirigenti, giornalistiche e politiche, del senso, come si diceva un tempo, dell’identità e dell’onore nazionali al quale si cerca di sostituire certo pacifismo dettato dalla debolezza...
Per farla breve: ci preoccupiamo di coprire le elezioni americane in una misura tecnicamente inaudita e, al tempo stesso, professiamo un universalismo pacifista, imbecille e astorico, come se l’Unità Italiana, risalisse al 1945. E come se le guerre - come insegnavano i Romani con il saggio si vis pacem, para bellum - non fossero, piaccia o meno, parte del patrimonio storico di una nazione e dura necessità storica. Dimenticando, insomma, che quando, ci si nasconde dietro gli ideali di un pacifismo assoluto. Certo, sancito dalla Costituzione. Ma in che modo? Da sconfitti, costretti da una pistola americana alla tempia a ripiegare, in termini di hegeliano rapporto signore-servo, sui valori pacifisti. E come se, all'epoca, la "rinnovata" libertà repubblicana non provenisse dall'impiego su larghissima scala dei caccia bombardieri...
Dimenticando, dicevamo, che se si è pacifisti, non perché si sia in grado, come nazione, di garantire la pace con la propria placida forza, sarà poi l’alleato più forte a indicare, di volta in volta, a quello più debole il nemico da battere.
E infatti ora combattiamo in Afghanistan, perché così ci è stato ordinato dagli Stati Uniti. Tuttavia, se vincesse Obama potrebbe giungere il contrordine… Chissà...
Di qui l’ "importanza" di coprire mediaticamente - perché non si sa mai - le elezioni americane. Penoso.