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L'onestà dei ladri

di Stefano Montanari - 03/11/2008

    
  
 

Se, oltre al titolo di Principe del Creato, in realtà autoattribuito come quello all’inceneritore di Brescia, l’Uomo volesse competere per il primato universale della stupidità, non ci sono dubbi che vincerebbe a mani basse.
Il fatto di aver preteso di uscire dalle regole della Natura ci sta portando a velocità crescente verso un muro, ahimé solidissimo, contro cui stiamo per sbattere dolorosamente il naso. Prelevare energia da un sistema chiuso per dare energia a quello stesso sistema vale parecchi punti nel concorso della stupidità, ed è quello che facciamo con il petrolio, con i gas naturali e con l’uranio. Tutta la corte pittoresca di “scienziati” che sarebbero stati uno splendido modello per le satire di Swift non ne sono che il necessario condimento.
Ma il cosmo è composto da un mosaico pressoché infinito di microcosmi: più piccoli, sempre più piccoli, ma auto-simili, come si dice quando si parla di frattali. E uno di questi microcosmi è l’italica università.
Alla maniera dell’Italia nella sua interezza, anche queste minuscole comunità hanno un reggitore il quale, almeno aderendo alla teoria, è lì solo per fare “il bene comune”. Nei fatti, temo che le cose non stiano proprio così.
Senza voler fare d’ogni erba un fascio ma limitandoci alla stistica, chi nell’università ha il potere e, dunque, andreottuianamente, non è logorato, quel potere lo gestisce a suo esclusivo beneficio: un satrapo orientale secondo il miglior copione. Così, chi, per i motivi più disparati, entra nelle grazie del princeps giungerà al premio; chi ne sta fuori sarà punito. Ecco, allora,

tutta la lunga tradizione di concorsi truccati, e truccati alla luce del sole, tanta ormai è l’abitudine a convivere con le porcherie. Da qui l’incapacità di sfornare una élite intellettuale degna di questo nome e la produzione di aborti mostruosi.
Ma, poi, a ruota, c’è tutto il denaro che viene elargito con i criteri del capriccio e dell’interesse privato: consulenze perfettamente inutili, posti di “lavoro” senza un compito da svolgere, opere di qualunque genere pensate solo per convogliare denaro in qualche tasca ben mirata.
Il dramma tra i drammi è che quel denaro è pubblico e viene trattato come res nullius, roba di nessuno. Da qui lo sfacelo economico della maggior parte delle università di casa nostra.
Appena un po’ più su nella scala, ci sta chi distribuisce i quattrini, altrettanto pubblici, per la ricerca. Lo sappiamo, quei quattrini calano ogni anno, e, tuttavia, invece di farne tesoro elargendoli con meticolosa accuratezza e diamantina onestà, questi vengono assegnati esattamente come si fa a livello della singola università, favorendo gli amici e gli amici degli amici a scapito di tutto il resto. Nulla importa se le ricerche finanziate travalicano non di rado nel grottesco.
Dunque, permettendo tutto questo, che razza di popolo siamo?
Bisogna dire che chi si succede da anni al timone di questa bagnarola è sempre stato perfettamente coerente ed ha ogni volta passato con grande lealtà il testimone a chi lo doveva raccogliere. I vari schieramenti si sono combattuti, a volte apparentemente in modo aspro, ma mai sono venuti meno al “patto tra gentiluomini” secondo cui certi capisaldi della rapina e i princìpi del privilegio di casta non dovevano essere toccati. E non sono stati toccati. Anzi, ogni governo che è atterrato a Roma ha aggiunto del suo.
Ieri, ascoltando un’intervista con un insegnante che protestava in piazza contro gli scempi che questo governo sta perpetrando nei confronti della scuola, sono stato colpito da una sua frase: “Una riforma senza fantasia.” È così: il professore aveva centrato il bersaglio. Guai se qualcuno facesse sfoggio di fantasia: il sistema funziona benissimo e siamo arrivati davvero ad un passo da Waterloo, vittoria schiacciante o sconfitta umiliante a seconda del punto di vista. Squadra che vince non si cambia e non si cambia la tattica che è semplicemente perfetta. Piano piano, con brusche accelerazioni e piccole retromarcia come in un tango, chi abbiamo ingenuamente autorizzato a tenere il timone dello stato ci sta togliendo la cultura, e lo sta facendo in mille modi. Giorgio Bocca ha affermato che l’ottanta per cento di ciò che scivono i nostri giornali è falso, e lo ha detto proprio nel programma che ha consentito ad Umberto Veronesi di sparare la sua ormai fin troppo famosa enormità sugl’inceneritori. Questo è il livello che serve per annientare il popol bruto.
Per il resto, è la scuola che va affondata. E a fondo ci sta andando.
No ci sono i soldi, dice chi ora ci governa.
Beh, se il cavalier Berlusconi fosse davvero il buon padre di famiglia che ha recentemente affermato di essere, darebbe un’occhiata alle risorse di cui disponiamo e alle necessità da mettere in fila in ordine d’importanza.
È vero: soldi ce ne sono pochissimi, e questo un po’ per la congiuntura internazionale cui si doveva per forza arrivare e molto per la propensione irrefrenabile alla rapina dei nostri “politici”, una propensione che si aggiunge alla loro vistosa incapacità di fare politica, quella vera. E, allora, se di quattrini ce ne sono pochi, si rinunci prima di tutto a ciò che è inutile. Si cancellino quelle bizzarrie che sono gl’inceneritori, il TAV, il MOSE, il Ponte di Messina, il nucleare, per non citare che le idiozie più lampanti che uniscono l’inutilità al danno. Basterebbe una frazione di quel tesoro per finanziare scuola, università e fior di ricerche, cioè il più fecondo investimento per un popolo. Certo, occorrerebbe anche far piazza pulita di rettori da farsa, d’insegnanti da film di Pierino, e di tutta una corte dei miracoli che succhia dalle nostre radici. E, magari, di far pagare loro i danni che ci hanno arrecato.
Ma è proprio quello che non si vuole.