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Quel giorno Keynes perse

di Giorgio Ruffolo - 03/11/2008

     
Gli accordi di Bretton Woods (luglio 1944) segnarono un momento fondamentale nell’economia mondiale della seconda metà del ‘900. Dopo il fallimento del sistema di cambi fissi delle monete basato sulla loro convertibilità in oro (golden standard) e dopo i disastri di un protezionismo considerato una delle cause della Seconda guerra mondiale, nacque l’esigenza di costruire un nuovo sistema che evitasse gli errori del passato.
Giorgio Ruffolo illustra lo scontro fra l’economista inglese Keynes e quello statunitense White: la sconfitta del primo determinò l’abbandono del progetto di creare una moneta mondiale (il Bancor), mentre fu il dollaro a essere eletto a valuta di riferimento, l’unica convertibile in oro a un prezzo fisso. Il progetto statunitense limitò inoltre la capacità del fondo monetario incaricato di prestare denaro ai paesi in disavanzo, addossando a essi la responsabilità di rientrare dallo squilibrio delle proprie bilance commerciali.


Quando nel luglio del 1944 730 delegati provenienti da 44 nazioni alleate si riunirono al Mount Washintgton Hotel di
Bretton Woods, una cittadina americana del New Hampshire, la guerra infuriava ancora. Ma già si pensava, oltre che all’assetto politico, a un nuovo ordine economico mondiale che avrebbe dovuto subentrare alla guerra di tutti contro tutti instauratasi nel mondo dopo il crollo dello standard aureo (gold standard).
Nel sistema aureo il valore delle monete era determinato non dalla domanda e dall’offerta ma dalla quantità di oro che contenevano. I loro cambi erano fissi e la stabilità dei cambi favoriva lo sviluppo degli scambi, giovando al paese dominante nel commercio mondiale: allora, la Gran Bretagna. I paesi che incorrevano in disavanzi della loro
bilancia commerciale erano automaticamente penalizzati: l’oro defluiva per pagare i deficit, prezzi e salari diminuivano, la domanda si contraeva, la disoccupazione aumentava, finché l’equilibrio non era ristabilito. Si spiega come il sistema non fosse politicamente molto popolare. Adottato generalmente negli ultimi decenni dell’Ottocento fu abbandonato durante la Prima guerra mondiale, per essere reintrodotto In Inghilterra e in Europa negli anni Venti. Ma la grande crisi del 1929 lo soppresse nuovamente. La Gran Bretagna aveva perduto la sua posizione dominante a vantaggio degli Stati Uniti, e la disoccupazione dilagante aveva spinto gli altri paesi verso politiche protezionistiche. Il protezionismo comportava un clima economico opprimente, l’altra faccia di quello politico aggressivo. Si capisce che, non volendo ripetere gli errori del primo dopoguerra, i vincitori volessero fondare la pace su basi economicamente, oltre che politicamente, più solide.
Tuttavia, la grande adunata di Bretton Woods fu dominata da un tema centrale più ristretto ma decisivo: il dramma dei rapporti tra la vecchia e la nuova nazione egemone: tra Inghilterra e Stati Uniti, che in qualche modo rappresentavano, la prima, i paesi tragicamente indeboliti dalla guerra, gli altri l’unico vero paese economicamente vincitore e strapotente. I personaggi chiave di quel dramma furono
Keynes per l’Inghilterra, White per gli Stati Uniti. Espressione estrema della raffinatezza britannica e massimo economista il primo. Espressione autentica della risolutezza americana e valoroso economista anche lui (tra l’altro, keynesiano) il secondo. Si scontrarono i loro caratteri, in un duello memorabile per durezza e sportività. Si scontrarono i loro piani di soluzione del grandioso problema posto a Bretton Woods. Quello di Keynes, preoccupato soprattutto di procurare all’Inghilterra le risorse necessarie per risorgere come grande potenza, anche se non più in un ruolo dominante prevedeva la instaurazione di cambi fissi regolabili, la creazione di una moneta mondiale, il bancor, di un Fondo dotato di ampie risorse per finanziare gli squilibri, con pari incentivi e disincentivi al rientro per creditori e debitori. Quello di White prevedeva la reinstaurazione dei cambi fissi, con facoltà di regolazione limitata; ignorava la proposta della moneta mondiale: la moneta centrale del sistema doveva essere (lo era già) il dollaro, sola moneta convertibile in oro al prezzo di 35 dollari l’oncia; limitava fortemente le risorse del Fondo per prestiti ai paesi in disavanzo; poneva a esclusivo carico di questi ultimi il costo del rientro. Vinse White. [...]
La versione americana di Bretton Woods governò il mondo economico per un quarto di secolo. Il suo meccanismo però non avrebbe potuto partire senza una poderosa spinta da parte americana. I paesi europei a cominciare dall’Inghilterra erano prostrati dalla guerra. I loro disavanzi erano ben più drammatici di quelli compatibili con il nuovo sistema. E qui gli Stati Uniti si dimostrarono all’altezza delle loro responsabilità egemoniche con la decisione assolutamente inedita di sostituire, con il
piano Marshall, l’economia del dono all’economia dello scambio. [...]
Poi però la politica di potenza riprese il sopravvento. Pressati dal doppio impegno di finanziare le spese della “grande società” promessa da Lyndon Johnson e della guerra del Vietnam, gli Stati Uniti non furono più in grado di assicurare la convertibilità del dollaro in oro, impegno centrale del sistema. Furono quindi essi stessi, che lo avevano creato, a distruggere Bretton Woods. Sganciandosi dall’oro il dollaro si mise da solo la corona in testa. Cominciava l’età della sregolatezza. Che dura tutt’ora.