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Anche le tecnologie devono essere sostituite, e quelle di carbonio abbandonate

di Renato Cecchi - 03/11/2008

 
 
 
Secondo il comitato intergovernativo dell’Onu sui cambiamenti climatici (Ipcc), per avere una qualche speranza di mantenere le concentrazioni atmosferiche di CO2 al di sotto della soglia di allarme di 550 ppm, entro e non oltre il 2030 dovrebbe essere prodotto un settimo di tutta l’energia da tecnologie senza carbonio. Entro il 2050 quella percentuale dovrebbe salire a quasi un terzo e nel 2075 arrivare alla metà.

E’ una strategia, si dice, che evita di dimettere prima del tempo (tempo dato, però, dai prezzi di mercato con tutta l’aleatorietà del caso) apparecchiature e impianti, assicura alle tecnologie sostitutive, qualsiasi esse siano, più tempo per svilupparsi e più tempo affinché il loro prezzo scenda. Ma è rischiosa perché lascia, almeno temporaneamente, che le emissioni crescano superando le 450 ppm, se non le 550 ppm, consentendo di operare riduzioni maggiori più avanti, a condizione però che queste misure siano attivate da subito e che il processo di accelerazione dei cambiamenti climatici resti costante, cosa tutt’altro che scontata, e che si riesca a stabilizzare la domanda di energia (obiettivo che allo stato attuale appare del tutto fuori portata anche perché non voluto dai governi).

Se si ragiona in termini di diversificazione dei fornitori di gas e di un mix di fonti energetiche, come strategia di transizione ad una economia energetica che non ponga problemi di approvvigionamento né di emissioni di gas serra, è evidente che si deve aprire con urgenza un’importante fase di ripensamento a livello europeo sulle politiche energetiche. In essa è necessario si collochi anche la Regione Toscana a cui spetterebbe il testimone di regione virtuosa assumendo misure molto più coraggiose di quanto sta già facendo, in una strategia unitaria dell’Unione Europea, che potrà fondarsi a quel punto sulla diversificazione delle opzioni anche a livello di Stati, purché coerenti con l’obiettivo di ridurre le emissioni sotto la soglia delle 450 ppm.

Ciò significa che - sulla base di consistenti investimenti in primo luogo pubblici, di opportune politiche di mercato (tassazioni sulle emissioni di CO2, emission trading, sostegno alle tecnologie più efficienti e alle fonti rinnovabili, risparmio energetico, ecc.), nonché di normative e regole uniformi - sarebbe possibile realizzare un mix di fonti capace di mettere al riparo dalle crisi di fornitura, dalle fluttuazioni di prezzo del petrolio e dalle manovre speculative (sia pure in una generale tendenza al rialzo dei prezzi degli idrocarburi), che dovrebbe trovare corrispondenza anche nei sistemi più flessibili a livello di Stati (certo non dell’Italia di Berlusconi).

Tutto questo dovrebbe essere sostenuto, inoltre, da un potenziamento delle reti continentali e locali. Si tratterebbe di un mix, in secondo luogo, che utilizza la transizione come periodo di sostituzione e dismissione di impianti obsoleti e fonti non più adeguate ai nuovi obiettivi definiti dalla Ue (eliminazione CO2, sicurezza, prezzo, flessibilità e duttilità) e che dovrebbe anticipare almeno entro il 2035 (a) un terzo di energia da fonti rinnovabili (solare, eolico, biomasse, idroelettrico, geotermico, risparmio), (b) un terzo da gas (che assicuri la transizione) e (c) un terzo, da petrolio, in via di riduzione ulteriore entro il 2050.
Se questo è davvero lo scenario entro il quale si muove la Ue (sia pure con tempi più lunghi ma, come abbiamo detto, già oggi palesemente fuori tempo massimo), va detto che sull’opzione carbone e nucleare andrebbe adottato un criterio direttore ancora più coraggioso, volto a comprimere e progressivamente smantellare le centrali ancora in esercizio.