Negli ultimi giorni le piazze italiane sono diventate teatro di vari tipi di proteste. L’osservazione della psiche, del profondo, mostra però una tendenza diversa da ciò che appare all’esterno e viene ripreso dai telegiornali. Quella non di esporsi, ma piuttosto di ripararsi, non di gridare, ma di ascoltare con attenzione i segnali dell’ambiente circostante, per capire cosa sarà meglio fare. Del resto questa tendenza, più cauta, è in sintonia innanzitutto con la stagione: l’autunno. Un tempo che alla psiche umana suggerisce più volentieri rientri in casa, anziché discese in strada.
Certo, ci fu anche l’«autunno caldo» del 1969. Ma fu l’ultimo frutto importante della «primavera del ’68», e sarebbe comunque finito in tutt’altro modo se non avesse coinciso con un periodo di sviluppo economico, dei commerci e dei consumi, che convinse tutti ad accettare ogni richiesta avanzata dalle piazze e dalle organizzazioni sindacali e studentesche.
Nell’espansione, tutto cresce: richieste e concessioni. Ci si azzuffa, ma lo spirito del tempo lo prevede e lo consente.

Il clima di oggi è diverso, e forse le manifestazioni psicologiche individuali lo chiariscono meglio della politica. Le crisi di panico, i disturbi alimentari, le manifestazioni depressive sono il sottotesto (letto da pochi) che spiega anche i sussulti e i cambiamenti della politica.
L’inconscio collettivo, prima ancora che i media, ci informa che l’abbondanza è finita.
Viviamo un tempo di contrazione: ciò produce un nuovo clima emotivo, e disponibilità e paure del tutto diverse dai decenni precedenti. L’enorme distruzione di ricchezze realizzata sulle Borse e nei mercati negli ultimi mesi ha soltanto reso visibile un fenomeno che in realtà si stava producendo già da un pezzo. La grande espansione dell’ultimo trentennio del Novecento, per l’Occidente, era finita da tempo, sostituita dai giochi di prestigio della finanza più spregiudicata.
La realtà, oggi, è che i figli avranno meno denaro dei genitori, e ne sono perfettamente consapevoli. Lo sviluppo dei loro redditi dovrà reggere la concorrenza dei loro coetanei del resto del mondo, e chiederà loro tenacia e competenze ben più salde e profonde di quelle detenute dai loro padri.
I grandi fenomeni di euforia collettiva della fine del Novecento, la «rivoluzione sessuale», la generalizzazione nell’uso di droghe, il libertinaggio eletto a sistema hanno da tempo esaurito la loro carica dirompente e sopravvivono solo come prodotti mediatici destinati alle categorie meno favorite e provviste di denaro o di istruzione.
Quella ormai ufficialmente inaugurata dai grandi crac economici dell’ottobre scorso sarà un’epoca completamente diversa da quella che l’ha preceduta. La ricerca di competenze autentiche prenderà necessariamente il posto dell’immagine, l’abilità di saper vivere con poco prenderà il posto dell’esibizione dello sperpero del molto, la solidità affettiva sostituirà la celebrazione dell’effimero.
Questo capovolgimento di valori e di abitudini non avverrà per un sussulto moralistico ma, come sempre nelle manifestazioni psicologiche che poi si traducono in costumi e processi economici, per necessità vitali. Non ci sono più soldi da sperperare, ed è urgente ricostituire competenze e saperi, scientifici ed economici, per competere con il resto del mondo. Inoltre, le civiltà si costruiscono su strutture affettive solide, e si dissolvono sui rapporti troppo «leggeri»: l’inconscio collettivo lo percepisce, e reagisce di conseguenza.
Un’altra epoca comincia. Per ora non in piazza, ma nelle case e nelle coscienze delle persone.