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La potenza della baracca Obama

di Alessio Mannino - 06/11/2008

    

 

Il sogno americano. L'America ha il suo nuovo imperatore. Gli Usa cambiano pelle. E' bene saperlo: le elezioni americane non le ha vinte Obama, le ha vinte l'Obamamania.
La presidenza degli Stati Uniti è andata a Barack Obama grazie a un crescendo rossiniano di consenso, costruito a tavolino dall'intero sistema mediatico occidentale sulla sua figura di candidato nero, giovane, innovatore, simpatico. Cambiamento: questa è stata la parola-chiave del suo successo.
Dopotutto, usciti da due mandati di Bush, il cowboy del petrolio e delle armi, delle disastrose invasioni dell'Afghanistan e dell'Irak, della crisi finanziaria e della recessione, era prevedibile che gli Americani volessero cambiare l'inquilino della Casa Bianca. Assuefatti al meccanismo obbligato della cosiddetta "democrazia dell'alternanza", i 130 milioni di statunitensi andati a votare hanno creduto alla verità confezionata per loro dai padroni dell'uomo più potente della Terra. I finanziatori di Obama, gli stessi dello sconfitto Mc Cain, sono le grandi banche, l'apparato militare-industriale, la finanza speculativa. Con una differenza significativa solo nella misura dei finanziamenti: hanno, cioè, foraggiato più Obama che Mc Cain.
Perciò non è un caso se la maggior parte dei media ha fatto apertamente il tifo o quanto meno ha creato un'aura di vincente per il "primo nero" asceso alla carica presidenziale. Conquistando alla causa del candidato Democratico (la "sinistra" a stelle e strisce) anche ampi settori dell'opinione pubblica tradizionalmente schierata coi Repubblicani (la "destra" d'oltreoceano). Anche qui da noi, in Italia, dove praticamente tutti simpatizzavano per il nero buono.
La realtà è un'altra: chi decide realmente la politica nazionale e internazionale degli Stati Uniti ha puntato sull'esponente della ricca middle class dei neri che studiano ad Harvard e giocano a golf. Ha scientificamente manovrato l'opinione pubblica non solo americana, ma planetaria, convincendola della bontà di un homo novus capace, per la sua sola immagine pubblica, di ridare credibilità a uno Zio Sam screditato dalla cura Bush.
Ma Obama o Bush, e prima di loro Clinton o Reagan, i presidenti Usa rappresentano soltanto la faccia di un potere in mano ai grandi interessi economici. Barack è la faccia più tollerante, più chic, più kennedyana. E' la faccia dei quell'american dream del povero, dell'immigrato e dell'ultimo (e i neri, al di là dell'Atlantico, vivono in gran parte in condizioni peggiori dei bianchi, mica come il fighetto Obama) che sale la scala sociale su su fino ai gradini più alti. Mentre il vincitore osannato da destra e sinistra è solo la faccia meno feroce del crudele modello statunitense. Fatto di arroganza imperiale all'esterno e di profonde ingiustizie sociali all'interno.
Change, dunque? Per nulla. Non cambierà niente, al di fuori dei toni e dei modi, dei miti e degli abbellimenti con cui Obama camufferà la strenua difesa dell'american way of life e dell'egemonia del Pentagono sul mondo. Di cosa si dovrebbe essere contenti? Del fatto che il neo-presidente degli States non ha detto neanche una parola di vera novità sulla follia della globalizzazione e della crescita infinita, della criminale cupola di banchieri che tiene in ostaggio i popoli, della totalitaria idea nota come "esportazione della democrazia", della necessità di ripensare per intero i rapporti fra Usa, Europa, Russia e Cina? Oppure dovremmo gioire perchè il burattino delle lobby multinazionali di Washington è un nero, e tanto basta? Il colore, spiace dirlo, non è un argomento sufficiente. Anzi, in questo caso è pura pubblicità ingannevole.
L'Obamamania è l'incantesimo calato dall'alto che ha fatto vincere Obama. Poteva essere un altro, ma hanno preferito lui. Potenza della baracca Obama.