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Obamania: basta!

di Fausto Giudice - Laurent Joffrin - 06/11/2008

 


 


 


La prima pagina di Liberation, questa mattina. 

«Storico», «rivoluzione», «cambiamento», «speranza»: l'ondata di superlativi entusiastici che salutano da qualche ora la vittoria di Barack Obama sembra uno tsunami che travolge e trascina con sé tutte le obiezioni, in una mescolanza di ingenuità e cinismo, propaganda e approssimazioni, contraddizioni e stereotipi.

D'accordo, Obama è nero, giovane, bello, intelligente, ha una voce da crooner e ha promesso il cambiamento. E allora?

Mi dispiace di nuotare contro lo tsunami, ma vorrei soltanto porre dieci domande:

1 – Obama ritirerà le truppe che occupano l'Iraq?

2 – Obama ritirerà le truppe che occupano l'Afghanistan e attaccano il Pakistan?

3 – Obama ratificherà il protocollo di Kyoto?

4 – Obama ratificherà il trattato che istituisce il Tribunale penale internazionale?

5 – Obama toglierà l'embargo a Cuba?

6 – Obama normalizzerà le relazioni con il Venezuela, la Bolivia e l'Ecuador?

7 – Obama metterà fine al sostegno politico, militare, poliziesco, finanziario e diplomatico al presidente delinquente colombiano Uribe?

6 – Obama chiuderà una sola delle 1000 basi militari installate fuori dal territorio degli Stati Uniti?

7 – Obama annullerà lo scandaloso «piano di salvataggio» da 700 miliardi pensato per gli squali della finanza?

8 – Obama diminuirà le tasse?

9 – Obama instaurerà un sistema di previdenza e assistenza sociale accessibile a tutti i cittadini degli Stati Uniti?

10 – Obama porrà fine all'appoggio incondizionato a Israele?

Scusate se ho raffreddato i vostri entusiasmi e buona giornata.

PS: la palma del miglior cocktail di luoghi comuni e banalità spetta a Laurent Joffrin, direttore social-liberale del quotidiano rotschildiano Libération. Non posso resistere alla tentazione di riportare il suo editoriale, vero concentrato di «pensiero» unico in 3133 caratteri.

Fausto Giudice

Un sogno d'America

La speranza, finalmente! Di grazia, per un'ora, per un giorno, non uniamoci ai disincantati, ai prudenti, agli scettici.

Dopo questo 4 novembre già storico, confessiamo che siamo colti, quasi tutti, da un sentimento di felicità. Per un'ora o per un giorno lasciamo parlare l'entusiasmo, quello che dilaga nel mondo. Da qualche ora gli americani sperano; da qualche ora il mondo intero si sente meglio. La felicità? Un'idea nuova in America. Basti immaginare per un momento il risultato opposto: un senatore rigido e conservatore affiancato da una mistica beota che avesse continuato per quattro anni la politica brutale di George W. Bush. Un incubo morale, un film dell'orrore politico. Invece i simboli si affollano nell'immaginario in questo giorno d'eccezione. L'ideale di Abraham Lincoln, il sogno di Martin Luther King, la Nuova Frontiera di John e Robert Kennedy: quattro speranze interrotte, quattro profeti del reale immolati e che ora sopravvivono, nello spazio di un istante, con la grazia di queste elezioni. Questi sono i simboli di un'America che ama il futuro. I simboli dell'America che amiamo.

Domani avremo tempo per misurare le difficoltà del compito, dissipare le illusioni, dissezionare le debolezze del nuovo eletto. Si intuisce che reca più promesse di quante sia in grado di soddisfare. Si farà carico degli interessi di uno Stato e dei sogni dei suoi elettori. Dovrà venire a patti con le fredde realtà della geopolitica. Forse non è l'eroe progressista che immagina la sinistra francese. È senza dubbio più incline al compromesso e agli intrighi di quanto pensi la maggioranza dei suoi sostenitori. Ma la sua vittoria dimostra che il mondo può cambiare, e, per una volta, cambiare in meglio.

Obama può interrompere il corso di questa rivoluzione conservatrice che domina il mondo dall'elezione di Ronald Reagan. Finalmente i valori della solidarietà, di attenzione per i deboli, di giustizia saranno rappresentati alla Casa Bianca. Finalmente non si tenterà di farci credere che l'interesse dei miliardari si confonde con quello del popolo. Finalmente gli americani possono sperare in una migliore protezione sociale, in un controllo su Wall Street, in fondi per la sanità, per l'istruzione, per l'ambiente. In breve, possono sperare in una società più umana, che mostri agli altri paesi che la giustizia concreta non è sempre un obiettivo irrealizzabile.

E poi il vincitore delle elezioni del 4 novembre è un uomo del nuovo secolo. Meticcio, ex assistente sociale, nipote di un'africana, Barack Hussein Obama ha scelto di essere americano. La sua storia dimostra che l'identità non è per forza un fatto di natura che intrappola gli uomini nella loro nascita ma anche adesione lucida ai principi democratici. Con Obama un po' di Sud e della sua sofferenza entrano nella capitale del Nord. Con Obama molto del nostro mondo misto e composito accede alla carica più alta. Tutto questo vi sembra ingenuo, virtuale, ipotetico? Forse. Ma per un'ora, per un giorno, bisogna provare a crederci. Provare a credere che per la prima volta, dopo tanto tempo, il Nuovo Mondo può essere degno di questo nome.


Originale: Basta ! Journal de marche zapatiste

Articolo originale pubblicato il 5/11/2008

L’autore

Manuela Vittorelli è membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguística. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.

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