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Nella Terra di Mezzo gli elfi impararono a usare la telepatia

di John Ronald Reuel Tolkien - 08/11/2008

Gli Elfi pensavano che non vi fossero fondamentali differenze nelle capacità ricevute ma che, in ragione della storia separata di Elfi e Uomini, esse venissero usate diversamente.

Quel che più di tutto aveva un effetto marcato era la differenza fra i loro corpi che, nondimeno, presentavano la stessa struttura: il corpo umano era (o era divenuto) più facile da ferire o distruggere e, dopo un periodo di tempo breve, era destinato in ogni caso a decadere con l’età e a morire, con o senza la volontà di farlo. Questo stato di cose produsse nei pensieri e nei sentimenti degli Uomini un senso di «fretta»: tutti i desideri della mente e del corpo erano in essi assai più imperiosi che negli Elfi. Pace, pazienza, e persino il pieno godimento del bene presente erano per questo grandemente sminuiti. Per un’ironia legata al loro destino, inoltre, sebbene la loro personale aspettativa di futuro fosse breve, gli Uomini pensavano ad esso di continuo, più spesso con speranza che con timore sebbene la loro effettiva esperienza desse poche ragioni di sperare. Per un’ironia simile gli Elfi, la cui aspettativa di futuro era invece indefinita, sebbene innanzi ad essi, per quanto remota, si stagliasse comunque l’ombra di una Fine, erano sempre più rivolti verso il passato e il rimpianto benché i loro ricordi fossero in realtà carichi di dolore. Gli Uomini, essi dicevano, possedevano certamente (o avevano posseduto) l’«óre» («cuore», ndr), ma a causa della «fretta» cui si è accennato prestavano ad esso scarsa attenzione. Vi era poi un’altra ragione più oscura (connessa secondo gli Elfi alla «morte» umana): l’«óre» degli Uomini era aperto ai cattivi consigli, e non era possibile fidarsene con sicurezza.

Gli Eldar pensavano che un qualche disastro, forse di portata addirittura pari a un «mutamento del mondo» (ossia qualcosa che ne avesse influenzato tutta la storia successiva), fosse accaduto agli Uomini alterandone la natura, specialmente riguardo alla «morte». Di questo, tuttavia, gli Uomini, nemmeno gli Atani coi quali gli Eldar avevano instaurato strette relazioni, non erano mai in grado di parlare più chiaramente che non riferendosi a «l’ombra dietro di noi» oppure a «la tenebra da cui siamo fuggiti». Esiste però un curioso documento denominato il Dialogo fra Finrod e Andreth.

Finrod era uno dei Re Noldorin, noto come Firindil o Atandil «amico degli Uomini», molto interessato o in sintonia con essi. Andreth era una donna, una «saggia» degli Atani che sembra avesse amato e fosse stata amata dal fratello di Finrod, Eignor Ekyanaro («fiamma acuminata»), che tuttavia l’aveva infine respinta perché appartenente a una razza inferiore. Dal dialogo sembrerebbe che Andreth credesse che la morte (e specialmente la paura di essa) si fosse abbattuta sugli Uomini come una punizione o come risultato di un qualche disastro, una ribellione contro Eru, ipotizzavano gli Eldar, e che in origine non vi fosse stato alcun intendimento secondo il quale gli Uomini dovessero essere effimeri o fuggevoli. Il documento sembra essere in realtà di origine umana, probabilmente dovuto ad Andreth stessa.

Dalle leggende (con ogni probabilità principalmente di origine elfica, sebbene pervenuteci tramite gli Uomini) sembrerebbe infatti chiaro (per quanto possiamo ora giudicare da esse) che gli Uomini non furono concepiti per la longevità elfica, limitata solo dalla vita della Terra o dal suo perdurare come luogo abitabile per gli incarnati. Gli Uomini godevano del privilegio, avrebbero detto gli Elfi, di poter andare di propria volontà oltre il mondo e il tempo fisico (le cerchie del mondo), ma dopo una vita dalla durata molto più estesa. La vita dei Numenoreani prima della loro caduta (la seconda caduta dell’Uomo?) non era dunque tanto un dono speciale quanto un ritorno a quello che avrebbe dovuto essere il comune retaggio degli Uomini, per 200-300 anni. Aragorn affermava di essere l’ultimo dei Numenoreani. Il «disastro» che gli Elfi sospettavano era dunque una qualche ribellione contro Eru tradottasi nell’accettare Melkor come Dio. Una conseguenza di questo fu che il fea venne imprigionato e Melkor ebbe potere su coloro che gli si erano ribellati e avevano cercato la protezione di Eru.