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Obama e G20… Il segno della fine di un’epoca

di Luigi Di Stefano - 17/11/2008

Nell’arco di pochi giorni due eventi inconcepibili solo fino a qualche mese stanno a rappresentare la vera e propria “rivoluzione” che si è scatenata nel mondo: la vittoria elettorale di Barack Obama alle presidenziali USA e il G20, con l’ammissione ufficiale al tavolo delle decisioni di politica economica dei cosiddetti “paesi emergenti”

I due fatti sono strettamente correlati e contendono un simbolismo storico, al di la dei motivi contingenti (la crisi finanziaria) che li hanno determinati.

Finisce in USA il potere dei WASP (White Anglo-Saxon Protestant), che diventano una delle tante componenti etniche che formano la società americana.

Finisce nel mondo il potere dei “paesi più industrializzati”, che era rappresentato prima dal G6 (i paesi occidentali che avevano combattuto la seconda guerra mondiale: USA, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Giappone), poi dal G7 (l’aggiunta del Canada) e dal G8 (l’aggiunta, recentissima, della Russia).

Ora, improvvisamente, vengono imbarcati Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Cina, Corea del Sud, India, Indonesia, Messico, Sudafrica, Turchia, Spagna e Olanda.

E’ una presa d’atto che da oggi in poi gli interessi rappresentati al vertice politico/economico del pianeta non saranno più solo quelli del ristretto “club degli industrializzati“, e neppure quello delle potenze che hanno combattuto la II guerra mondiale.

Se questo allargamento derivasse semplicemente da una cooptazione delle nuove potenze economiche emergenti sarebbe poco male. Se l’elezione di Obama rappresentasse solo il traguardo politico del melting pot americano, poco male.

Ma questo avviene invece all’apice di una crisi finanziaria che scuote le economie occidentali, crisi che viene da scelte strategiche sbagliate legate alla famosa “globalizzazione“.

In sostanza l’occidente si presenta come un nobile fallito e pieno di debiti a chiedere aiuto agli ex famigli che scoppiano di salute e di quattrini.

E gli chiede, almeno secondo il presidente uscente Bush, di salvaguardare il sistema finanziario che è crollato miseramente, e che era l’ultimo baluardo attraverso il quale l’occidente manteneva il controllo dell’economia e della politica mondiale.

E’ ovvio che il G20 si è concluso con un nulla di fatto: i paesi emergenti si dovrebbero immolare per salvare le banche di affari della City e di Wall Street, dovrebbero comprarsi i famosi “titoli tossici” (volgari cambiali false emesse a centinaia di migliaia di miliardi di dollari).

Insomma, i paesi emergenti dovrebbero sacrificarsi per garantire ai ricchi redditi pro capite che sono circa tre volte più alti di quelli dei loro stessi paesi.

E’ il canto del cigno, la presa d’atto dell’impotenza da parte degli epigoni del liberismo, spacciato come positiva “liberazione degli spiriti animaleschi del capitalismo” e rivelatosi il più grande suicidio politico che la storia ricordi, pari solo a quello della nomenclatura sovietica degli anni ‘90.

Il 30 aprile prossimo ci sarà un nuovo G20, con in carica Barack Obama. Allora si vedrà se l’occidente ha ancora proposte serie da fare, se la fallita nomenklatura finanziaria sarà stata resa impotente, se si ritornerà all’economia basata su innovazione e lavoro piuttosto che sugli assets finanziari.

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