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Iraq, L’accordo di “sicurezza” con gli Usa verso il verdetto del Parlamento

di Ornella Sangiovanni - 17/11/2008



Il giorno dopo l’approvazione pressoché unanime (27 voti a favore su 28 presenti) da parte del Consiglio dei ministri dell’accordo che consentirebbe agli Usa di mantenere le proprie truppe in Iraq altri tre anni (fino a fine 2011), si cominciano a fare i conti in Parlamento – che ha la parola finale sulla questione.

Scontata l’opposizione dei deputati che fanno riferimento a Muqtada al Sadr, l’incognita maggiore è quella dei sunniti.

L’Iraqi Accord Front (IAF), la principale coalizione sunnita, che può contare su meno di 40 seggi (in origine ne aveva 44 ma la sua componente più nazionalista – il National Dialogue Council – si è smarcata, fondendosi con l’Iraqi Front for National Dialogue di Salah al Mutlak, gruppo sunnita nazionalista di ispirazione neo-ba’athista), è infatti diviso.

L’Iraqi Islamic Party (IIP), una delle due forze rimaste, il cui leader è Tariq al Hashemi, uno dei due vice-presidenti iracheni, vorrebbe un referendum popolare, e non è un caso che l’unico voto contrario, ieri in Consiglio dei ministri, sia stato quello di una sua esponente – Nawal al Samarrai’e, ministro per gli affari delle donne.

Così come 3 dei 9 (o dieci) ministri assenti alla riunione di ieri erano sunniti. Dei sei componenti dell’esecutivo in quota IAF, solo due hanno votato, e di malavoglia, a favore dell’accordo.

Non è un inizio positivo, anche se c’è chi minimizza.

Adnan al-Dulaimi, ad esempio, leader della coalizione sunnita (dove rappresenta l’altra componente – la “Conferenza generale del popolo dell’Iraq”), dice al Washington Post di prevedere un voto favorevole in Parlamento.

"Hashimi non è d’accordo con alcuni punti minori, ma non sarà questo a fargli respingere l’accordo”, dice.

“Sarà un’avventura”

Altri sono meno ottimisti.

“Questa sarà un’avventura", dice Omar Abdul-Sattar, un deputato sunnita, in riferimento al dibattito parlamentare che sta per iniziare.

Uno dei problemi è quello del tempo: il Parlamento iracheno è notoriamente lento nelle sue procedure, e il 24 novembre sospenderà le sedute per almeno un paio di settimane, in occasione del periodo dell’ Hajj – il pellegrinaggio che ogni anno porta alla Mecca, in Arabia Saudita, milioni di musulmani da tutto il mondo.

"Abbiamo una finestra di tempo limitata", avverte il ministro degli Esteri, Hoshyar Zebari, che oggi ha firmato l’accordo assieme all’ambasciatore Usa a Baghdad, Ryan Crocker, e ha parlato di “una giornata storica per i rapporti fra Iraq e Stati Uniti”.

E tuttavia, anche se il voto di ieri in Consiglio dei ministri sembra indicare che il premier Nuri al-Maliki è riuscito ad assicurarsi il sostegno della maggioranza delle forze politiche, l’approvazione dell’accordo da parte del Parlamento non è scontata.

Haider al Abadi, esponente di spicco di al Da’wa, lo stesso partito (sciita) a cui appartiene il Primo Ministro, ammette che “se il blocco sunnita decidesse di astenersi, ci sarà un problema”.

E non è l’unico problema.

“Abbiamo paura che, anche se l’accordo venisse approvato in Parlamento, Tariq al Hashimi potrebbe opporsi", dice Hadi al Ameri, parlando per la United Iraqi Alliance (UIA), la coalizione sciita di maggioranza. "Gli americani hanno buttato la palla nel nostro campo”, spiegava ieri ai giornali del gruppo McClatchy, utilizzando una metafora calcistica. “Noi gli abbiamo dato un forte calcio, e adesso la palla è nel campo degli americani e dei sunniti. Stiamo aspettando di vedere cosa fanno".

L’incognita dei sunniti

Senza l’Ok dei sunniti, ammette, si potrebbe tornare al punto di partenza.

“Noi non amiamo gli americani”, dice il politico sciita che è il leader della famigerata Badr Organization – l’ala militare del Consiglio Supremo islamico iracheno (ex SCIRI), uno dei due partiti sciiti di governo – e quello più vicino all’Iran. “Questo non è per amore della presenza dei soldati americani: vogliamo sbarazzarci degli americani oggi, non domani. Ma come sbarazzarsi di 150.000 soldati americani in questo Paese? Riteniamo che questo accordo sia uno dei modi per sbarazzarsi degli americani”.

Da altri deputati sunniti non arrivano buone notizie

Rashid al Aazawy , liquida la questione quando gli chiedono se l’accordo potrebbe venire approvato dal Parlamento entro la fine di quest’anno – il 31 dicembre scade il mandato Onu per la cosiddetta “Forza multinazionale”, e, senza un accordo bilaterale, le forze Usa in Iraq verrebbero a trovarsi prive di copertura legale.

“Quello che non possono fare i membri del governo possono farlo i parlamentari, perché hanno maggiore libertà”, dice il deputato sunnita ai giornalisti del gruppo McClatchy. “All’interno del parlamento ci sarà un’aspra lotta. Non credo che sarà approvato quest’anno".

Omar al Mashhadani, un portavoce dello IAF, rincara la dose. “Se Tawafuq [il nome arabo dell’IAF NdR] dice no, i sunniti dicono no. Preferiamo che venga prorogato il mandato Onu, o che il governo iracheno sia il consenso al referendum”.

Il referendum popolare: è la richiesta fatta da Tariq al Hashimi: che, in teoria, essendo uno dei tre componenti del Consiglio di Presidenza, a cui spetta la ratifica finale del documento, una volta che avrà avuto il via libera del Parlamento, potrebbe ancora bloccarlo.

La sua esitazione (e quella dell’IIP), a detta del quotidiano iracheno Azzaman, dipenderebbe dal fatto che il leader spirituale dei Fratelli musulmani iracheni, sceicco Abdel Karim Zaydan, ha emesso una fatwa [editto religioso con valore vincolante NdR] contro l’accordo con gli Usa. Hashimi vorrebbe quindi pararsi le spalle col referendum.

Altri politici si mostrano più ottimisti, e prevedono che alla fine l’Ok del Parlamento ci sarà.

“Non è il migliore accordo possibile”, commenta Mahmud Othman, un deputato kurdo indipendente. “Ma è il migliore che sono riusciti a ottenere”.

“Appoggio lo spirito dell’accordo – di fissare il calendario per il ritiro delle truppe americane”, dice Saleh al Mutlaq, leader dell’Iraqi Front for National Dialogue, e parlamentare sunnita noto per le sue posizioni nazionaliste.

Il governo vuole un consenso nazionale, i sadristi minacciano il ricorso a “tutte le vie legali”

E’ probabile che il governo i numeri in Parlamento per approvare l’accordo con Washington li avrebbe; ma sembra che sia la coalizione sciita di maggioranza – la UIA – che i suoi partner kurdi vogliano assicurarsi l’appoggio di tutti i gruppi politici: sciiti, sunniti, e kurdi.

"Non siamo pronti ad approvarlo, sciiti e kurdi da soli", dice alla rivista TIME Redha Taqi, un deputato del Consiglio supremo. "Democraticamente possiamo, ma non va bene. Vogliamo un consenso nazionale. Ci serve un consenso nazionale".

Di questo consenso non farà parte comunque il movimento di Muqtada al Sadr.

Ieri sera, il leader sciita, da sempre contrario alla presenza delle truppe Usa, ha diffuso un comunicato nel quale si invita il Parlamento “a respingere questo patto senza esitazione, perché è un accordo per vendere l’Iraq e il suo popolo”.

E oggi i suoi sostenitori in Parlamento hanno fatto sapere che cercheranno di fare di tutto per far sì che non se ne faccia nulla.

Ahmed Masudi, il portavoce del gruppo sadrista, ha annunciato l’intenzione di presentare un disegno di legge che imponga la maggioranza di due terzi per l’approvazione, invece della maggioranza semplice (anche se in realtà questo è un punto assai poco chiaro – perché nessuna legge in vigore parla di una maggioranza semplice in casi di questo tipo).

“Il movimento di Sadr userà tutte le vie legali per lavorare per fermare questo accordo”, ha detto il deputato, aggiungendo che il suo gruppo è determinato a formare una alleanza all’interno del Parlamento perché il patto con gli Usa venga respinto.

Intanto, il premier Maliki oggi dovrebbe parlare al Paese, nel tentativo di ottenere un sostegno popolare all’accordo con Washington.


Fonti: McClatchy Newspapers, New York Times, Washington Post, Los Angeles Times, Azzaman, TIME, Agence France Presse