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Nicaragua: vince Sandino

di Fabrizio Casari - 18/11/2008

 

Le elezioni amministrative in Nicaragua hanno prodotto una schiacciante vittoria del Frente Sandinista de Liberaciòn Nacional. Il risultato elettorale, in qualche modo prevedibile data l’inversione di tendenza netta del governo sandinista dai precedenti governi ultraliberisti, tanto in termini di politiche sociali come di collocazione internazionale del paese, conferma - anzi aumenta - la già rimarchevole presenza sandinista al governo nella maggioranza delle amministrazioni locali. Erano 146 i municipi chiamati al voto e, secondo i dati forniti dal CSE, in 101 hanno vinto i sandinisti, oltre ad essersi aggiudicati 11 su 17 capoluoghi di provincia. La capitale, Managua, e tutte le più popolose città del paese, sono ora governate dal Fsln. Quella sandinista é una vittoria che sembra premiare i due anni di attività del governo guidato da Daniel Ortega. Il candidato dell’estrema destra, Eduardo Montealegre, ex funzionario somozista e candidato sconfitto alle presidenziali di due anni orsono, si é però rifiutato di riconoscere la sconfitta ed ha invitato i suoi squadristi ad invadere le strade. Il Consiglio Supremo Elettorale, unica autorità istituzionale ad aver titolo per dichiarare i risultati ufficiali, ha assegnato la vittoria al partito rojojnegro respingendo reiteratamente le accuse di brogli che l’opposizione liberale filo-statunitense denunciava già da diversi mesi prima del voto.

Le gerarchie ecclesiali e la Confindustria, schierate sin dall’inizio della campagna elettorale con la destra, si erano unite alla richiesta di riconteggio formulata dagli sconfitti, nonostante gli osservatori internazionali presenti avessero riferito di “elezioni regolari, svoltesi in un quadro di tranquillità generale con un dispositivo di protezione del voto efficiente”. Il CSE, pur non ritenendo ve ne fossero gli estremi, ma per evitare che la situazione sfuggisse di mano e la violenza s’impadronisse definitivamente delle strade di Managua, ha deciso di accogliere la richiesta di liberali e Confindustria e di ricontare le schede della capitale, urna per urna, in presenza degli avvocati dei partiti dell’opposizione. Un’offerta politica, oltre che tecnica, a dimostrare l’assoluta imparzialità dell’istituzione e il convincimento della stessa che la giornata elettorale sia stata sostanzialmente corretta. Il risultato è stato identico: il Frente Sandinista ha ottenuto il 51,32% dei voti mentre il rampollo perdente Montealegre si è fermato al 46,58%. L’ex tre volte campione del mondo di boxe, Alexis Arguello, vicesindaco nella giunta sandinista uscente, è ora il nuovo sindaco di Managua.

Ma Montealegre e le forze che lo manovrano hanno deciso di sfidare i numeri e il diritto, ordinando ai militanti di scendere in piazza contro il responso elettorale. Il risultato è che ci sono stati diversi incidenti, dato che gli attacchi delle squadracce liberali - giunte ad accoltellare un giornalista di Radio Ya, vicina al Fsln, hanno rapidamente incontrato la reazione dei militanti sandinisti, immediatamente mobilitatisi per impedire le scorribande della destra nelle strade del Paese. Per ora il saldo è di un morto e diversi feriti, ma Montealegre insiste a dichiarare la mobilitazione liberale nelle strade.

Lo scontro interno alla destra

Quella del rampollo Montealegre è la mossa della disperazione politica: sconfitto già alle presidenziali da Ortega, ed ora alla carica di sindaco della capitale da Arguello, vede il suo piccolo trono traballare pericolosamente. La partita che Montealgre, detto "la rata" (il topo ndr) sta giocando, é tutta interna al partito liberale, dove si disputa la leadership liberale con l'ex presidente Aleman, il quale (ancora in attesa di giudizio finale per furto e corruzione, distrazione di fondi e arricchimento illecito) ha già fatto capire di volersi riprendere il partito. Dunque, la sconfitta duplice – presidenza prima e sindaco della capitale ora – fanno sì che Montealegre si trovi all’angolo. Su Montealegre pesa, peraltro, il possibile giudizio per bancarotta fraudolenta e malversazione, che senza lo scudo di leader dell’opposizione, diverrebbe un’incombenza difficile da evitare. Per gli interessi della famiglia Chamorro, e con lei delle altre sei-sette famiglie che compongono la burguesia compradora del paese, c'é urgenza di non far naufragare Montealegre e di rimettere subito le grinfie sulla nazione; non é possibile che Aleman, un produttore di caffè ex somozista, (ma mai membro della borghesia bianca e inviso anche agli Usa) possa riconquistare lo scettro di oppositore dei sandinisti, meno che mai quello d’interlocutore privilegiato di Washington.

Diversamente da Montealegre gli altri candidati sconfitti hanno riconosciuto la legittimità della vittoria sandinista e il comandante Eden Pastora, che ha dovuto sparare per difendere la sua famiglia dall’assalto di teppisti liberali che la sera successiva al voto hanno assaltato la sua casa, ha parlato di “mancanza di dignità nel riconoscere la sconfitta” da parte del candidato liberale. Pastora, che ha accusato Montealegre e il suo socio Quinonez di aver inviato i sicari, affinché mettessero in pericolo la sua famiglia, ha detto di essersi visto obbligato a sparare per difendersi, lamentando il fatto che non ci fossero stati i due leader liberali alla testa dei sicari: “In questo caso – ha detto il comandante, invece che in aria avrei volentieri colpito loro”. “Quello che questa gente non ha imparato – ha aggiunto Pastora – è la lezione che Daniel Ortega, al quale sono sì state rubate le elezioni del 1996 e del 2000, ha dato loro, accettando con dignità la sconfitta. Se avesse voluto, il Paese sarebbe stato bloccato; ma per senso dello Stato, pur avendo il CSE controllato dall’opposizione, ha accettato comunque la sconfitta, riconoscendo il valore dell’istituzione che la certificò,dando una lezione per il futuro”. “La rabbia dei liberali – ha concluso Pastora - si deve al fatto che vogliono impedire che la capitale goda dei benefici sociali che il governo offre ai poveri del Paese”.

Ma i liberali non cercano argomenti, hanno bisogno della delegittimazione che costituisca il presupposto fondamentale per lo scontro. Il tentativo della destra infatti, sia essa in camicia inamidata o in abito talare, è quello d’invalidare il voto o, comunque, di ridurne l’effetto sul piano politico, favorendo contemporaneamente un’escalation di tensione che obblighi il governo a usare la forza per ripristinare la calma. In questo caso, l’opposizione avrebbe pronto un piano che prevede una richiesta d’intervento internazionale che, partendo dalla OEA (Organizzazione degli Stati Americani ndr) fino alla UE, porterebbe il Nicaragua allo status di paese sotto osservazione internazionale. OEA che in settimana dovrà rispondere dell’operato del suo Segretario, il cileno Miguel Insulza, accusato dal governo nicaraguense di aver appoggiato senza decenza le richieste dell’opposizione interna. Procedura effettivamente sconcertante, dato che l’organismo ha come interlocuzione obbligata i governi dei paesi membri; nell’occasione, invece, Insulza (che usa la segreteria della OEA per lanciarsi nella campagna per le presidenziali in Cile, sfidando la Presidente Bachelet) invece di rapportarsi al governo in carica si è schierato, ad urne appena chiuse, con l’opposizione di destra e con Washington.

Quella del non riconoscimento di una sconfitta pur così evidente, è parte della strategia che la destra nicaraguense, la Confindustria locale (Cosep), gli ex-sandinisti (divenuti ex dopo aver perso il potere) e le gerarchie cattoliche, hanno lanciato da diversi mesi; una campagna politica e mediatica, dentro e fuori dal Paese, destinata a togliere prestigio al governo di Daniel Ortega. Lo scopo? Isolare il governo sandinista e rendere così difficoltosi i rapporti con gli organismi multilaterali, che consentono gli aiuti destinati alle infrastrutture del Paese centroamericano. I riflessi sull’economia interna sarebbero pesanti e il programma governativo di sostegno al welfare, che in due anni ha prodotto risultati di grande efficacia e i cui effetti si sono, appunto, visti nel risultato delle urne, verrebbero vanificati da una crisi internazionale nelle relazioni bilaterali e multilaterali, che priverebbero della liquidità necessaria l’azione governativa.

La strategia della famiglia

I diversi passaggi che hanno caratterizzato la campagna provocatoria dell’oligarchia nicaraguense sono sostanzialmente iniziati subito dopo l’insediamento del governo Ortega. Il casus belli è stata la decisione del governo di interrompere l’erogazione dei milioni di dollari di pubblicità istituzionale che lo Stato concedeva ai due giornali e al canale televisivo della famiglia Chamorro, preferendo destinarli alla spesa sociale. La famiglia, una delle cinque-sei che si sono sempre spartite le spoglie del Paese (ad eccezione, appunto, della decada rivoluzionaria sandinista tra il 1979 e il 1990), oltre a possedere ricchezze enormi, è proprietaria dei due giornali che circolano (La Prensa e El Nuevo Diario), di diverse radio e della maggiore televisione Canal 2. La fine dei milioni a pioggia dello Stato ha quindi messo fine alla festa. Come non bastasse, la famiglia ha espresso ed esprime presidenti e candidati alla presidenza, nonché presidenti e vicepresidenti delle associazioni imprenditoriali. Insomma una “famiglia-monstre”, che considera quello degli Stati Uniti il governo al quale obbedire e il Nicaragua come la sua dependance e non sopporta vedere i suoi interessi scalfiti dallo sviluppo democratico del Paese.

Nei sedici anni nei quali la famiglia - con la madre prima e con il genero poi - ha governato il Nicaragua (1990-2006), è riuscita a sommare due record storici: quello del paese cui sono stati assegnati maggiori fondi internazionali e azzerato molto del suo debito bilaterale (per esempio con l’Italia) e, nello stesso tempo, quello che ha visto il paese sprofondare al secondo posto (dopo Haiti) nella classifica dei paesi più poveri del continente. Abolita ogni forma di welfare, azzerati fondi per l’istruzione, i trasporti, la casa, la sanità e riportate in auge le morti per epidemie infettive, il governo Chamorro si è impegnato a sversare nelle casse delle famiglie-proprietarie centinaia di milioni di dollari. La vittoria di Daniel Ortega ed il ritorno dei sandinisti al potere ha determinato la fine della festa per le voraci famiglie, quella Chamorro in prima fila.

La seconda tappa è stata quella di utilizzare gli ex “rivoluzionari sandinisti", oggi schierati elettoralmente, politicamente e finanziariamente con la destra nicaraguense e finanziati direttamente dagli Stati Uniti. L’Mrs (Movimento di rinnovamento sandinista), partitino nato diversi anni orsono dalle costole dell’antico Fsln, non ha mai superato percentuali da prefisso telefonico e la decisione di rifiutarsi di esibire la documentazione necessaria per l’accesso alle elezioni - che ne ha determinato quindi l’esclusione dalle liste - è stata definita un “golpe” del governo. Ora, visto che chi ottiene tra il 38 e il 64% dei voti da circa trent’anni, difficilmente si sente minacciato da chi non raggiunge nemmeno il 2%, è chiaro che la questione attiene ad altro. Nessun intervento censorio del governo sul Consiglio Supremo Elettorale; semplicemente il rifiuto, da parte del Mrs, di presentare - come fanno tutti i partiti, per legge - i bilanci con l’elenco dei fondi ottenuti e della loro provenienza. Perché?

Perché avrebbero reso pubblico quanto di più imbarazzante: che diversamente da quanto affermano, di sandinista non hanno nemmeno la memoria, dato che sono finanziati dagli Stati Uniti attraverso erogazioni dirette dell’Usaid e della Ned oltre che da alcune Ong, a loro volta sostenute da fondi statunitensi. Una catena di Sant’Antonio della corruzione, che dimostra come l’opposizione ai sandinisti riceva annualmente decine di milioni di dollari dalla Casa Bianca, sia direttamente sia a traverso di alcune Ong che, diversamente da quanto disposto dalle norme, svolgono attività politica (antigovernativa) invece che dedicarsi ai programmi sociali per i quali chiedono sia autorizzata la presenza nel paese.

Di fronte a tale atteggiamento, il governo ha deciso di rivedere i contratti con quelle Ong che, lungi dall’operare secondo contratto con il Ministero degli Esteri, si dedicano alla formazione di organismi politici di opposizione e finanziano - con stipendi, auto e uffici documentati pubblicamente - il personale dirigente del Mrs, passato definitivamente dall’epopea rivoluzionaria al retrobottega dei corrotti. L’apertura dell’inchiesta, con le perquisizioni in cerca dei libri contabili delle Ong, è stata l’occasione per la seconda tappa dell’offensiva mediatica e politica contro il governo. Bugie e truffe susseguitesi con straordinaria velocità che annunciavano tragedie, prese di posizioni internazionali e ritiro di paesi donatori che, nella realtà, semplicemente non esistevano. Il tutto, ovviamente, dai giornali, radio, e televisioni di famiglia.

La terza ed ultima tappa è stata, appunto, quella della campagna elettorale, dove sono confluiti praticamente tutti i partiti nicaraguensi in un fronte unico antisandinista e dove, da due mesi prima, si sono levate accuse di brogli quando i sondaggi hanno cominciato ad evidenziare un ulteriore successo dei sandinisti ed una nuova sconfitta dell’opposizione di famiglia. Dal punto di vista dei Chamorro, il Paese é cosa loro. Il Nicaragua, invece, da almeno due anni, e con maggior forza da qualche giorno, è tornato ad essere il paese dei nicaraguensi.