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La fede negli astri. Dall'antichità al Rinascimento

di Marie Rebecchi - 18/11/2008

Fritz Saxl, La fede negli astri. Dall'antichità al Rinascimento

 

 

 

 

 

 

 

La Fede negli astri di Fritz Saxl è stato recentemente ripubblicato, dopo la prima edizione del 1985, presso la collana Universale dell’editore Bollati Boringhieri. Questa edizione si segnala per la cura e la ricca introduzione di Salvatore Settis – oggi direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa e da sempre tra i più illustri esperti del lascito warburghiano –, in cui si ripercorrono gli snodi essenziali della biografia intellettuale di Fritz Saxl, inizialmente discepolo di Wölfflin e poi tra più noti epigoni dello storico dell’arte amburghese Aby Warburg. Fedele continuatore del progetto del suo maestro, Saxl contribuì a creare un vero e proprio spazio di pensiero – Denkraum – costituito dalla vastissima Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg , allestita ad Amburgo nei primi anni del Novecento e ampliata a tal punto che già nel 1929 comprendeva l’impressionante numero di 65000 volumi. La volontà di Warburg era stata, infatti, quella di allestire uno spazio che permettesse di poter stabilire legami ovunque esistessero frontiere tra le discipline. Questo spazio fu, pertanto, il luogo di costituzione della “scienza senza nome” warburghiana: biblioteca di lavoro e contemporaneamente luogo adibito alla formulazione di questioni aperte, al cui vertice si collocava il problema del tempo e della storia; a questo proposito Saxl  poteva affermare che proprio al vertice (an der Spitze) della Biblioteca doveva essere collocata la sezione di filosofia della storia. Fu proprio grazie alla determinazione e alla dedizione di Saxl che nel 1933, dopo le prime persecuzioni naziste, la Biblioteca Warburg fu traghettata da Amburgo a Londra, garantendo al Warburg Institute la possibilità di essere ancora oggi un importante ed attivo centro di ricerca.

Come viene accuratamente indicato nella nota editoriale, il volume presenta quattro delle ventotto Lectures (The Warburg Institute, University of London,London 1957) che compongono l’edizione originale, non ancora tradotta in italiano (capp. 1, 5, 6, 7). Gertrud Bing aveva, infatti, già raccolto dieci di queste letture conferenze, annotando e ricomponendo i manoscritti che Saxl aveva lasciato inediti alla sua morte, contribuendo in questo modo a realizzare l’edizione italiana di La storia delle immagini (Laterza, Roma-Bari 1965). Il presente volume consta, inoltre, di altri undici studi comparsi fra il 1912 e il 1953 in differenti sedi: il cap. 13 è costituito da uno studio in traduzione italiana, riveduta e corretta da Saxl stesso; i capp. 3 e 11 sono traduzioni dall’inglese, gli altri (capp. 2, 4, 8, 9, 10, 12, 14, 15) sono tradotti dal tedesco. L’ordine in cui compaiono i saggi è dettato da un criterio che segue la cronologia dei principali argomenti trattati. Il volume si avvale inoltre di un ricco apparato di note, di numerosi inserti iconografici – purtroppo sviliti dal bianco e nero dell’edizione economica – e impreziosito da una bibliografia completa degli scritti di Saxl, tanto più apprezzabile data la natura frammentaria ed eterogenea del suo lavoro, consegnato per lo più alla forma di articolo erudito in cui sono redatti la maggior parte dei suoi interventi e conferenze.

Salvatore Settis nella sua attenta introduzione al testo osserva il modo in cui, intorno agli ultimi decenni del diciannovesimo secolo, gli studi astrologici erano tornati di grande attualità «costruendo gradualmente un ampio quadro di migrazione delle conoscenze (in particolare attraverso manoscritti e illustrazioni relative) fondato su prove filologiche, e pertanto ben pronto a offrire linee guida e strumenti di controllo a chi studiasse le immagini degli astri e delle costellazioni» (p. 13). Studiare l’iconografia astrologica si rivelava, dunque, un ottimo metodo sia per verificare i meccanismi di mutamento stilistico, sia per indagare il movimento di diffusione e di elaborazione, avvenuta nel corso dei secoli e attraverso aree geografiche profondamente distanti, delle immagini dei cieli e dei pianeti.

Il campo dell’illustrazione astrologica si era rivelato per Warburg, e in seguito per Saxl, un  terreno assai fertile per testimoniare la necessità di rinvenire, a tutti i livelli iconografici, quella che nel lessico warburghiano è indicata con l’espressione “sopravvivenza dell’Antico” (Das Nachleben der Antike), dimostrando in che modo la persistenza di determinate forme fosse in grado di rompere le linee di continuità attribuite alla storia delle immagini, ridisegnandone i confini e stabilendo nuove coordinate sia geografiche che tematiche. Venivano così messi in rilievo sia i contatti tra l’iconografia orientale e quella occidentale, sia gli scambi tra l’arte nordica (Dürer) e l’arte italiana. A delimitare il campo d’indagine del metodo warburghiano era, dunque, il mondo delle immagini più che l’opera d’arte in sé, e ciò comprometteva la possibilità di tracciare nitidamente i confini di quella ‘scienza senza nome’ che, oltrepassando i limiti dell’estetica, invitava a un audace ampliamento metodologico e a un necessario superamento del perimetro geografico e disciplinare tracciato fino a quel momento dalla storia dell’arte tradizionale. A questo proposito Warburg, a conclusione della sua conferenza intitolata “Arte italiana e astrologia internazionale nel Palazzo Schifanoia a Ferrara” presentata a Roma nel 1912 in occasione del decimo congresso internazionale di storia dell’arte – a cui Salvatore Settis, nella sua corposa introduzione, rimanda a più riprese – esprime programmaticamente il suo intento: «Con il metodo del mio tentativo di interpretare gli affreschi di palazzo Schifanoia spero di aver mostrato che un’analisi iconologica la quale non si lasci intimidire da un esagerato rispetto dei confini e consideri l’antichità, medioevo e evo moderno come un’epoca connessa, e interroghi altresì le opere dell’arte autonoma e dell’arte applicata in quanto sono entrambe e a pari diritto documenti dell’espressione, spero di aver mostrato che questo metodo, cercando d’illuminare con cura una singola oscurità, illumina i grandi momenti dello sviluppo generale nella loro connessione» (Warburg, La rinascita del paganesimo antico. Contributi alla storia della cultura,La Nuova Italia, Firenze 1966, p. 268). Questa forma di approccio interdisciplinare e cronologicamente non lineare caratterizza il metodo d’indagine sia di Saxl che di Warburg, con una rimarchevole differenza: il maggiore accento posto da Saxl circa l’importanza di una riflessione sul Medioevo, inteso non solo come età di transizione ma, soprattutto, di trasmissione della cultura classica. Il ‘paganesimo antico’, secondo Saxl, rinasce e permea la cultura rinascimentale in modo decisamente meno dirompente e meno primitivo di come aveva descritto Warburg nei suoi studi sullo stesso tema “La Rinascita del paganesimo antico”. Secondo Saxl, infatti, sottolineare la centralità del Medioevo come momento storico di elaborazione dell’eredità classica, motore di mutamenti stilistici e terreno fecondo in cui cogliere le prime istanze di ritorno delle forme classiche, gioca un ruolo decisivo anche nello studio delle migrazioni e delle ‘sopravvivenze’ del repertorio iconografico appartenente all’astrologia antica.

Si può affermare che l’incontro di Saxl con Warburg – databile 1911 – avvenne “sotto il segno degli astri”: l’interesse di Saxl per l’astrologia motivò Wilhelm Waetzold, allora assistente di Warburg, a presentare il giovane studente viennese all’ormai affermato storico dell’arte, grande esperto di astrologia. I primi scritti di Saxl di storia dell’astrologia, in cui approfondisce l’interesse giovanile per l’iconografia dei pianeti e dei segni zodiacali rintracciabili nelle sculture del basso impero – fondamentale a questo proposito si rivelò lo studio sulle migrazioni di alcuni elementi iconografici elaborati dalla religione mitriaca (Saxl, Mithras: Typengeschichtliche Untersuchungen, H. Keller, Berlin 1931) –, sono alla base dei primi due capitoli di questo volume che ricostruisce dettagliatamente le raffigurazioni dei pianeti in Oriente e Occidente prendendo in esame le versioni manoscritte della cosmografia di Qazwīnī. Nella copia più antica di quest’opera, redatta a Damasco nel 1366 (München, Bayerische Staatsbibliothek, cod. arab. 464) compaiono le raffigurazioni di sette pianeti, a cui Saxl dedica un’ampia descrizione accompagnata da puntuali rimandi alle tavole iconografiche riprodotte alla fine del capitolo. Il compito che si propone Saxl è quello di stabilire in quale luogo dell’Oriente o dell’Occidente si svilupparono queste raffigurazioni: se è possibile ipotizzare una loro origine nella antica Babilonia, bisogna però analizzare e interpretare anche le fonti letterarie e gli oggetti d’arte per poter attestare con maggiore sicurezza la presenza di un nucleo babilonese nell’ambito culturale islamico (di cui si riscontrano pochissime testimonianze iconografiche). A questo proposito, Saxl dichiara: «Poiché tra l’antica Babilonia e l’Islam passa la tarda antichità con la sua mescolanza di popoli […] dovremmo prendere in esame l’influsso tardoantico sulle raffigurazioni islamiche dei pianeti» (p.133).

Fu grazie agli studi di uno dei più grandi esperti di astrologia antica, il filologo classico di origine tedesca Franz Boll che – come afferma Saxl riprendendo le parole dello stesso Boll –  «Non ha più senso separare Oriente e Occidente» (p. 18). Il celebre lavoro di Boll, Sphaera (Teubner, Leipzig 1903), si rivelò decisivo nello sviluppo degli studi astrologici di Warburg e Saxl. Anche le ricerche storico-astrologiche di Boll muovono dallo studio dei manoscritti di Monaco e da alcuni excerpta di età bizantina, ampliandosi e arricchendosi grazie a una scoperta filologica di fondamentale importanza: la scrupolosa ricostruzione, attraverso i secoli e i numerosi passaggi geografici, della sphaera barbarica, a cui Saxl dedica un intero saggio dal titolo “Sphaera barbarica: l’astrologia orientale e Andalò di Negro”(cap. 8). La sphaera barbarica in origine era costituita da un elenco di paranatellonta (costellazioni) compilato nel primo secolo a.C. dall’astrologo greco Teucro detto il “Babilonese” proprio per aver arricchito il catalogo stellare di Arato di Soli (poeta greco che compose intorno al 275 a.C. un poema dal titolo “Fenomeni” che può essere considerato come la prima opera di “mitologizzazione” e divulgazione delle conoscenze astronomiche di Eudosso di Cnido). Il catalogo di Teucro, passando attraverso la Persia, giunse nel nono secolo nelle mani dell’astrologo arabo Abū Maٔ šar e, in seguito, arrivò in Spagna e in Sicilia, dove divenne oggetto di studio da parte di astrologi europei come Michele Scoto e Pietro d’Abano. Questo testo, recuperato e ricostruito da Boll, è in grado dunque di ripercorrere la «migrazione favolosa» (p. 18) e le reciproche influenze del sapere astrologico babilonese, greco, arabo e infine europeo.

Con Warburg la ricostruzione storica delle illustrazioni astrologiche, avvenuta in gran parte attraverso il percorso tracciato dalla sphaera barbarica, trova spazio all’interno delle sue ricerche storico-artistiche. Nel suo saggio su Arte italiana e astrologia internazionale nel Palazzo Schifanoia a Ferrara (La rinascita del paganesimo antico, op. cit.)Warburg fornisce la chiave di lettura per decifrare le misteriose figure astrali dipinte sulle pareti del Salone dei Mesi, connettendo l’enigmatico impianto degli affreschi astrologici proprio con le descrizioni contenute nel trattato dell’astrologo arabo Abū Maٔ šar. Warburg dimostra di essere riuscito a riconoscere l’immagine del primo decano dell’Ariete di Palazzo Schifanoia nel cosiddetto “vir niger”, rintracciabile nella versione “indiana” della descrizione compiuta da Abū Maٔ šar delle immagini raffiguranti i trentasei decani (figure di natura divina che incarnano gli attributi delle costellazioni zodiacali).

La direzione in cui si muove l’intero progetto di Saxl, seguendo fedelmente le tracce lasciate da Warburg, è quella di una forte e decisa volontà di rinnovamento della storia dell’arte, che può avvenire solo grazie allo sconfinamento dai territori e dai repertori tradizionalmente riconosciuti come inviolabili dai “custodi” della disciplina. L’iconografia astrologica si configura come uno dei possibili filoni di ricerca in grado di estendere l’universo delle immagini e moltiplicare i problemi e gli enigmi della storia dell’arte. A questo proposito si rivelano illuminanti le parole di Settis: «La direzione è chiara: lo sforzo di Warburg, e subito dopo di Saxl con lui, fu di trasferire a pieno titolo la ricchezza problematica di un Boll nel campo della storia dell’arte mettendo al centro dell’attenzione le illustrazioni astrologiche» (p. 21).

 

Saxl, Fritz, La fede negli astri. Dall’antichità al Rinascimento, a cura di Salvatore Settis, Bollati Boringhieri, Torino 2007, pp. 528, € 20