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Il rinascimento della campagna

di Vandana Shiva - 20/11/2008



Anche se potete pensare che i nostri contadini indiani siano al sicuro nelle
loro libertà, devo ricordare che le stesse leggi e politiche che hanno
distrutto le basi su cui si reggevano i piccoli contadini in Italia, gli stessi
processi sono stati avviati anche in India in questo periodo e i nostri sforzi
e la nostra lotta è la stessa, per una medesima libertà.
Sono tre i processi coi quali le libertà dei contadini sono soffocate: il
primo è il furto dei semi, la trasformazione dei semi in un prodotto industriale
e attraverso questo in proprietà intellettuale di cinque società
monopolistiche mondiali, per mezzo dell’ingegneria genetica e dei relativi
brevetti.
In Europa queste libertà sono state spazzate via senza che la gente se
ne accorgesse. Ma quando in India hanno tentato di introdurre i brevetti
sui semi o imporre la coltivazione di sementi registrate, facendo in modo
che lo stato acquistasse il potere di dare il permesso al contadino di coltivare
o meno un dato seme, abbiamo cominciato un grande movimento
gandhiano che abbiamo chiamato il Satyagraha dei semi, un po’ come il
Satyagraha del sale.
Ricordate che quando gli inglesi decisero di istituire il monopolio del
sale, Gandhi fece una marcia fino alla riva del mare e disse che avevamo
bisogno del sale per la nostra sopravvivenza: la natura ce lo dà gratis, ci faremo
il nostro sale e non permetteremo che farsi il sale diventi un reato. Ci
siamo ispirati a quell’episodio e abbiamo detto: «La natura ci dà gratis la
biodiversità e i nostri antenati da tempo immemorabile hanno migliorato
queste varietà usandole, sappiamo a chi e come possono dare da mangiare,
non permetteremo che conservare e scambiare i nostri semi diventi un reato
». Gandhi ha anche detto che è solo se ci facciamo dominare da leggi ingiuste
che le leggi ingiuste possono restare in vigore. Perciò la Carta per il
Rinascimento agricolo che viene proposta qui contiene la decisione di non
essere governati da leggi ingiuste. E ricordo che il Manifesto dei semi che
abbiamo scritto insieme alla Commissione Internazionale sul futuro del
cibo ha fatto sì che la Regione Toscana applicasse queste regole della libertà
per il contadino di avere le proprie varietà e scambiarle liberamente.
Il secondo sistema col quale il piccolo contadino viene mandato a gambe
all’aria o riempito di un numero insopportabile di regole è il falsissimo
argomento della sicurezza alimentare. Eppure tutti gli attentati alla nostra
sicurezza alimentare vengono dai processi industriali. I danni vengono
dalle sostanze chimiche messe dalle industrie negli alimenti, dai pesticidi
usati per coltivare a macchina le piante alimentari, dalle sostanze chimiche
usate per trasformare gli alimenti e dalle condizioni in cui vengono allevati
gli animali nei capannoni delle fabbriche. Ovviamente molti alimenti
sono prodotti in processi industriali, dove migliaia di galline e migliaia di
mucche sono tenute insieme in capannoni nelle condizioni ideali per lo
svilupparsi di malattie.
Flagelli come la mucca pazza e l’influenza aviaria sono stati generati
dai processi industriali, ma queste leggi di falsa sicurezza non ne tengono
conto e provocano due conseguenze.
Per prima cosa impongono i parametri industriali sul singolo piccolo
contadino per impedirgli di essere libero e perciò di essere vitale. E la seconda
cosa che fanno è distruggere i piccoli contadini privilegiando questi
parametri e rendendoli obbligatori per tutta l’agricoltura e la società.
Voglio fare solo due esempi.
Nel 1998 l’industria della soia negli Stati Uniti decise di impadronirsi
del mercato mondiale dell’olio alimentare, ma già all’epoca la maggior parte
della soia coltivata negli USA era geneticamente manipolata. In India
abbiamo degli oli meravigliosi, non abbiamo olio d’oliva ma abbiamo il
nostro olio di senape, abbiamo l’olio di sesamo, l’olio di cocco e ogni cucina
regionale decide liberamente l’olio da usare in base alle piante che si
coltivano tradizionalmente nella zona.
Così nel Kerala c’è l’olio di cocco, nell’India settentrionale l’olio di senape
ecc. I gruppi di pressione legati all’industria della soia hanno manipolato
la nostra situazione e sono riusciti a ottenere, da governanti e
funzionari ai vari livelli, la messa al bando degli oli indiani non ottenuti industrialmente
ma prodotti nei frantoi a freddo dei villaggi. Questi frantoi
funzionano in certi casi con un solo animale e un contadino può portarci
a frangere anche un quintale di semi appena. È l’olio più puro, sicuro e
naturale che possa esistere. Porti i tuoi semi oleosi, le tue noci, il tuo cocco
e tutto succede lì davanti ai tuoi occhi, e ti riprendi il tuo olio. Il frantoiano
non può far altro, è suo interesse, che proteggere la sicurezza dell’olio
anche perché si prende la sua percentuale. È un’economia senza denaro e i
tuoi occhi comunque sono là a garantirne la sicurezza. Non c’è bisogno di
polizia, di controlli esterni, perché le persone che vivono con te nei villaggi
non saranno loro a consentire che si peggiori la qualità dell’olio. Ma sono
riusciti a bandire questi oli. Allora ho cominciato un satyagraha, un movimento
di disobbedienza civile. Ho chiamato il presidente del Consiglio dei
Ministri a Delhi e gli ho detto: «Hai messo al bando i nostri oli tradizionali
e i contadini dei villaggi sono in marcia; dicono che non possono mangiare
cibi cotti con l’olio di soia. I nostri bambini non mangiano quella roba,
vanno a letto con la fame, fai qualcosa». Siamo arrivati marciando a migliaia
nelle vie di Delhi, abbiamo rovesciato la soia nelle strade e abbiamo
avvisato che avremmo violato il bando e disobbedito ai divieti, avremmo
prodotto l’olio più sano di tutti: l’olio di senape. «E voglio che tu riceva in
dono la prima bottiglia». Il Primo ministro ha perso il posto ma l’olio si è
salvato. La legge è ancora là sulla carta ma non può essere usata per minacciare
la gente e costringerla a abbandonare le sue coltivazioni tradizionali.
L’altro caso lo si è visto in televisione tutti i giorni per diverso tempo:
si tratta della folle gestione dell’influenza aviaria. L’influenza è cominciata
nei capannoni degli allevamenti industriali di polli ma si sono visti regolarmente
uomini vestiti di tute lunari scendere nei villaggi, arraffare le galline
e macellarle: in Vietnam, in Tailandia, in Indonesia, in Birmania, in India,
perché l’Asia è l’ultima riserva di galline che vivono libere.
Le grandi società hanno usato la diffusione dell’influenza aviaria provocata
da loro affinché, invece di chiudere gli allevamenti industriali di polli,
venissero vietate le galline libere e fatti chiudere gli allevamenti all’aperto.
Parlando di galline mi viene in mente una conversazione che ho avuto
con un giovane amico tedesco nella quale ci siamo resi conto che i piccoli
contadini in India sono come le galline in libertà, che sanno come tirar su
i propri vermi, cosa mangiare, sanno vivere senza un capitale e senza una
gabbia. E il piccolo coltivatore diretto europeo è come una gallina di un
allevamento industriale a cui è stato fatto credere che la gabbia è l’unico
posto dove si può stare. Ma adesso dobbiamo mettere insieme i movimenti,
il nostro delle galline libere per evitare di esser spinte dentro le batterie
industriali e il movimento di voi che siete stati in gabbia e volete venir fuori
all’aperto, perciò il nostro luogo d’incontro è la porta dell’allevamento in
batteria dove voi rifiutate di restare e noi rifiutiamo di entrare, così che
insieme possiamo, uniti, riprenderci e difendere le nostre libertà.
La Carta per il Rinascimento delle libertà dei piccoli contadini che si
presenta qui è molto importante per i contadini di tutto il mondo e vorrei
trasformare questo in un dibattito globale in modo che, come abbiamo
preparato un manifesto sul futuro del cibo e sul futuro dei semi, si prepari
anche un manifesto sul futuro del piccolo contadino in quanto dichiarazione
della nostra libertà e indipendenza. Questa dichiarazione è diventata
un imperativo scientifico, una necessità per poter far arrivare il cibo alla
gente, una necessità per proteggere il pianeta.
La libertà del piccolo contadino non assomiglia alla libertà delle società
monopolistiche multinazionali.
Le società si prendono la libertà allo scopo di inquinare, avvelenare,
distruggere. Quando i piccoli contadini si prendono la libertà lo fanno
per nutrire il mondo e questo diventerà sempre più importante nei prossimi
anni.
La stessa industria che dieci anni fa tentò di costringerci a bere, mangiare
e cucinare con il suo olio di soia geneticamente modificato, oggi trova
più vantaggioso, a causa dei sussidi governativi, usare quell’olio come
carburante per le macchine. Tutta questa nuova corsa alla produzione
industriale di biocarburanti invece di alimenti dalle piante, ha fatto raddoppiare
i prezzi del cibo. Secondo i miei calcoli non c’è abbastanza terra
nel mondo per sostituire i carburanti fossili necessari a far funzionare il
sistema industriale.
Se il prezzo del cibo è raddoppiato in un anno è segno che non ci sarà da
mangiare per la gente. Voi avete l’aumento della pasta, il Messico l’aumento
delle tortillias, noi abbiamo l’aumento del chapati e del riso e i prezzi
degli alimenti hanno superato le capacità di spesa del 60% dell’umanità.
Quello che nessun governo è in grado di controllare è la rabbia della
gente quando i prezzi degli alimenti non sono più alla sua portata. Perciò
assisteremo a una crescente instabilità sociale e in questo contesto il
piccolo contadino, le produzioni locali, la distribuzione su piccola scala a
livello locale, la vendita diretta, sono la sola sicurezza futura, se non le ricostruiamo
non ci sarà nessuna sicurezza alimentare. Ecco perché il piccolo
contadino deve essere libero: affinché il resto della società possa essere
liberato dal pericolo della fame.
È per questa ragione che dobbiamo difendere con decisione i piccoli
contadini e la loro libertà, proprio per i prezzi che, senza di loro, il pianeta
sarebbe costretto a pagare, compresa la catastrofe climatica e il caos. Secondo
le ricerche che ho fatto in occasione del nuovo manifesto sul futuro
del cibo, in un periodo di cambiamento climatico, circa il 25% delle emissioni
di gas serra che stanno cambiando il clima dipendono dal modo con
cui vengono prodotti e distribuiti gli alimenti.
Se lavoriamo in modo ecologico, con piccole aziende agricole locali,
possiamo eliminare da un giorno all’altro il 25% delle emissioni.
In questo impegno, coloro che si sono battuti dalla parte della terra, che
hanno lavorato per il suolo, coloro che capiscono l’ecologia dei processi
in agricoltura, troveranno nelle piccole realtà agricole e nella coltivazione
ecologica il vero futuro del movimento ecologista.
Sfortunatamente molti amici dei nostri movimenti che lavorano seduti
negli uffici, con le carte, costruendo le campagne di mobilitazione, improvvisamente
sono nel panico per il cambiamento climatico. Ma da ora
in poi sarà il movimento per i piccoli contadini la guida nell’indicare i veri
obiettivi ecologici per cui operare.
La passata generazione dei movimenti ecologisti è obsoleta per il nostro
tempo, con le loro concezioni di una natura selvatica e senza gli esseri
umani, non possono più essere liberanti, possono solo peggiorare la situazione.
Perciò il movimento per i piccoli contadini è il solo movimento
ecologista autentico e reale oggi nell’offrire soluzioni agli enormi problemi
che abbiamo davanti.
La terza ragione per cui abbiamo bisogno di questo rinascimento
dell’agricoltura fondato sul piccolo contadino è perché si tratta di un imperativo
scientifico.
Sono una scienziata e considero un abuso trattare nello stesso modo
l’agricoltura chimica e quella biologica, l’industria degli affari della Carghill
nei campi come l’agricoltura di un piccolo contadino. Le azioni sono
diverse, i metodi sono diversi, e i prodotti che ne risultano sono diversi.
L’unica cosa che la scienza esige è la capacità di distinguere fra cose diverse.
Non è scienza quando cose diverse sono messe nella stessa scatola e
trattate come un’unica cosa. Alimenti contaminati chimicamente, cibi che
hanno viaggiato per migliaia di chilometri producendo enormi quantità di
emissioni di ossido di carbonio non possono essere trattati come i cibi coltivati
con cura e amore e distribuiti faccia a faccia nell’ambito dei rapporti
umani di una comunità. Sono diversissimi nella loro condizione e sono
diversissimi nelle loro qualità intrinseche.
Abbiamo bisogno di dare riconoscimento al buon cibo, abbiamo bisogno
della libertà di evitare i cibi cattivi.
Sono consapevole che tutta l’offensiva contro la buona agricoltura, e
la buon agricoltura si basa necessariamente sul piccolo contadino, ha tre
origini.
Una è il paradigma industriale, il modo industriale di guardare al mondo,
di vederlo come una macchina, cioè la visione meccanicistica; la seconda
viene dal fatto che da tempo si è formata una discriminazione culturale
contro coloro che producono il cibo, considerato il lavoro di minor valore
e io penso che sia giunto il momento nell’evoluzione umana in cui questo
lavoro deve cominciare ad essere considerato il più importante, la maniera
più alta di vivere e servire la terra e la gente: si tratta di una questione culturale.
E la terza origine viene dalle grandi società internazionali, solo avide,
che manipolano i regolamenti e le leggi, e in totale consapevolezza snaturano
il sistema della libertà economica per instaurare il loro monopolio.
E noi dobbiamo affrontare tutte e tre questi motivi. Dobbiamo affrontare
il paradigma industriale, meccanicista, dobbiamo affrontare l’esclusione
culturale contro le aree agricole. E naturalmente dobbiamo affrontare le
società monopolistiche, le loro bugie e le loro distorsioni della realtà.
Se io potessi morire dopo che avremo riportato i contadini al centro del
pensiero economico e al centro del rispetto sociale, avrei vissuto una vita
degna di essere vissuta.
E stando seduti in questa bellissima sala rinascimentale, con la frase
«provando e riprovando» scritta qua sopra, non dimentichiamo che mentre
le regole che hanno distrutto la terra e il suolo manifestano il proprio
fallimento, abbiamo di nuovo bisogno del contadino, di ricostruire i nostri
poderi, di provarci e riprovarci ancora senza mai stancarsi. Nella storia
l’insaziabile avidità degli imperi ha distrutto la terra, ha distrutto l’economia
agricola ed è stata il fondamento della loro rovina e poi di nuovo il
suolo recupera e le comunità agricole rinascono. Così proviamo e proviamo
di nuovo: è già successo, dobbiamo continuare a farlo, ma siamo in un
momento unico della storia per dare inizio a questa chiamata, al Rinascimento
agricolo nelle campagne.