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CO2: cominciamo a combatterla dalle campagne

di Giacinta d'Agostino - 02/12/2008

 

Nel numero scorso di Natura & Benessere il professor Claudio Botrè lanciava un preoccupante allarme sullo stato del nostro Pianeta, sottolineando la necessità di affrontare con consapevolezza la cosiddetta Età della CO2. Quanto sia preoccupante la situazione in cui versa la Terra ha trovato recentemente conferma nelle parole di Jeremy Rifkin. Secondo l’economista statunitense è l’Europa che deve farsi carico di condurre il mondo nell’attuazione della Terza Rivoluzione Industriale, l’unica chance possibile per superare un’epoca, la nostra, dominata dall’anidride carbonica e garantire un futuro ai nostri figli. Per far ciò si dovrà ricorrere strategicamente alle risorse della campagna recuperando le nostre più preziose radici. Il mondo agricolo, dunque, potrà essere protagonista della tutela del nostro Pianeta, attanagliato dalla crisi ambientale più preoccupante e subdola che l’uomo abbia mai vissuto.



 


Vincent Van Gogh, La pianura di La Crau(part.),1888
«Entro questo secolo ci sarà un cambiamento climatico importante con 3 gradi centigradi in più; ciò porterà la Terra alla situazione di tre milioni di anni fa, cioè nell’era preglaciale». Con questa allarmante affermazione l’economista americano Jeremy Rifkin ha evidenziato come il cambiamento climatico rappresenti la crisi più difficile da affrontare per la specie umana. Vegetalia, il salone dedicato alla produzione di energia dall’agricoltura che si è svolto alla Fiera di Cremona nel febbraio 2007, si è prospettata come la migliore occasione per parlare di energia, di ambiente e di fonti rinnovabili.

 

A fronte di dati ormai consolidati, la comunità scientifica internazionale è giunta finalmente alla conclusione che il principale componente del cambiamento climatico globale è il riscaldamento prodotto dall’uomo, un mutamento che peraltro si è manifestato molto più velocemente di quanto previsto. Al fine di intervenire su questo andamento esiste, secondo Rifkin, una precisa strategia, adottando la quale sarebbe possibile superare la cosiddetta “era dell’anidride carbonica” e ridurre, quindi, il riscaldamento globale della Terra. L’economista americano non ha usato mezzi termini: l’unica strada da percorrere è quella di attuare la “Terza Rivoluzione Industriale”, un’azione che si articola su cinque pilastri, tre dei quali riguardano direttamente proprio l’anidride carbonica. Il primo punta ad una riduzione, nell’Unione europea, pari al 20% delle emissioni di CO2; il secondo individua, entro il 2020, la limitazione di tali emissioni del 30% al fine di tornare ai livelli del 1999. In merito a tale azione, Rifkin sottolinea la necessità di applicare, per legge, questi limiti in tutto il mondo. Gli interventi proposti dall’economista statunitense potrebbero portare a quello che è il cardine del terzo pilastro: entro il 2020 in tutto il mondo la produzione di anidride carbonica dovrebbe essere per legge pari al 20% del totale. A queste tre azioni opportunamente mirate, l’economista americano propone di affiancare altri interventi di tipo strutturale come, ad esempio, la realizzazione entro il 2025 di una infrastruttura dove immagazzinare l’energia in celle combustibili di idrogeno (quarto pilastro) e l’utilizzazione della tecnologia Internet per riconsiderare tutta la rete elettrica europea (quinto pilastro). In particolare la rete web, sistema globale e rapido di scambio delle informazioni, potrebbe divenire lo strumento ideale per la distribuzione, da parte degli utenti, delle proprie energie rinnovabili. Delineata la strategia essenziale per combattere i mutamenti climatici, Rifkin esorta quindi il Bel Paese a divenire leader all’interno dell’Unione europea in materia di fonti rinnovabili. La nostra Penisola, infatti, dispone di quelle “materie prime” essenziali ad un approvvigionamento energetico compatibile. «Se l’Arabia Saudita è il paese simbolo di ricchezza per il petrolio, l’Italia lo è per le fonti rinnovabili disponendo di sole, vento, maree e biomasse in abbondanza» (incendi boschivi ed urbanizzazione selvaggia a parte, ndr) evidenzia il ricercatore americano, spronando i leader italiani ad essere i promotori della Terza Rivoluzione Industriale fondata sulle energie rinnovabili e sull’idrogeno: «se lo facciamo i nostri figli avranno una speranza di futuro; se non lo faremo, non ne avranno». L’economista americano non usa mezzi termini nell’incalzare l’Unione europea ad impegnarsi in tal senso, identificandola peraltro quale organismo in grado di salvare la biosfera e suggerendo la strada da percorrere: «nei prossimi vent’anni l’Unione europea – la regione più importante al mondo per la sostenibilità e la leadership ecologica – deve agire come hanno fatto gli Stati Uniti per portare l’uomo sulla Luna: creare la tecnologia necessaria».

 


Rifkin replica, peraltro, all’industria del carbone ed alla possibilità di produrre “carbone pulito” che tale tecnologia sarà utilizzabile solo nel 2020 e quindi gli effetti concretamente rilevanti si registrerebbero solo nel 2040, troppo tardi a detta dell’economista. Anche l’impiego del nucleare non sarebbe perseguibile in quanto «le centrali sono troppo costose, anche sostituire quelle esistenti ha un costo di miliardi di dollari». A tutto questo si aggiunge il non semplice problema delle scorie da smaltire e delle forniture di uranio.

 

La strada, quindi, appare una sola: quella delle energie rinnovabili di cui l’Italia è ricca. La Coldiretti sposa in pieno la strategia energetica di Rifkin ed individua anche le direttrici sulle quali il nostro Paese può avviare la sua Terza Rivoluzione Industriale: potenziando le coltivazioni rivolte alla produzione di biocarburanti (biodiesel e bioetanolo), utilizzando residui agricoli, forestali e di allevamento e installando pannelli solari presso le aziende agricole. Così facendo, l’Italia potrebbe arrivare – secondo Coldiretti – a coprire con l’agroenergia fino al 13% del fabbisogno energetico nazionale, risparmiando oltre 12 milioni di tonnellate di petrolio-equivalenti e riducendo le emissioni di anidride carbonica di origine fossile per un quantitativo pari a 30 milioni di tonnellate, un contributo determinante dunque per contrastare il cambiamento del clima. Le alternative concrete al petrolio che la campagna può offrire consentirebbero all’Italia di raddoppiare il contributo fornito dalle fonti rinnovabili al fabbisogno energetico nazionale, senza però dimenticare che anche l’agroenergia produce anidride carbonica, ma tale produzione è in percentuale notevolmente più bassa rispetto a quella proveniente dalla combustione dei carburanti fossili.

«Si tratta di cogliere le opportunità derivanti da una agricoltura rigenerata – afferma Coldiretti – effettuando una scelta di civiltà per il Paese ma anche una responsabilizzazione delle imprese agricole. Queste, infatti, possono diventare protagoniste di uno sviluppo sostenibile e contribuire in modo fattivo al raggiungimento degli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto». Un impegno, quello di produrre energia alternativa, che in Italia ha già i suoi proseliti: l’Associazione Produttori Energie Rinnovabili (A.P.E.R.), infatti, con i suoi 200 associati e i suoi 400 impianti ogni anno produce 6 miliardi di kW di elettricità sfruttando il soffio del vento, la forza dell’acqua, la vitalità della natura e i raggi del sole. Francesco Cariello, responsabile dello staff per le biomasse e il fotovoltaico dell’Aper, sottolinea l’interesse manifestato dal mondo agricolo sulla possibilità di inserirsi in modo sostanziale nella produzione di energia, anche per gli importanti risvolti economici: un panorama fiscale più vantaggioso, ricavi considerevoli e l’incertezza derivante dalla Politica Agricola Comune dell’Unione europea fanno, dunque, di questo nuovo fronte imprenditoriale un settore degno di attenzione per l’agricoltura. Infatti, non va sottovalutato l’aspetto economico: un MW di energia rinnovabile viene pagato 70 euro e la produzione è assegnataria di un’incentivazione, elargita sotto forma di certificato verde riconosciuto per 12 anni, il cui valore si aggira sui 100 euro per MW per un totale quindi di circa 170 euro a MW, ricavo ben superiore a quello che si riscontra nel resto d’Europa e sul quale grava solo una piccola aliquota Irap. In Italia, gli agricoltori pionieri nella produzione di energia verde sono circa 200, la maggior parte dei quali localizzati in Lombardia ed in Emilia Romagna. Un dato esiguo che colloca il nostro Paese molto in basso nella classifica europea di produttori di energia dall’agricoltura, al contrario di quanto avviene per la produzione di energia geotermica per la quale siamo, invece, i leader in Europa.

 


Gian Benedetti,Fondo valle, 1990
Eppure, il panorama energetico in cui versa l’Italia non è certo positivo visto che viene importata energia elettrica pari al 15% del fabbisogno totale; una percentuale che secondo Cariello «potremmo essere in grado di produrre autonomamente, ma ci sono fattori economici che inducono ad importare energia nucleare».

 

L’Italia è certamente in ritardo nella produzione di energie alternative: attualmente si producono 5 milioni di tonnellate di petrolio-equivalente che nel 2030 potrebbero diventare 25 milioni, se si intervenisse con un consistente incremento di quella ricavata dal settore agricolo. Qualcosa, comunque, è stato fatto come l’accordo sul biodiesel con Assocostieri (l’associazione delle aziende che operano nel settore della logistica energetica). Secondo tale intesa, nel 2007 gli ettari dedicati alla coltivazione di colza, soia o girasole saranno 70mila, coltivazione dalla quale deriveranno gli oli per produrre un combustibile biodegradabile, non tossico, primo ed unico carburante alternativo riconosciuto dall’E.P.A. (U.S. Environmental Protection Agency), l’Agenzia per la protezione dell’Ambiente statunitense; l’estensione di questo tipo di produzione agricola nel 2010 dovrebbe arrivare a 250mila. Sul modello di tale intesa dovrebbe seguire un contratto simile con Assoelettrica, l’Associazione Nazionale delle Imprese Elettriche, in materia di bioetanolo, cioè alcol ottenuto mediante un processo di fermentazione di diversi prodotti agricoli ricchi di carboidrati e zuccheri. Il futuro delle agroenergie in Italia potrebbe concretizzarsi, secondo Paolo De Castro, il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali «installando impianti di microgenerazione di energia elettrica e raggiungendo il milione di ettari di coltivazione a regime per produrre agroenergie in biodiesel, biomasse e bioetanolo».

Sono grandi numeri quelli che, secondo De Castro, possono essere messi in campo sulle agroenergie: almeno un milione e mezzo di aziende agricole interessate, un milione e 200mila ettari coltivabili già pronti per la produzione e potenzialità per produrre il 10-20% dell’energia che consumiamo totalmente dalle risorse agro energetiche italiane. Intanto a Parigi è stato presentato il rapporto sull’evoluzione del clima: una conferma della gravità della situazione del Pianeta. Il surriscaldamento globale aumenterà “probabilmente”, entro il 2100, da un minimo di 1,8 gradi a un massimo di 4, cioè il raggio dei valori più probabili stimati dagli esperti per l’ultima decade del secolo (2090-2099), in rapporto a quella del secolo precedente (1990-1999).


Gian Benedetti, Bolle di sapone
Secondo gli esperti, gli effetti di questo riscaldamento e del conseguente scioglimento dei ghiacci, alla fine del secolo, potrebbero portare ad un aumento del livello degli oceani da un minimo di 19 centimetri a un massimo di 58, compromettendo l’esistenza di gran parte delle coste abitate della Terra. Se qualcuno può aver sorriso all’idea di poter ricavare energia da un pomodoro, sappia che non si tratta di una fantasia ma di una opportunità per salvare il mondo aggredito dall’anidride carbonica generata dagli attuali sistemi di produzione di energia. Un’opportunità certo non risolutiva; non sarà forse l’agroenergia a farci superare l’Età della CO2, ma il mondo agricolo può fare la sua parte nella diminuzione della produzione di questo gas. Accendere un pomodoro, dunque, o meglio iniziare ad utilizzare in modo sostanziale l’agroenergia, può davvero significare qualcosa in questo particolare momento per contribuire all’abbattimento del quantitativo di energia importata nel nostro Paese e per stimolare una consapevolezza nell’opinione pubblica, coinvolgendo il settore in cui l’Italia da sempre affonda le proprie radici: l’agricoltura.

 

Il Bel Paese, infine, sarà messo alla prova sulle proprie strategie a favore dell’ambiente nel prossimo mese di settembre in occasione della Conferenza nazionale sul clima alla organizzazione della quale il Ministro dell’Ambiente, della tutela del territorio e del mare Alfonso Pecoraro Scanio ha chiamato a far parte della squadra proprio Jeremy Rifkin.