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Come alimentiamo la guerra più sanguinosa dell’Africa

di Johann Hari - 02/12/2008

Hari Joann




La guerra più letale dai tempi in cui Adolf Hitler marciava lungo l’Europa sta ricominciando: e voi quasi certamente del massacro portate un qualche pezzo insanguinato in tasca. Se diamo uno sguardo all’olocausto in Congo, con 5,4 milioni di morti, i clichés sull’Africa saltano via: questo è un “conflitto tribale” nel “Cuore di tenebra”. Non lo è.




L’indagine ONU ha rilevato che si tratta di una guerra condotta da “eserciti degli affari” per impossessarsi dei metalli che fanno brillare e svolazzare la nostra società del XXI secolo. La guerra in Congo è una guerra per voi.
Ogni giorno penso alle persone che ho incontrato nelle zone di guerra del Congo orientale quando facevo l’inviato da quelle parti. Le corsie erano piene di donne stuprate in gruppo dalle milizie e poi sparate nella vagina. I battaglioni di soldati-bambini: tredicenni drogati e imbestialiti costretti a uccidere propri familiari in modo che non tentassero la fuga per tornarsene a casa. Eppure, stranamente, quando guardo la guerra che ricomincia alla CNN, mi scopro a pensare a una donna che ho conosciuto e  che non aveva sofferto all’estremo, almeno secondo gli standard congolesi.
Stavo tornando in auto a Goma da una miniera di diamanti quando forai una gomma. Mentre aspettavo che fosse riparata, me ne stavo sul ciglio della strada a osservare le lunghe file di donne che avanzano con fatica in ogni strada del Congo orientale caricandosi tutti i loro averi sulla schiena in fardelli impossibili. Fermai una 27enne, di nome Marie-Jean Bisimwa, che aveva quattro bimbettini che gironzolavano al suo fianco. Mi disse di essere fortunata. Certo, il suo villaggio era stato bruciato; sì, aveva perso il marito da qualche parte nel caos; certo, sua sorella era stata violentata e ne era uscita pazza. Ma lei e i suoi figli erano vivi.
Le diedi un passaggio, e fu solo dopo qualche ora di chiacchiere su strade punteggiate da voragini che mi accorsi di qualcosa di strano nei bambini di Marie: piegati in avanti, gli sguardi fissi di fronte a loro. Non si guardavano intorno, né parlavano, né sorridevano. «Non sono mai riuscita a dargli da mangiare», disse. «È colpa della guerra».
I loro cervelli non si erano sviluppati, né sarebbe più stato possibile, ormai. «Miglioreranno?» chiese. La lasciai in un villaggio alla periferia di Goma, e i suoi bimbi incespicavano dietro di lei, senza espressione.
Ci sono due storie su come è iniziata questa guerra: la storia ufficiale, e quella vera. Quella ufficiale è che dopo il genocidio ruandese i massacratori hutu erano corsi via oltre confine in Congo, inseguiti dal governo ruandese. Ma è una menzogna. Come facciamo a saperlo? Il governo ruandese non andò dov’erano i genocidi hutu, almeno non subito; andò dove c’erano le risorse naturali del Congo, e iniziarono a depredarle. Dissero perfino ai propri soldati di lavorare con qualunque hutu che incontrassero. Il Congo è il paese più ricco al mondo in oro, diamanti, coltan, cassiterite e altro ancora. Tutti ne volevano una fetta; per cui ben altri sei paesi l’invasero.
Queste risorse non venivano rubate per essere usate in Africa. Erano saccheggiate per essere rivendute a noi. Più ne compravamo, più gli invasori ne rubavano, massacrando. L’avvento dei telefonini ha fatto impennare il numero dei morti, perché il coltan che contengono si trova essenzialmente in Congo. L’Onu ha fatto i nomi delle multinazionali che riteneva coinvolte: Anglo-America, Standard Chartered Bank, De Beers e più di altre cento (tutte negano le accuse). Ma invece di fermare queste multinazionali, i nostri governi hanno preteso che l’Onu la smettesse di criticarle.
Ci furono periodi in cui i combattimenti si infiacchirono. Nel 2003 l’Onu mediò finalmente un accordo di pace e gli eserciti internazionali si ritirarono. Molti continuarono a operare per interposte milizie, ma la carneficina in qualche modo si è ridotta. Fino ad ora. Come fu anche per la prima guerra, c’è una storia di copertina, e la verità. Un capo congolese delle milizie, tale Laurent Nkunda, appoggiato dal Ruanda, afferma di dover proteggere la popolazione tutsi locale da quegli stessi genocidi hutu nascosti nelle giungle del Congo orientale fin dal 1994: ecco perché starebbe occupando basi militari congolesi e per marciare su Goma.
E’ una bugia. François Grignon, direttore per l’Africa dell’International Crisis Group, mi dice la verità: «Nkunda viene foraggiato da affaristi ruandesi ,così quelli possono mantenere il controllo delle miniere nel Nord-Kivu. Questo è il nocciolo sostanziale del conflitto. Ciò cui assistiamo è il combattimento dei beneficiari dell’economia illegale di guerra per mantenere i propri diritti di sfruttamento».
Al momento, gli interessi affaristici ruandesi fanno fortuna con le miniere carpite illegalmente durante la guerra. Il prezzo globale del coltan è crollato, per cui si stanno concentrando avidamente sulla cassiterite, usata per fabbricare lattine e altri articoli usa-e-getta. Quando la guerra iniziò ad affievolirsi, per costoro  si trattava di fare fronte alla perdita di controllo a favore del governo eletto congolese; pertanto le hanno dato un sanguinoso riavvio.
Tuttavia il dibattito sul Congo in Occidente, ammesso che esista, verte sulla nostra incapacità di fornire medicazioni decenti, ignorando che siamo noi a causare la ferita. E’ vero che i 17mila soldati Onu presenti in loco falliscono malamente nel compito di proteggere la popolazione civile e hanno urgente bisogno di ricevere una potente ricarica. Ma è ancor più importante smettere di alimentare la guerra in primo luogo comprando risorse naturali impregnate di sangue. Nkunda ha abbastanza mitragliatrici e bombe a mano per attaccare l’esercito congolese e l’Onu solo perché gli compriamo il bottino. Dobbiamo perseguire legalmente le multinazionali che comprano le materie prime in quanto complici di crimini contro l’umanità, e introdurre una tassa globale sul coltan per finanziare una forza di pace considerevole. Per arrivare a tanto, ci serve costruire un sistema internazionale che valuti le vite dei neri più del profitto.
Da qualche parte laggiù, sperduti nel grande assalto predatorio alle risorse del Congo, ci sono Marie-Jean e i suoi bambini, ancora lì ad arrancare per strada caricandosi sulla schiena tutto quel che hanno; probabilmente non useranno mai un telefono cellulare pieno di coltan, una scatola di fagioli forgiata dalla cassiterite o una collana d’oro, ma può darsi che debbano morire per qualcuna di queste cose.

j.hari@independent.co.uk
Titolo originale: “Johann Hari: How we fuel Africa’s bloodiest war. What is rarely mentioned is the great global heist of Congo’s resources”
The Independent – 30 ottobre 2008

Link: http://www.independent.co.uk/opinion/commentators/johann-hari/johann-hari-how-we-fuel-africas-bloodiest-war-978461.html

Traduzione di Pino Cabras