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Consumismo sessuale

di Carlo Gambescia - 03/12/2008


Ieri, forse confidando troppo nelle capacità critiche della blogosfera, sono andato a prendere di mira una divinità sociale del nostro tempo: la libertà sessuale. Libertà che oggi viene intesa come diritto alla scelta sessuale. Insomma quale diritto sancito dalla legge, come altre forme di libertà dei moderni: di parola, di pensiero, eccetera.
Pertanto, oggi, chiunque osi mettere in discussione il diritto di libertà sessuale viene considerato un nemico della libertà soggettiva tout court. Fermo restando, per contro, che chi scrive resta contrario a qualsiasi repressione violenta dell’omosessualità.
Detto questo, dobbiamo porci una domanda: che cosa ne è della libertà nelle società capitalistiche? In genere, nelle nostre società - società materialistiche per eccellenza - si è liberi solo attraverso il denaro. Ovviamente, per ragioni di consenso sociale, lo stato cerca di colmare il divario tra ricchi e poveri, tra liberi e meno liberi, attraverso interventi volti a mantenere tollerabile la mancanza di denaro. E ciò - ripetiamo - per rendere meno largo il divario sociale che di regola separa la proclamazione dei diritti dalla concreta effettività.
Tuttavia in questo senso ogni diritto di libertà non può non diventare un diritto economico. Per due ragioni.
In primo luogo, perché se ne impossessa il mercato capitalistico trasformando l’esercizio del diritto in atto economico, fonte di rendite, profitti e salari. Valori espressi in nude cifre.
In secondo luogo, perché, per reazione, cerca di impossessarsene di nuovo lo stato, intervenendo a scopi perequativi. Come? Quantificando i diritti i termini reddituali. Facendo così rientrare in gioco le categorie economiche di cui sopra.
Lungo questa dinamica economicista stato-mercato che si allarga e restringe sulla base dell’ elastico movimento dei due poli, i diritti soggettivi si avvicinano o meno, di volta in volta, alla reale effettività, senza però mai raggiungerla. Perché i "confini" del desiderio di beni materiali devono rimanere mobili, pena la cessazione dei giochi di mercato capitalistici...
Pertanto - per tornare al punto - l’esercizio del diritto di libertà sessuale resta legato alle possibilità economiche individuali di renderlo effettivo. Possibilità la cui tutela, almeno nella società capitalistica, resta suddivisa elasticamente tra stato e mercato. Due attori sociali che si palleggiano i diversi diritti, alla stregua dei giocatori di una partita di tennis dalla durata apparententemente infinita.
Ma c’è anche un altro aspetto della questione. Quello del rapporto tra immaginario merceologico e diritti. Dal momento che dal punto di vista "sistemico" l’esercizio di un diritto è un atto economico, non può non essere commercializzato senza pubblicità. Nelle nostre società l’individuo si sente tanto più libero, quanti più beni possiede. Di qui il feroce condizionamento al consumo, attraverso la creazione di un immaginario capace di favorire in misura crescente il consumo di beni. Di conseguenza la libertà di pensiero viene collegata alla possibilità di possedere più televisori; la libertà di parola, al numero dei partiti; la libertà sessuale, al numero di rapporti sessuali, e così via. Nell’ultimo caso si può perciò parlare di consumismo sessuale.
Quali vie d’uscita? Cancellare i diritti? Sarebbe come tradire la modernità. Estendere il potere dello stato, magari di uno stato universale, o di un embrione di stato universale come l’Onu? Sì, ma a che prezzo? Gli esperimenti politici novecenteschi hanno insegnato che lo stato (anche se socialista) burocratizza e livella i diritti in basso, magari tagliando teste per equiparare le altezze dei suoi cittadini. O meglio sudditi.
L’unica possibilità che resta è quella di una crescita - attenzione - interiore, spirituale, non imposta dall’alto, rivolta ad apprezzare chi ci sia vicino per le sue qualità morali, a prescindere dalle sue preferenze sessuali. O peggio ancora dalla sua abilità di attrazione amatoria, più o meno indotta da certo triviale e materialistico universo pubblicitario.
Parliamo di una crescita interiore capace di coincidere con la decrescita esteriore, sempre non imposta dall'alto. Una crescita spirituale in grado di metterci nella condizione di poter separare il diritto alla libertà sessuale da quella enorme quantità di rapporti sessuali che un individuo, come mediaticamente impone il sistema economico attuale, pare debba forzosamente "accumulare" nel corso della sua vita. Al pari delle macchine, delle case, delle barche, dei cellulari e di altri beni prima agognati e poi finalmente posseduti...
Perciò il vero punto della questione è quello di respingere interiormente non la libertà sessuale in quanto tale, ma una libertà libertina funzionale alla società capitalistica: il consumismo sessuale. come dicevamo ieri.
Decrescere quantitativamente ma crescere spiritualmente. E sperare, per ora, nella forza del contagio sociale attraverso l’esempio dei pochi in grado di afferrare una semplice ma inattuale verità: l’uomo non è ciò che copula ( e con chi copula) , ma ciò in cui crede.