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Che il cibo sia la tua medicina

di Giacinta d'Agostino - 03/12/2008

 

Nel corso della storia dell’uomo i cibi hanno rivestito e rivestono tuttora ruoli mutevoli incarnando, in taluni casi, simboli cultuali (di cui ben ci riferisce nell’articolo che segue il dottor Luigi Turinese), in altri invece divenendo emblema di ricchezza trasformandosi, ora in strumento di consolazione o di ricompensa, ora in mezzi di autopunizione come dimostrano i crescenti casi di bulimia ed anoressia. L’avvento di aziende sempre più specializzate nell’offerta gastronomica industriale e il poco tempo dedicato alla cucina favoriscono il sovrappreso e l’indice delle malattie cardiovascolari, aumenta così come il diabete giovanile che ha raggiunto numeri assai elevati. Si profila, dunque, un nuovo compito per gli alimenti: quello di contribuire – se assunti correttamente – alla nostra salute ed alla prevenzione di numerose, quanto subdole patologie tipiche del nostro tempo. Ecco, dunque, che un regime alimentare non sottende più solo l’obiettivo di perdere peso, ma contempla la finalità di mantenere il proprio benessere e prevenire numerose sindromi attraverso l’assunzione (o l’eliminazione) di determinati alimenti. Nelle pagine del Dossier Scientifico, che completa questo Speciale dal titolo Il ruolo dell’alimentazione nella salute e nella malattia, scienziati e studiosi dalle diverse specializzazioni ed appartenenti a diverse Associazioni sono concordi nell’affermare che l’alimentazione non è più solo “carburante” del nostro organismo: è storia, ricerca, scienza ma, soprattutto, quando si allinea ai dettami della Dieta Mediterranea, è prodromo di una vita lunga e sana.


 

La Dieta Mediterranea venne, per così dire, individuata dallo scienziato americano Ancel Keys (1904-2004), autore del libro Eat well and stay well, the Mediterranean way. Keys notò una bassissima incidenza di malattie delle coronarie presso gli abitanti della Campania e dell’isola di Creta, nonostante consumassero quantità elevate di olio d’oliva, ed avanzò l’ipotesi che tale fenomeno fosse da attribuire al tipo di alimentazione caratteristico di quelle aree geografiche. In seguito a tale osservazione prese l’avvio la famosa ricerca Seven Countries Study, basata sul confronto dei regimi alimentari di 12.000 persone, di età compresa tra 40 e 59 anni, sparse in sette Paesi del mondo (Finlandia, Giappone, Grecia, Italia, Olanda, Stati Uniti e Jugoslavia). I risultati non lasciarono dubbi: la mortalità per cardiopatia ischemica era molto più bassa presso le popolazioni mediterranee rispetto a Paesi, come la Finlandia, dove la dieta era ricca di grassi saturi (burro, strutto, latte e suoi derivati, carni rosse, ecc...). Da alcuni anni è stata però riscontrata un’evidente tendenza ad abbandonare la Dieta Mediterranea tradizionale in favore di modelli alimentari diversi. Ciò ha comportato, per esempio, che – secondo i dati Istat del 2001 – in Campania, proprio la regione italiana che colpì Keys - l’incidenza di infarti fosse ben al di sopra della media nazionale. Appare dunque fondamentale che la Dieta Mediterranea sia uno degli atout per nutrirsi con gusto, tenendo conto della salute; una risorsa da custodire e da diffondere. Proprio per questo, in occasione del VII Congresso Internazionale dedicato a tale stile alimentare (Barcellona, marzo 2008), è stata presentata la richiesta di riconoscimento della Dieta Mediterranea quale Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco.

 

 

 


La cultura dell’alimentazione

 

 

L’Italia primeggia per le produzioni agroalimentari di qualità e per il suo tipo di alimentazione, una posizione leader che affonda le radici in un lontano passato e che ha trovato nuovo smalto solo con lo sviluppo economico degli Anni Sessanta. Superata infatti la fase di necessità è iniziata una vera e propria rivoluzione che ha trasformato la nutrizione in scienza, ricerca e cultura. I tratti caratteristici sono ben precisi: riproporre la cucina regionale in chiave moderna attraverso le cosiddette “intermediazioni culturali” delineate sin dal 1891 da Pellegrino Artusi con il testo La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene. La vocazione a prestare particolare attenzione al cibo trova testimonianze ben più lontane, specie se prendiamo in esame il bacino mediterraneo. Notizie su un regime alimentare che avesse accortezza per la tipologia, la qualità e la quantità dei cibi assunti si possono far risalire al vincitore della corsa veloce nelle Olimpiadi del 668 a. C., lo spartano Charmis, che si cibava essenzialmente di fichi secchi il cui alto potere energetico giovava molto allo sforzo fisico. Un secolo più tardi il matematico e filosofo greco Pitagora soleva dire: «amici miei ...ci sono campi di frumento, mele così abbondanti da piegare i rami degli alberi, uva che riempie le vigne, erbe gustose e verdure da cuocere, c’è il latte e il miele odoroso di timo; la terra offre una grande quantità di ricchezze per le quali non si provoca spargimento di sangue o morte...», insomma una dieta, definita il “Vitto Pitagorico”, basata sul consumo di ortaggi, erbe fresche, radici, frutti e semi. Gli atleti delle Olimpiadi seguirono per molto tempo questo tipo di alimentazione, fino a quando Eurymenes di Samo, vincendo una gara pesante di lotta, avrebbe dimostrato che l’alimentazione a base di carne era assai più utile di quella con fichi secchi e formaggio sino ad allora praticata. Secondo altre ricostruzioni, l’introduzione della carne nella dieta degli olimpionici si dovrebbe invece far risalire a Dromeus di Stinfalo, vincitore nelle Olimpiadi del 484 a.C. La medicina di Galeno (II secolo a. C.), rimasta centrale fino a tutto il Seicento, si fondava su un principio da cui derivava la maggior parte delle idee e delle scelte relative alla cura del corpo: «ogni essere vivente possiede una sua particolare “natura” dovuta alla combinazione di quattro fattori: caldo e freddo, secco e umido, a loro volta espressione dei quattro elementi (fuoco, aria, terra, acqua) che costituiscono l’universo. L’uomo può dirsi in perfetta salute quando nel suo organismo i quattro elementi si combinano in maniera equilibrata; se uno di essi prevale sugli altri è indispensabile ripristinare l’equilibrio con opportuni accorgimenti, il primo dei quali è il controllo dell’alimentazione».

Con queste premesse, dunque, entrava in campo la cucina, intesa come “arte combinatoria” in quanto erano rari gli alimenti cui si attribuiva un perfetto equilibrio tipico del pane. Nella stragrande maggioranza dei casi si riteneva infatti necessario un intervento per “correggere” la natura del prodotto: aggiungere liquido alle carni secche bollendole in acqua o asciugare quelle umide, arrostendole. Si tratta di regole entrate poi nell’uso quotidiano, rimaste inalterate fino ad oggi: l’abbinamento del formaggio (caldo e secco) con le pere (fredde e umide), del prosciutto (secco) con il melone (umido) o l’uso del vino per sfumare e riscaldare alcuni prodotti.

 

 

 


Illustrazione tratta da un Tacuinum Sanitatis del XIII secolo
La dieta nella storia

 

 

Il primo concetto di dieta nel senso moderno del termine venne introdotto da Ippocrate (V secolo a. C.) con l’opera Sul regime di vita, mentre nel I secolo a.C. un criterio attuale come “corretto stile di vita” doveva già essere in voga se Cicerone, in una lettera ad Attico, sottolineava che avrebbe cominciato a curarsi con la dieta, in quanto ne aveva abbastanza delle “misure chirurgiche”.

Nell’antica Roma editti e leggi disciplinavano le regole dei banchetti, tanto che l’onore di un nobile romano si fondava sia sulla sua frugalità personale che sulla sua magnificenza di anfitrione. Lo stesso garum, la nota salsa ottenuta dalla fermentazione sotto sale del pesce azzurro, era considerato un medicamento utile a guarire le ustioni, le ulcere, i morsi dei cani e dei coccodrilli. Nell’Alto Medioevo la preparazione dei medicamenti era riservata ai monaci che, negli orti dei conventi, coltivavano i “semplici”, cioè erbe e aromi. La prima vera e propria tabella dietologica proviene dall’Oriente: nell’XI secolo, Ibn Butlan scrive i Sei prodotti innaturali nel quale vengono indicate le proprietà terapeutiche degli alimenti. I monaci della Scuola Salernitana, nel XII secolo, elaborarono una guida quotidiana che forniva alcune indicazioni su come alimentarsi per essere in salute. In particolare, il Regimen Sanitatis Salernitanum sottolineava che i cibi dovevano essere ben cotti e che era salutare iniziare il pasto con la frutta e la verdura, alimenti in grado di mettere in moto la digestione. Il ritrovamento di numerosi tacuinum sanitatis indica con determinazione il ruolo che i cibi possono svolgere nella salute e nel benessere dell’individuo. La scoperta dell’America e l’introduzione nelle abitudini alimentari dei prodotti del Nuovo Mondo (pomodoro, fagioli, cacao e peperoncino tra gli altri...) hanno ulteriormente esaltato la salubrità della Dieta Mediterranea. Il modo di nutrirsi nel corso del tempo si è via via modificato. La rivoluzione industriale, un migliorato tenore economico, l’avvento sul mercato, e nelle case, di elettrodomestici essenziali come il frigorifero, l’adozione della catena del freddo, la possibilità di trasporti sempre più a lungo raggio, la trasformazione del lavoro ed il cambiamento dei ritmi di vita hanno fatto sì che il modello “mediterraneo” di alimentarsi sia in parte scomparso. Si è cominciato a perdere l’abitudine di scegliere i cibi in base alla stagionalità, mentre si sono diffuse le cosiddette contaminazioni culturali dovute alla globalizzazione della società e del mercato alimentare.

 


Dipinto di Botero
Alimentazione e salute

 

Superati i tempi in cui si soleva affermare che “grassezza è mezza bellezza” (che dimostrava anche diversi status sociali), oggi viviamo in un’epoca in cui dominano fattori contrastanti: da una parte l’anoressia e la bulimia, dall’altra il progressivo ed inesorabile aumento dell’obesità. La consapevolezza del ruolo svolto dalla nutrizione, sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo, è ormai acclarata in tutti gli ambiti scientifici e le attuali conoscenze hanno evidenziato, senza ombra di dubbio, che numerose patologie sono causate da una alimentazione inadeguata, spesso ipercalorica e non sempre bilanciata in rapporto alle effettive esigenze energetiche. Lo sviluppo socio-economico e la trasformazione della società hanno contribuito ad assicurare, almeno in Europa, una quantità adeguata di cibo ed i progressi della medicina hanno allungato l’aspettativa di vita. Tutto ciò, però, ha segnatamente determinato anche l’aumento delle principali patologie degenerative, attualmente maggiore causa di mortalità.

 

 


Gerard Terborch, Giovane donna con bicchiere di vino
Il vino, il resveratrolo ed il paradosso francese

 

 

In Francia, nonostante l’alto consumo di alimenti ricchi in acidi grassi saturi, l’incidenza di mortalità per malattie cardiovascolari è inferiore rispetto ad altri Paesi dieteticamente comparabili. Nel 1980 tale condizione venne evidenziata da alcuni epidemiologi francesi e definita paradosso francese. Tale fenomeno è stato inizialmente correlato al consumo di vino rosso, ma negli ultimi anni i ricercatori stanno ampliando il campo delle indagini al fine di dimostrare quali fattori potessero svolgere tale effetto protettivo. Alcuni studi si sono concentrati sull’alcol, evidenziando che un consumo moderato di vino (<40 grammi/die di etanolo pari a circa tre bicchieri) limita l’incidenza di tali malattie, probabilmente per un effetto sul colesterolo HDL e sulla fluidità del sangue. Tale proprietà del vino deriverebbe dai polifenoli di cui esso è ricco e, in particolare, il resveratrolo. Tuttavia non è possibile dimostrare che le proprietà biologiche emerse in vitro siano riproducibili in vivo, considerando che, per assumere adeguate quantità di polifenoli, il consumo di vino dovrebbe essere ben più elevato che due-tre bicchieri al giorno, esponendo così agli effetti negativi dell’alcol.

 

 


Giacomo Ceruti, Natura morta
… e il paradosso emiliano

 

Dopo gli studi approfonditi sulle virtù antiossidanti del resveratrolo, si comincia a capire che il vino è un universo ancora in gran parte sconosciuto. Partendo dalla considerazione che nell’area padana si beve Lambrusco da circa 2.500 anni, Carlo Fernandez, direttore del College di Cardiologia Pratica presso l’Università di Firenze, ha rilevato che in Emilia Romagna, dove si consuma abitualmente una dieta ipercalorica e ricca di grassi, l’incidenza di mortalità e morbilità per patologie cerebro-cardiovascolari è nettamente inferiore rispetto a quella delle regioni limitrofe. Secondo Fernandez, ciò potrebbe essere messo in relazione con l’uso abituale di vino, anzi del vino onnipresente sulle tavole di questa regione: il Lambrusco. Maria Benedetta Donati del Dipartimento di medicina e farmacologia dell’Istituto Mario Negri Sud ha sottolineato come le ricerche sui singoli elementi dei polifenoli dimostrino che i vini Lambrusco analizzati, pur rientrando nella media dei vini rossi italiani per quanto riguarda il contenuto in polifenoli totali, hanno un livello preponderante di “curarine”, sostanze da tempo note per i loro effetti anticoagulanti ed impiegate abitualmente come farmaco obbligatorio in presenza di infarto miocardico, nella terapia post-infarto e in quella relativa agli interventi di angioplastica.

 

 


Rotolo del XV secolo. Monastero Shunpoin, Kyoto
Accade ad Okinawa

 

Durante la Seconda Guerra Mondiale, Okinawa fu teatro di aspri combattimenti tra Nipponici ed Alleati. Oggi, l’isola al largo delle coste del Giappone torna alla cronaca con una strabiliante notizia: sono 800 (50 ogni 100mila abitanti) gli ultracentenari che vivono in questo lembo di terra nell’Oceano Pacifico e godono tutti di ottima salute. La ricetta è semplice: fattori ambientali locali, dieta equilibrata, attività fisica, benessere psicologico e sociale. I cibi che costituiscono la dieta degli abitanti di Okinawa hanno ridotto potere calorico, sono molto nutrienti e ricchi di flavonoidi, acidi grassi Omega 3 e sostanze antiossidanti: pesce, soia, verdure locali, spezie al posto del sale e the verde al gelsomino; inoltre, sono contadini e pescatori, quindi, individui dediti ad attività fisica pesante e continuativa. A tutto ciò si aggiunge che gli abitanti di Okinawa formano una comunità che vive in perfetta armonia all’interno del proprio tessuto sociale e con una fitta rete di relazioni, esiste parità tra i sessi… senza dimenticare un fattore genetico già riconosciuto da numerosi studi, sono dunque questi gli ingredienti della longevità della popolazione di Okinawa studiata per 25 anni e raccontata nel libro Okinawa l’isola dei centenari da Craig e Bradley Willcox, il primo antropologo e gerontologo docente della Okinawa International University, il secondo internista e geriatra, insieme al cardiologo Makoto Suzuki, professore emerito dell’Università di Ryukyus e Direttore dell’Okinawa Research Center for Longevity Science.

 

Le azioni vincenti

 

Privilegiare, ma con moderazione, i carboidrati, contenere grassi – preferendo l’olio extravergine di oliva –, non abusare di zuccheri e di sale, assumere abbondanti quantità di frutta e verdura, consumare pesce: queste le semplici indicazioni alimentari cui affiancare una moderata, ma costante, attività fisica semplice ad esempio camminare. Come ben evidenziato da tutti gli interventi inclusi nel Dossier Scientifico di questo Speciale Alimentazione, le raccomandazioni emanate dallo statunitense World Cancer Research Found e, per quanto riguarda il nostro Paese, le “Linee per una sana alimentazione italiana” dell’ Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN) le carte vincenti sono l’educazione alimentare e la Dieta Mediterranea. Uno stile di vita che deve essere adottato sin da giovanissimi, tanto che uno chef del rango di Gualtiero Marchesi ha lanciato l’idea di una “Carta dei diritti alimentari dei bambini” che spazi dalla sicurezza igienica ai valori nutritivi del cibo.

Bambini e non solo: nello scorso mese di marzo il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ed il Ministero della Salute hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per definire e per sviluppare iniziative congiunte al fine di promuovere comportamenti salutari e favorire un cambiamento negli stili di vita della popolazione; in particolare per incoraggiare un’alimentazione corretta ed equilibrata, in linea con gli obiettivi del programma Guadagnare salute: rendere facili le scelte salutari. Tra le diverse finalità del protocollo si annoverano iniziative di informazione e di comunicazione volte a sensibilizzare la popolazione, e in particolare i giovani, sulla rilevanza di una corretta alimentazione quale efficace strumento per la prevenzione dei rischi per la salute; la valorizzazione e la promozione della Dieta Mediterranea, del consumo dei prodotti di qualità nonché l’incoraggiare i produttori a mantenere standard elevati di qualità.

Giunge, quindi, una risposta delle Istituzioni al grido d’allarme ormai globalizzato che proviene dalla ricerca medico-scientifica. Nutrirsi vuol dire “fornire le sostanze necessarie e funzionali alla sopravvivenza e alla crescita” e, per mantenersi sani, tutto ciò deve essere effettuato nel rispetto della propria salute, delle proprie predisposizioni patologiche, del proprio metabolismo; l’alimentazione, dunque, non può più essere guidata solo dal gusto e dal piacere.