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L'automobile è un ferrovecchio

di Franco Berardi Bifo - 03/12/2008

 
 
"Donne e motori? Motori". Questa è l'headline con cui, sui manifesti attaccato ai muri cittadini, viene pubblicizzato il Motor Show, esposizione dell'automobile che si svolge anche quest'anno a Bologna, e che sarà inaugurata il 5 dicembre con un convegno dal titolo Uscire in auto dalla crisi, al quale parteciperà Gianfranco Fini.
La classe dirigente non vuole capire che la crisi dell'automobile non ha carattere congiunturale. Ha carattere se così posso dire, definitivo. Terminale. L'auto è morta. Ciononostante la sua carcassa potrà ancora per lungo tempo imputridire ammorbando l'aria in tutti i sensi: in senso economico e in senso ambientale, urbanistico, sanitario.
Il ciclo dell'automobile è stato trainante nello sviluppo capitalistico novecentesco. Enormi interessi si sono coalizzati intorno alla motorizzazione privata. Di conseguenza l'obsolescenza e la crisi terminale dell'automobile costituisce uno shock troppo profondo per la coscienza capitalistica contemporanea, che cerca di rimuovere l'inquietante verità: che l'auto è morta.

Eppure occorrerà prima o poi farsene una ragione: l'auto è morta per ragioni tecnologiche, prima di tutto. La concentrazione maniacale intorno allo sviluppo dell'automobile, che garantiva il massimo di profitto, ha indotto la società a trascurare le possibilità di sviluppo di forme di trasporto pubblico. Inoltre sono sottovalutate le potenzialità del digitale, del teletrasporto olografico che ormai è alla portata delle tecnologie (ad Atlanta si è recentemente realizzato un caso di telepresenza). Sono sottovalutate perché i produttori di auto proteggono con le unghie e coi denti la loro ormai inutile - e dannosissima - creatura: una scatola ferrosa piuttosto brutta con le ruote di gomma che si trascina consumando petrolio ed emettendo veleno che provoca malattie e spesso uccide malcapitati passanti. Come si può essere così poco lungimiranti da organizzare un convegno che auspica di "uscire in auto dalla crisi?"

L'automobile è una delle catene essenziali della schiavitù contemporanea. Abbiamo bisogno dell'automobile per andare a farci sfruttare otto dieci ore al giorno. E siamo disposti a farci sfruttare otto dieci ore al giorno per poterci permettere l'automobile.
Quanto più si moltiplicano le automobili tanto più diminuisce l'utilità di quel mezzo, perché le strade diventano blocchi di metallo che si muovono sempre più lentamente.
Ma ora è finita, e non sarà il Motor show a resuscitare l'automobile. La contemporaneità del collasso finanziario, del crollo della domanda, e della instabilità del prezzo fa pensare che sia urgente uscire dall'era dell'automobile. Purtroppo a pagare le spese della scarsa lungimiranza imprenditoriale sono oggi i lavoratori: le grandi aziende americane ed europee licenziano, mettono in cassa integrazione e siccome le previsioni sono grigie, si rivolgono agli stati per chiedere finanziamenti.
Debbono gli stati finanziare questo ramo secco, questo settore senza speranza? Se oggi gli stati rilanciano questo ciclo produttivo obsoleto, fra qualche mese o fra qualche anno ci troveremo nella stessa situazione di crisi, peggiorata. Le soluzioni vanno cercate in altre direzioni. Vanno cercate nel trasporto senza petrolio, e vanno cercate in una nuova politica salariale. La crisi dell'auto, e la crisi generale dell'industria che da tanti anni è prevista e ora precipita in seguito al collasso finanziario, sono l'occasione per porci finalmente l'obiettivo del reddito garantito indipendente dal tempo di lavoro.

Mentre Fini e gli altri buontemponi amanti dell'automobile sognano di uscire in automobile dalla crisi (senza donne, naturalmente, visto che a loro interessano solo i motori), nella stessa giornata,
il 5 Dicembre, alle ore 21, in un'altra sala cittadina (che si chiama, ironia della sorte, sala del Silenzio e si trova in Via Bolognetti) si terrà un incontro su un tema un po' meno ipocrita: "Crisi dell'auto, cassa integrazione e licenziamenti". Parteciperanno Massimo Serafini di Legambiente, Tiziano Rinaldini della Cgil di Bologna, Enzo Masini della Fiom e Oscar Marchisio della lista cittadina Bologna città libera. E la mattina di sabato 6 si terrà un convegno sulla bicicletta come mezzo di mobilità urbana.
E' incredibile quanta poca intelligenza abbiano dimostrato e dimostrino le amministrazioni cittadine, quella bolognese in particolare, di fronte alla folle congestione automobilistica dei centri urbani. Eppure sono proprio le amministrazioni cittadine che potrebbero sperimentare forme di trasporto pubblico meno inquinante e meno pericoloso e congestionante dell'automobile.
Un numero sempre più vasto di persone ha capito che l'automobile è un ferro vecchio, simbolo di un'era declinante, diffusore di psicopatie aggressive e suicidarie, e comincia a usare la bicicletta. Ma le amministrazioni e i poteri economici considerano la bici un vezzo strano, un hobby per perdigiorno, anche se è provato che in città come Bologna qualsiasi percorso si copre più rapidamente in bici che in automobile.
Venerdì e sabato, a Bologna, ne parliamo.