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Le terre della Tata

di Patrizia Cortellessa - 04/12/2008

 

Cosa sta succedendo a Singur dopo l'abbandono di Tata Motors (partner strategico della Fiat) e del suo sogno di costruire in quell'area la famosa automobile low cost Nano? Quale futuro si trovano davanti i contadini che si sono opposti strenuamente al progetto e non hanno accettato alcuna compensazione in cambio della requisizione della terra? E coloro che avevano più o meno accettato un misero assegno in risarcimento? La Tata è andata via da Singur lasciandosi dietro problemi irrisolti e recriminazioni, tante polemiche ma, soprattutto, 400 ettari di terra in parte edificata (e ancora in suo possesso) che prima di essere restituita dovrà essere riconvertita in terreno agricolo. Secondo gli esperti ci vorranno degli anni, ma la maggior parte dei contadini sta morendo di fame ora.
Del caso Singur, dell'arroganza Tata, delle attestazioni di solidarietà intorno a quel movimento contadino anche da parte dei sindacati italiani, dei silenzi Fiat e di molto altro ha parlato Swapan Ganguly, 58 anni, vice Presidente del sindacato Contadino Pbkms (Paschim Banga Khet Majoor Samity), nella sua recente visita in Italia. Quei 400 ettari di terra fertile, che nel 2006 il governo del West Bengal decise di cedere al gigante indiano, inizia a raccontare Swapan «davano dai 5 ai 6 raccolti a rotazione ogni anno. Solo Singur produceva patate per 640mila persone, riso per 54mila, oltre a varie qualità di verdure. La perdita della terra voleva dire per i contadini perdita di sicurezza immediata. Dall'altro lato la fabbrica avrebbe dato lavoro solo a 300-400 famiglie, su un totale di 30mila sfollati». Una parte di grandi proprietari (che avevano da tempo abbandonato la terra), accettò i ridicoli indennizzi offerti dal governo, mentre i piccoli proprietari, i braccianti, i mezzadri, coloro che vivevano solo della terra (la maggior parte) non ne vollero sapere. E la loro opposizione fu determinata quanto la loro disperazione. Il governo provò ad usare tutte le forme di 'persuasione'. Ma fu con i fatti, ricorrendo al Land Acquisizion Act (un editto coloniale del 1894), che riuscì a prendersi quelle terre, recintandole e facendole sorvegliare a vista da guardie armate. «Era il 2 dicembre 2006 e durante quell'azione militare vennero arrestate 66 persone, tra cui molte donne» racconta Swapan. Singur divenne un campo di battaglia, l'uso della forza all'ordine del giorno. Quella lotta tenace condotta contro la Tata e il governo del West Bengala, come tiene a chiarire Swapan, non era però combattuta contro lo sviluppo e l'industria, bensì contro la brutalità e la violenza con cui questa pretendeva di affermarsi. Dopo un duro braccio di ferro durato anni nell'agosto di quest'anno c'è la «svolta». Viene organizzato un picchettaggio intorno ai 4km di muro costruiti intorno allo stabilimento di Singur. Tata blocca la produzione. Per la prima volta siedono intorno ad un tavolo tutte le parti in causa, alla ricerca affannosa di una mediazione. Tata rifiuta il dialogo. Il risultato finale fu un accordo storico: i contadini che hanno sempre rifiutato gli indennizzi potranno riavere parte della terra, e verranno aumentati i «risarcimenti» a chi già li aveva ricevuti. Si smobilita, ma il giorno dopo quell'accordo viene dichiarato nullo. Tata intanto ha deciso: sposterà la produzione a Sanand, in Guijarat. Nessuno se lo aspettava e dopo un'iniziale euforia si è passati ad affrontare un presente difficile e un futuro tutto da costruire. Se l'accordo non verrà mantenuto, promette Swapan, «noi siamo pronti a rioccupare le terre». La lotta per il diritto alla vita e all'autodeterminazione, a Singur, continua.