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Il carisma di Savonarola

di Adriano Prosperi - 09/12/2008

     
 
Cosa trasformò frate Girolamo da Ferrara nel profeta Girolamo Savonarola? Adriano Prosperi ricostruisce e analizza la vicenda di Savonarola, il frate che dominò la scena politica e religiosa di Firenze fra il 1492 e il 1498.
Prosperi mette in rilievo come l’ascesa di Savonarola fosse dovuta alla sua capacità di rispondere alle aspettative della cittadinanza fiorentina che in quegli anni viveva un momento di profonda crisi politica e istituzionale nonché di smarrimento pubblico. Le profezie e le visioni che il frate diffondeva con la sua predicazione seppero riempire quel vuoto e permisero ai fiorentini di affrontare le minacce che si profilavano in quegli anni. Ma nel momento in cui una minaccia reale, la discesa in Italia di Carlo VIII, re di Francia, si incontrò con gli interessi di papa Alessandro VI, dei Medici e dei mercanti fiorentini il rapporto si spezzò e Savonarola ne fu travolto.


L’ultimo anno di vita del Savonarola fu nel segno del fuoco. Si aprì col rogo che il 7 febbraio 1497, giorno di carnevale, consumò in Piazza della Signoria una catasta di «vanità» - libri, strumenti musicali, profumi, dipinti «lascivi», carte da gioco. Fu una festa devota e feroce, ritmata dalle voci bianche dei fanciulli in processione, da trombe, pifferi e campane. E un altro rogo - ma stavolta cupo e silenzioso - ci fu il 23 maggio 1498 quando una breve processione portò Savonarola e i suoi due compagni dal Palazzo della Signoria ai gradini della catasta eretta in piazza.
Tra i due roghi ce n’era stato uno promesso e non fatto: la «prova del fuoco» a cui Savonarola fu sfidato da un francescano. Il 7 aprile 1497 una folla di curiosi aveva riempito la piazza intorno al corridoio in legno imbevuto d’olio che i due antagonisti dovevano attraversare in mezzo alle fiamme. Spettacolo insolito e inaudito: nella colta e raffinata città di
Lorenzo il Magnifico si riaffacciava l’antico rito magico dell’ordalia. Ma la folla che sperava di vedere coi propri occhi il miracolo se ne andò delusa. Tra mille lungaggini la prova non ci fu e una triste processione ricondusse i domenicani a San Marco dove mille donne li aspettavano in preghiera.
Quel rogo mancato segnò l’inizio del declino per Savonarola. Il breve di scomunica di papa
Alessandro VI Borgia sommato alle manovre del partito mediceo e alle aggressioni di gruppi ostili in Firenze fecero leva sulle paure e sulle incertezze dei fiorentini nell’avvicinarsi di una seconda discesa francese nella penisola. La città che aveva eletto Savonarola a suo profeta e signore, in nome di quel Gesù Cristo che il nuovo ordinamento da lui suggerito aveva eletto re di Firenze, ora lo abbandonava. E così si giunse al rogo del 23 maggio 1498 [...].
Dura da allora la discussione se Savonarola sia stato vero o falso profeta, santo o mentitore. Ma non tocca allo storico dire se fra Girolamo fosse santo o no, né se fosse profeta religioso come credeva il suo massimo biografo del secolo XX, il marchese Roberto Ridolfi o non piuttosto profeta civile come pensava Pasquale Villari, massimo storico del secolo XIX. [...]
Ma quella discussione non aiuta a capire quello che accadde all’uomo e alla città che lo circondava, prima osannante poi nemica. È a questo legame della città con fra Girolamo, «il Frate» per antonomasia, che dobbiamo guardare se vogliamo capire. Nessun malinteso rispetto delle etichette valide all’interno dei circuiti della fede esenta lo storico dall’obbligo di fare i conti con l’umana realtà delle cose di cui è sostanziata una vita. E quella di Savonarola chiede di essere esaminata e ricostruita nel gioco di forze e di eventi imprevedibili in cui si trovò coinvolta e che trasformò il giovane uomo in fuga dal mondo, dalle passioni amorose e dalle turbolenze della sua Ferrara, in un capopopolo obbligato a dominare con la forza della parola e con le emozioni del soprannaturale una città piombata nell’incertezza del suo futuro. Solo grazie a Firenze e solo dopo una certa data quel frate ferrarese dalla pronunzia inelegante (per le orecchie fiorentine) e dall’oratoria poco brillante doveva diventare Girolamo Savonarola.
Capire significa dunque rispondere alla domanda di come fra Girolamo da Ferrara diventò il Savonarola della storia. Lo era diventato per gradi. Dopo una oscura fase in cui aveva percorso chiese e piazze come predicatore di penitenza, si era fatto predicatore di flagelli imminenti e di visioni profetiche. Emblematico l’episodio di quel che accadde il 5 aprile 1492: la notte un fulmine aveva colpito la lanterna della cupola di Santa Maria del Fiore. Era un fulmine o una folgore di Dio? Se ne discusse allora a Firenze. Savonarola, che aveva passato la notte a preparare la predica, quella mattina inchiodò gli ascoltatori con un’immagine potente, una visione: aveva visto la spada di Dio abbattersi sulla terra, rapida, improvvisa [...]. E la spada divina sembrò colpire davvero la città quando l’8 aprile morì Lorenzo il Magnifico. Col venir meno di quel sovrano senza corona e senza scettro cominciò una lunga, interminabile crisi, un generale senso di incertezza e di smarrimento pubblico e si aprì una serie di eventi tragici e feroci che doveva durare decenni.
Le profezie e le visioni che punteggiarono le prediche del frate di San Marco riempirono a lungo quel vuoto e permisero ai fiorentini di esorcizzare le minacce del futuro. Fu memorabile la predica che nel 1494 commentò la notizia dell’arrivo a Genova dell’esercito di
Carlo VIII. L’immagine con cui Savonarola trasferì l’evento nell’iperuranio del disegno divino fu la minaccia biblica del diluvio. La predica fu ascoltata con una grandissima emozione non solo dal popolo minuto ma anche da uditori di eccezionale qualità: Giovanni Pico, il geniale principe della Mirandola, si sentì rizzare i capelli in testa. [...] La corrente fortissima che si stabilì in quegli anni fra città e predicatore si tradusse in conversioni improvvise di «garzoni nobili e delle prime famiglie», come scrisse uno di loro che si chiamava Francesco Guicciardini.
Quella corrente unificava una massa eterogenea di «mercanti, intellettuali, banchieri, poveri derelitti, artisti, politici, pie donne, padri di famiglia» (così scrive un emerito studioso, p. Armando Verde). Quella massa umana cercava il contatto con Savonarola, gli chiedeva lume e conforto. Ma gli dava anche preziosi consigli che ne favorirono l’ascesa pubblica offrendogli quel rapporto coi bisogni e con le esigenze della piazza che erano anche allora la molla del consenso e del potere. Fu così che l’uomo che aveva scelto giovanissimo la via del convento per disprezzo del mondo e desiderio di solitudine con Dio si trovò proiettato al centro della vita politica, eletto ambasciatore a Carlo VIII, scelto come suggeritore e ispiratore di un riformato governo repubblicano. Poi, come si è detto, cominciò il declino. A cui certamente contribuì anche la scomunica, frutto dell’incontro degli interessi di papa Borgia, il mostruoso minotauro asceso al soglio papale, con quelli della famiglia dei Medici e dei mercanti fiorentini a Roma. Ma la crisi nacque a Firenze: si poteva «governare co’ paternostri» una città e uno stato nel tumulto di una crisi profonda dell’intero assetto italiano? Questo il problema del predicatore: disinnescare con la profezia la violenza imprevedibile dei fatti, abbeverare i cittadini alla speranza di una Firenze città santa della rinnovata cristianità.
Dominare i fatti, «secondare e’ tempi» come scrisse allora
Machiavelli, dovette essere per lui una grande fatica. Il riposo giunse solo quando si ruppe quel legame con Firenze e con la politica. Fu allora che il genio autenticamente religioso dell’uomo trovò espressione nelle meditazioni sui salmi scritte in carcere: un definitivo abbandono in Dio che gli dette forse la pace [...].
Al popolo fiorentino rimase il problema di fare i conti con lui: un problema che fu specialmente vivo negli anni delle guerre d’Italia e di
Lutero. Toccò allora a Niccolò Machiavelli scrivere un giudizio che sembra scolpito come una epigrafe : «Al popolo di Firenze non pare essere né ignorante né rozzo: nondimeno da frate Girolamo Savonarola fu persuaso che parlava con Dio. Io non voglio giudicare s’egli era vero o no, perchè d’uno tanto uomo se ne debbe parlare con riverenza».