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Generale di quale paese?

di redazionale - 10/12/2008

gencamporini

Scrivevamo:
“Il Generale di S.A. Vincenzo Camporini, nominato Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica dal Consiglio dei Ministri del governo Prodi il 20 Settembre 2006, per una rotazione prevista tra Aviazione, Marina ed Esercito, è attualmente Capo di Stato Maggiore della Difesa e quindi ai vertici di comando delle Forze Armate. Il suo curriculum dice che a parte un breve periodo di frequenza ad un corso NATO, lontano negli anni, è il primo alto ufficiale italiano che non abbia certificazioni atlantiche, che non ha fatto registrare frequentazioni imbarazzanti e, elemento di per sé significativo, non è stato pataccato, almeno per ora, né dal Congresso né dalle Amministrazioni USA con la “Legion of Merit”, la più alta onorificenza offerta ai militari appartenenti alla NATO. Camporini, quindi, ha alle spalle uno stato di servizio, almeno dal nostro punto di vista, decente. Naturalmente esegue gli ordini che gli impartisce il Ministero della Difesa e perciò lunedì 24 novembre ha fatto partire per l’Afghanistan, delegando l’atto formale al Generale S.A. Daniele Tei, i quattro Tornado del 6° Stormo di Ghedi (…)”.

A proposito di caccia(bombardieri). Ad inizio ottobre, è stata presentata a Roma una ricerca condotta dall’Istituto Affari Internazionali sul programma F-35 Joint Strike Fighter, giusto in tempo per contribuire a spiegare la portata delle scelte che l’Italia è chiamata a compiere nei prossimi mesi. Un caccia strategico per affrontare le sfide di sicurezza del 21° secolo ed un’occasione da non sprecare, con qualche incognita per la sovranità operativa, l’eccessiva protezione del know-how statunitense e la burocrazia italiana. Questo il ritratto che esce dalla ricerca. “Mi sorprende che sia stato necessario produrre questo studio”, ha ironizzato nell’occasione il generale Camporini, tanto è “lampante” l’esigenza di questo “programma assolutamente vitale per la difesa”. Né esiste la possibilità concreta, ha aggiunto Camporini, di sviluppare un’alternativa che non potrebbe arrivare prima di una ventina d’anni. Alla mancanza di alternative contribuirebbero anche il costo di un eventuale nuovo programma ed il fatto che “qualsiasi ritiro sembrerebbe una follia: abbiamo già speso due miliardi sugli 11 previsti“, ha osservato Edmondo Cirielli, presidente della commissione Difesa della Camera. “Non vedo competizione o conflitto tra JSF ed Eurofighter. Questo è stato chiaro per noi sin dall’inizio,” ha infine chiosato Camporini in termini operativi. “L’Eurofighter è concepito per la difesa aerea, compito che svolge benissimo, ma non può svolgere il ruolo di attacco in maniera economicamente sostenibile.
Attacco. Avete capito bene.

Frattanto, dall’altra parte dell’Atlantico, gli analisti militari più avvertiti hanno iniziato a paragonare l’F-35 JSF all’F-22. Lo sviluppo di quest’ultimo è iniziato nel 1986, originalmente con l’idea di produrne più di 700 esemplari per sostituire i vecchi F-15 e F-16. Nel 2000, l’incremento dei costi aveva convinto il Pentagono a ridurre le sue esigenze a 346 velivoli. Ma nel 2005, quasi venti anni e 40 miliardi di dollari più tardi, la richiesta era ulteriormente scesa a 180 unità, come conseguenza dei lunghi ritardi e dell’imprevisto incremento dei costi che hanno fatto lievitare il prezzo per singolo aereo da un’iniziale proiezione di 184 milioni di dollari ad una di 355. Per colmare il vuoto, l’USAF ha quindi iniziato a sviluppare l’F-35 Joint Strike Fighter, che secondo i più critici promette di ripetere il fiasco del F-22. A parere di Winslow Wheeler, direttore del Straus Military Reform Project al Washington’s Center for Defense Information e curatore del testo di prossima uscita America’s Defense Meltdown: Pentagon Reform for President Obama and the New Congress, l’F-22 - descritto come più fragile e meno manovrabile rispetto ai caccia dei tempi della guerra in Vietnam -  ”è ridicolmente costoso, ed il suo enorme prezzo impedisce di acquistarne una quantità apprezzabile”.

Che dire? Evidentemente anche Camporini spera di essere nominato a fine mandato presidente di una consociata di Finmeccanica, come succede a tutti i Capi di Stato Maggiore che hanno favorito le lobbies del complesso militar-industriale.