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Federalismo duosiciliano

di Raffaele Ragni - 10/12/2008

Fonte: rinascitacampania

 

Il Regno delle Due Sicilie era lo Stato preunitario più esteso. L’alternarsi delle dinastie regnanti non avevano modificato il suo territorio, rimasto sostanzialmente inalterato dal 1130 al 1861. A sua volta il Reame fondato da Ruggero il Normanno riuniva in un unico Stato i possedimenti bizantini e gli ultimi ducati longobardi del Sud Italia. Infatti nel 774, mentre Pavia e Verona si arresero all’avanzata dei Franchi e il ducato di Spoleto si sottomise a Roma, gli ultimi longobardi si rifugiarono nei ducati meridionali - a Benevento, Capua, Salerno - cosicché la Longobardia meridionale sopravvisse per tre secoli alla Longobardia maior, fino all’integrazione coi Normanni.


Il monaco Erchemperto, che visse nel secolo IX ed è tra le principali fonti storiche sui Longobardi, narra come il senso d’appartenenza alla nazione longobarda fosse vivo nel Meridione d’Italia, al punto tale che queste popolazioni si considerassero loro i veri eredi dei Longobardi. Gli indipendentisti padani, cultori del passato longobardo e teorizzatori dell’ereditarietà biologica di determinate virtù civili che li distinguerebbero dai terroni, sarebbero felicissimi di vedere una miniatura del secolo XI che raffigura il duca di Benevento Arechi II (734-787) seduto sul trono longobardo con a fianco la stella delle Alpi, che di verde aveva solo un petalo: gli altri erano a prevalenza di rosso, giallo, blu, colori che ritroviamo nella complessa araldica del Regno delle Due Sicilie.

L’eredità longobarda, per quanto fosse particolarmente viva all’arrivo dei Normanni, non era che una della varie componenti etniche e culturali del popolo duosiciliano, insieme ad altre precedenti (greca, sannita, romana), contemporanee (bizantina, saracena) e successive (francese, spagnola). I fondatori dello Stato, a cui ricollegare un’eventuale riproduzione identitaria collegata ad una mitologia delle origini, furono i Normanni. Dopo i primi insediamenti ad Aversa (1034) e Melfi (1043), strapparono sempre più terre ai Bizantini, furono riconosciuti vassalli della Chiesa di Roma dopo aver sconfitto in battaglia le truppe pontificie (1059), ed infine liberarono la Sicilia dagli Arabi (1061).

Nel 1130, nella cattedrale di Palermo, l’antipapa Anacleto II incoronò Ruggero II d’Altavilla Re di Sicilia, Puglia, Calabria, con dominio anche su Capua, Benevento Napoli. Fu la nascita formale del Reame, allora denominato Regno di Sicilia. L’incoronazione fu ufficializzata nove anni dopo dal papa Innocenzo II. La definizione Due Sicilie risale alla rivolta dei Vespri siciliani (1282), quando gli Angioini, che erano subentrati agli Svevi, furono cacciati dalla Sicilia dagli Aragonesi. Entrambi i sovrani avevano il titolo di Re di Sicilia. I rispettivi territori erano invece denominati Regno di Napoli e Regno di Sicilia oppure Regno di Trinacria.

La contesa durò fino al 1442 quando, con la sconfitta degli Angioini, un unico sovrano, Alfonso V d’Aragona, assunse il titolo di Rex Utriusque Siciliane. Tali si definivano anche i sovrani spagnoli, quando la corona del Reame fu unita a quella di Spagna (1503-1707), anche se governavano attraverso due vicerè distinti, uno a Napoli e l’altro a Palermo. Durante la dominazione degli Asburgo (1707-1734), mentre il Reame era parte integrante del Sacro Romano Impero, il breve intermezzo dei Savoia come Re di Sicilia (1714-1720) riprodusse la separazione delle corone. Nel 1734, quando il Reame ritornò ad essere uno Stato indipendente, Carlo I di Borbone assunse la corona di Re di Napoli e Sicilia. Il suo successore Ferdinando I, dopo la restaurazione, firmò a Caserta un decreto (8 dicembre 1816) con cui formalizzò l’unione delle corone, onde evitare future ulteriori duplicazioni, ed assunse il titolo di Re del Regno delle Due Sicilie.

Il Regno delle Due Sicilie era diviso in 22 province, di cui 15 nella parte continentale e 7 in quella insulare. Non esisteva un atto formale che attribuiva ad una particolare città la qualifica di capitale. Il Re poteva risiedere sia a Napoli che a Palermo, dove dovevano accompagnarlo la Corte e il Consiglio di Stato. Di fatto i Borboni preferivano Napoli, e si trasferirono a Palermo solo quando vi furono costretti dalla presenza di giacobini e napoleonici, cioè nel 1799 e nel periodo 1806-1815.

Tra le due macroregioni del Regno, la legislazione era in parte comune ed in parte distinta. Su tutto il territorio si applicava il Codice del Regno delle Due Sicile, che conteneva le leggi civili, commerciali, penali, processuali. Era ispirato al codice napoleonico, cui erano state abolite le norme incompatibili con la religione cattolica, come il divorzio ed il matrimonio civile. Le principali differenze, tra le due macroregioni del Regno, esistevano in materia amministrativa. Nel 1821 fu istituito il Ministero per gli Affari di Sicilia, come strumento di progressiva devoluzione a livello macroregionale. Nel 1849 furono istituite due distinte Consulte governative e due Corti dei Conti, che esercitavano anche la giurisdizione amministrativa, in conformità all’ordinamento giudiziario che prevedeva due Corti Supreme di Giustizia, una a Napoli ed una a Palermo.

Riteniamo quindi che il Regno delle Due Sicilie, pur essendo uno Stato unitario, aveva una marcata caratterizzazione federale, sia perché aveva formalmente due capitali, sia perché il decentramento amministrativo era fondato, non solo sull’esistenza delle province e sul processo di devoluzione avviato dalla istituzione di un apposito ministero, ma dalla conservazione di ordinamenti diversi ereditati dall’epoca in cui le corone erano separate.

Tuttavia il popolo, come elemento costitutivo dello Stato, era unico. La cittadinanza nazionale del Regno delle Due Sicilie era ugualmente attribuita, sia ai Napolitani che ai Siciliani, principalmente in base allo jus sanguinis. Potevano ottenerla per naturalizzazione anche gli stranieri che avevano onesti mezzi di sussistenza, ma solo dopo 10 anni di residenza, nonché coloro che avevano reso particolari servigi allo Stato, purché residenti da almeno un anno. Da notare che le donne che sposavano un nazionale diventavano subito cittadine duosiciliane, mentre gli uomini che sposavano una nazionale acquisivano la cittadinanza solo se residenti da almeno 5 anni e se la donna era maggiorenne. L’attribuzione della cittadinanza per jus soli, cioè agli stranieri nati nel Regno, era concessa solo se veniva reclamata entro l’anno successivo al compimento della maggiore età.

Garanti del foedus tra due etnie e fautori di un federalismo in itinere, i Borboni erano soliti rivolgersi ai propri sudditi e compatrioti dicendo popoli delle Due Sicilie, al plurale. Riportiamo alcuni brani del testamento politico di Sua Maestà Francesco II di Borbone, ultimo legittimo sovrano del Reame fondato da Ruggero il Normanno: “Popoli delle Due Sicilie, da questa piazza dove difendo, più che la mia corona, l’indipendenza della patria comune, si alza la voce del vostro sovrano, per consolarvi nelle vostre miserie, per promettervi tempi più felici. Traditi ugualmente, ugualmente spogliati, risorgeremo allo stesso tempo dalle nostre sventure, che mai ha durato lungamente l’opera delle iniquità, né sono eterne le usurpazioni … Quando veggo i sudditi miei, che amo tanto, in preda a tutti i mali della dominazione straniera, quando li vedo come popoli conquistati portando il loro sangue e le loro sostanze ad altri Paesi, calpestati dal piede di straniero padrone, il mio cuore napolitano batte indignato nel mio petto, consolato soltanto dalla lealtà di questa prode armata … Sparisce sotto i colpi dei vostri dominatori l’antico regno di Ruggiero e Carlo III, e le Due Sicilie sono state dichiarate province di un regno lontano. Napoli e Palermo saranno governate da prefetti venuti da Torino … Unitevi intorno al trono dei vostri padri … Indipendenza amministrativa ed economica per le Due Sicilie con parlamenti separati, amnistia completa per tutti i fatti politici: questo è il mio programma. Fuori da queste basi non ci sarà pel Paese che dispotismo e anarchia … Aspettando l’ora inevitabile della giustizia, farò i più fervidi voti per la prosperità della mia patria, per la felicità di questi popoli che formano la più grande e più diletta parte della mia famiglia” (Gaeta, 8 dicembre 1860).

Le nazioni non sono eterne. Il popolo duosiciliano non esiste più. Con l’unità d’Italia si è spezzato il foedus esclusivo tra l’etnia napolitana e l’etnia siciliana. La prima, svanita la frontiera ed assediata dall’interesse centralista a configurare un’italianità meridionalizzata, è confluita nel crogiuolo peninsulare. La seconda, nutrita dalla florida produzione identitaria isolana, ha conservato una maggiore integrità culturale, continuando a sostenere istanze autonomiste anche attraverso la formazione di partiti etnici. La guerriglia antiunitaria, se adeguatamente organizzata, avrebbe potuto condurre alla restaurazione di uno Stato nazionale duosiciliano. Ma l’ultimo sovrano del Regno delle Due Sicilie, mentre le truppe italiane erano impegnate nella guerra del 1866, rinunciò a proclamare l’insurrezione generale. Dichiarò di voler evitare un ulteriore spargimento di sangue, o forse sperava di ritornare sul trono con l’appoggio della diplomazia europea.

Così, deposte le armi, i popoli dell’antico Regno delle Due Sicilie iniziarono la loro lenta e silenziosa secessione. Su circa 9.179.000 abitanti al 1861, tolti i guerriglieri morti in battaglia o nei lager dei vincitori - 78.875 secondo le statistiche ufficiali, più di 300.000 secondo stime attendibili - ben 5.380.153 cittadini duosiciliani, pari a quasi il 60% della popolazione, lasciarono la propria terra, in ondate successive fino al 1915, per sfuggire alla persecuzione poliziesca ed all’impoverimento seguito all’unificazione. Morti gli eroi, emigrati i patrioti, rimasero i meridionalisti, alcuni vagamente nostalgici, tutti ugualmente asserviti al centralismo romano.