Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / K street, la via del potere

K street, la via del potere

di Cristiano Tinazzi - 16/02/2006

Fonte: Rinascita



Alcuni anni fa, una coalizione di 60 corporazioni (che includeva nomi come Pfizer, Hewlett-Packard e Altria (Philip Morris e Kraft, fra le tante, ndr) fecero una costosa scommessa: spesero 1,6 milioni di dollari nei gruppi di pressione affinché persuadessero il Congresso a creare una speciale imposta (low tax rate) che avrebbero potuto impiegare per un anno per i guadagni provenienti dalle operazioni all’estero. Lo sforzo fallì, inizialmente, ma la scommessa pagò bene in seguito. Alla fine del 2004, il Presidente Bush firmò una legge che riduceva il tasso al 5 per cento, 30 punti percentuali sotto l’imposizione vigente. Più di 300 bilioni di dollari di guadagni provenienti dall’estero sono confluiti negli Stati Uniti, facendo risparmiare alle compagnie circa 100 bilioni di dollari in tasse. Sebbene non tutte le battaglie politiche facciano rendere 100 bilioni di dollari, il ritorno dagli investimenti nei gruppi di pressione è così sostanziale che esperti e insider del settore sono d’accordo nel dire che l’industria d’influenza su Washington continuerà a prosperare nonostante gli sforzi dei legislatori di contenerla. Il Congresso sta attuando delle misure contro i gruppi di pressione dopo lo scandalo di corruzione politica che ha coinvolto il lobbista Jack Abramoff. Un altro progetto di legge è quello di attuare un controllo ed impedire le cosiddette ‘orecchie nella pagina’, gli earmarks, ovvero piccoli emendamenti, stanziamenti mirati, per favorire gli interessi dei finanziatori, inseriti in progetti di legge dai parlamentari ‘coccolati’ dai lobbisti, che per la loro mole difficilmente vengono letti per intero. Ma il nuovo leader della maggioranza, il repubblicano John A. Boehner ha detto che preferirebbe colpire più le vacanze, le cene ed altri emolumenti elargiti ai deputati dai lobbisti che la questione degli earmarks. Tant’è che nel progetto di legge in discussione per limitare le pressioni sui membri del congresso, non si parla di una eliminazione completa di questa subdola pratica. Nessuno a Capitol Hill parla apertamente di mettere fuorilegge le lobby, un provvedimento che andrebbe contro lo stesso Primo Emendamento della costituzione americana. Così, come risultato, “le lobby continueranno a crescere”, dice Stephen J. Wayne, uno studioso di scienze politiche dell’Università di Georgetown. La ragione principale di tutto questo, spiega James A. Thurber, un esperto sulle lobby dell’American University, è che “l’investimento nei gruppi di pressione è minimo comparandolo ai risultati che si conseguono”. “La Carmen Group Inc., una struttura di media grandezza che opera nel settore dei gruppi di pressione, è talmente soddisfatta del suo lavoro che ne fa ampia pubblicità sul suo sito: “Missione compiuta”, appare ripetutamente sull’home page dell’azienda. La società è così orgogliosa dei risultati ottenuti che ogni hanno pubblicizza le spese sostenute dai propri clienti comparandole con i benefici ricevuti. Nel 2004, la società ha riferito che su un totale di 11 milioni di dollari di spese sostenute dai propri clienti, in cambio ha fatto guadagnare un totale di 1,2 billioni di dollari (un rapporto di uno a 100!). La sede di questi moderni predicatori del dio dollaro e degli interessi delle multinazionali è lungo K Street, a Washington, l’altra faccia di Wall Street. Qui, negli ultimi anni sono confluiti in 300 studi legali e di relazioni pubbliche 275 ex alti funzionari della Casa bianca, 250 ex parlamentari, e 2.200 ex dirigenti governativi. In quell’area, che include Connecticut e Pennsylvania avenue, operano quasi 30 mila lobbisti con contatti al Congresso e ai ministeri, che spendono oltre 2 miliardi e mezzo di dollari annui per plasmare la politica e il diritto secondo gli interessi dei propri clienti. Clienti che vanno dalle multinazionali agli Emirati, dai sindacati alle chiese, e dalle associazioni benefiche al partiti. Su K Street hanno fatto pure un serial televisivo dal titolo omonimo, diretto da Steven Soderbergh. Le lobby hanno sempre operato in politica e sul mercato statunitense, calpestando i diritti dei cittadini e ledendo le garanzie dovute ai consumatori. Ora un nuovo scandalo si aggiunge a quello vecchio, ovvero quello dell’esistenza delle stesse lobby: il cosiddetto ‘K Street Project’ di Tom de Lay, di cui Abramoff era il braccio destro. La parola d’ordine era rompere il modello bipartisan di gestione dei gruppi di pressione per ‘repubblicanizzarli’ totalmente.  Ora che il bubbone è scoppiato, i democratici sperano che le lobby diventino ciò che il Sexgate fu per Clinton. Lo accusano di avere consentito che le leggi e la finanza pubblica venissero messe in vendita. E denunciano i repubblicani come il ‘partito della corruzione’, sperando che questo diventi la carta vincente alle elezioni congressuali di novembre. I repubblicani propongono una serie di drastiche riforme, promettendo di fare pulizia morale a K Street. Ma è tutto fumo. E l’arrosto continuerà a bruciare.