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La bomba atomica della disperazione di Bernanke

di Federico Rampini - 17/12/2008

 


Audace, avventurosa, o disperata. La Federal Reserve ha tagliato i tassi d’interesse a un livello senza precedenti nella storia americana. E’ una svolta, l’inizio di una nuova fase nella guerra di resistenza combattuta dall’autorità monetaria Usa contro questa crisi.   Nel centro del capitalismo globale si apre l’era del "denaro allo zero per cento". E’ un territorio inesplorato. L’euforia iniziale di Wall Street segnala la speranza che la banca centrale americana abbia tirato fuori l’arsenale nucleare, che Ben Bernanke sia disposto a tutto pur di impedire una Grande Depressione. Ma quali segnali profondi riceve tutto il resto dell’economia da questo gesto? Secondo l’ultimo sondaggio Gallup il 70% degli americani è convinto di essere già in una depressione. Per loro la mossa estrema della Fed potrebbe suonare come una conferma, e quindi incitare a comportamenti ancora più prudenti.

S’intuisce una nota di panico anche nelle stanze di comando delle banche centrali. Ormai sono crollati i miti sulla loro onnipotenza. Anche nella decisione di ieri in realtà la Fed si è mossa a rimorchio dei mercati. Già da diversi giorni nelle aste dei Treasury Bonds (i Bot americani) era accaduto l’inverosimile: la domanda di quei titoli sicuri da parte degli investitori era impazzita, fino a fare calare i tassi di alcune emissioni sotto lo zero. La corsa verso il titolo pubblico - a questo punto più sicuro di un conto corrente o di un libretto postale - aveva portato a questo paradosso: masse di capitalisti privati e gestori di fondi sono disposti a pagare un interesse al Tesoro Usa pur di prestargli del denaro. E’ il mondo alla rovescia, il salto dall’altra parte dello specchio.

Se alcuni Bot americani danno un rendimento negativo, un interesse passivo, i tassi ufficiali si adeguano. E’ la presa d’atto che siamo in piena deflazione, una malattia che in Occidente nessun contemporaneo ha sperimentato in età adulta. Il mondo normale, quello in cui siamo vissuti dalla seconda guerra mondiale in poi, è un luogo dove i prezzi aumentano di anno in anno. Chi presta i propri risparmi - a una banca, allo Stato - deve tutelarsi dal fatto che il tempo è inflazione e svaluta il denaro, quindi occorre ricevere un interesse adeguato. Ma se improvvisamente i prezzi scendono - come stanno scendendo in America - il ragionamento si rovescia. La liquidità guadagna valore col passare del tempo, anche se frutta tasso zero. Un tasso negativo può essere il prezzo da pagare per chi tela custodisce al sicuro, come si paga un affitto per usare una cassetta di sicurezza in una banca.

Il rendimento zero però riguarda i tassi ufficiali della banca centrale americana. Non significa affatto che siano precipitati i tassi sui mutui immobiliari, sulle carte di credito, sui prestiti alle imprese. Le banche commerciali il denaro se lo fanno ancora pagare; addirittura lo razionano. Qui sta una contraddizione che attanaglia la Fed. La cinghia di trasmissione della politica monetaria si è rotta. Anche se l’autorità centrale presta capitali a costo zero, gli intermediari bancari non "passano il favore" al resto dell’economia. Perciò Bernanke è costretto ad aggiungere all’arma del tasso zero altre azioni eterodosse: la Fed va sul mercato a comprare titoli scadentissimi, emessi dalle società di finanziamento immobiliare, perché la sua generosità arrivi alle famiglie sotto forma di mutui a buon mercato. Neppure questa politica però dà risultati certi nell’immediato. Si rischia di scivolare dentro la "trappola della liquidità" che Keynes studiò nella crisi degli anni Trenta: anche regalando i soldi alle banche o alle famiglie, quei fondi vengono accaparrati e messi in riserva, tale è la paura sistemica. Una immagine hollywoodiana descrive il caso-limite in cui la Fed manda a sorvolare l’America degli elicotteri che lanciano pacchi di banconote su tutto il territorio nazionale. Ormai la realtà si avvicina a quello: dal mese di settembre la banca centrale di Washington ha stampato mille miliardi di dollari di nuova moneta. Senza effetti di ripresa. I consumi, la produzione industriale, le costruzioni di case, tutto continua a scendere.

Se i leader dell’Occidente fossero meno convinti di essere l’ombelico del mondo, da mesi starebbero studiando il caso dell’unico grande paese sviluppato ad avere conosciuto la deflazione dopo la seconda guerra mondiale. Il Giappone ne è stato prigioniero negli anni Novanta. La sua banca centrale provò rimedi molto simili a quelli ora sperimentati dalla Fed. Per sei anni Tokyo ebbe tassi negativi, senza successo. E’ come la politica degli sconti favolosi che le catene degli ipermercati americani stanno offrendo ai clienti. Non c’è saldo che tenga quando il consumatore non vuole spendere, per ragioni profonde che nulla hanno a che vedere col livello dei prezzi: per esempio se si è convinto di dover ridurre in modo durevole il livello dei suoi debiti.

L’azzardo di ieri della Fed non è condiviso da tutti. Il mondo è spaccato in due. Da una parte c’è chi vede la Grande Depressione alle por- te, e dunque ritiene che si debba abbandonare ogni cautela. Altri, Germania in testa, osservano con orrore l’escalation incontrollata dei debiti, foriera di future iperinflazioni. Ma se il resto del mondo si dissocia dalla terapia americana, questo accelera la sfiducia nel dollaro che riprende a cadere, aprendo possibili scenari di guerre protezioniste. Un autorevole consigliere economico di Obama ha osservato che ormai non si tratta di «evitare un altro 1929» perché quella sfida è già stata persa con la distruzione di ricchezza finanziaria del 2008. Ora si tratta di capire come evitare il 1930, il 1931, il 1932, il 1933.