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Il Washington Post, la Russia e il caso Moskalenko

di Mark Ames - 17/12/2008



Negli ultimi anni gli editoriali del Washington Post hanno promosso una linea sempre più ostile nei confronti della Russia, descrivendone i complessi sviluppi in termini manicheistici e attribuendo al Cremlino – solitamente Vladimir Putin – tutte le cose sbagliate, vere o immaginarie, che accadevano in quella parte del mondo.

Durante la recente guerra tra la Russia e la Georgia gli editoriali del Post hanno esplicitamente puntato il dito contro il neo-imperialismo russo e sono arrivati a negare che i georgiani avessero inflitto gravi danni alla capitale dell'Ossezia del Sud, nonostante i resoconti delle organizzazioni per i diritti umani, dell'OSCE e perfino degli stessi giornalisti del Post. Questa linea dura e profondamente sbagliata adottata da una delle pagine delle opinioni più influenti di tutto il paese ha svolto un ruolo fondamentale nello spingere l'America e la Russia sull'orlo di una nuova guerra fredda.

Un iperbolico editoriale del 22 ottobre, “More Poison: Another prominent adversary of Vladimir Putin is mysteriously exposed to toxins” (“Ancora veleno: altra importante avversaria di Vladimir Putin misteriosamente esposta a tossine”), mi ha spinto a chiedere al caporedattore della pagina delle opinioni del Post, già alla direzione della redazione di Mosca del giornale, Fred Hiatt, quali fossero le fonti di queste accuse. La diligente risposta di Hiatt mi ha concesso involontariamente uno spiraglio per comprendere come, quando si tratta di Russia e Putin, l'incessante demonizzazione messa in atto dagli editoriali del giornale dia più peso all'ideologia che alla professionalità giornalistica o alla semplice verifica delle fonti.

L'editoriale essenzialmente accusava il Primo Ministro Putin di avere avvelenato un'avvocatessa dei diritti umani a Strasburgo, in Francia, ordinando che nella sua auto fosse messo del mercurio. L'avvocatessa, Karina Moskalenko, aveva accusato in varie occasioni il Cremlino alla Corte Europea per i Diritti Umani. Così, quando si è sentita male e suo marito ha trovato tracce di mercurio nella loro auto, gli investigatori francesi sono stati chiamati a condurre un'indagine su un possibile crimine. Ma, senza attendere il rapporto degli investigatori, la pagina delle opinioni di Hiatt ha frettolosamente offerto il proprio verdetto, salmodiando solennemente: “È spaventoso pensare che possa esserci un altro avvelenamento di un altro nemico di Putin in un'altra città europea”.

Le Figaro, che pochi giorni prima aveva dato la notizia del sospetto avvelenamento, ha riferito che secondo gli inquirenti francesi l'avvocatessa probabilmente non era stata avvelenata; il mercurio veniva da un barometro rotto appartenuto al precedente proprietario dell'auto. Il Post non ha ritrattato né si è scusato. La pagina delle opinioni non ha fatto menzione della rivelazione, e le pagine di cronaca ha relegato l'aggiornamento a una notiziola sepolta a pagina A14.

Nella sua e-mail di risposta alle mie critiche all'editoriale, Hiatt ha ignorato la mia domanda sul perché il Post non abbia atteso gli esiti delle indagini prima di pubblicare il proprio verdetto. Ha fatto invece ulteriori accuse. “Sono consapevole di articoli del Figaro e del New York Times che citavano fonti anonime della polizia che avanzavano la teoria di un termometro rotto come fonte del mercurio nell'auto della Moskalenko”, ha detto. “Queste fonti si trovavano a Parigi, dove le autorità possono avere una ragione politico-diplomatica per non scatenare una disputa con la Russia, e non a Strasburgo, dove aveva luogo l'indagine”. Ha fatto anche capire che la Moskalenko, che dubitava della “teoria del termometro rotto”, per citare Hiatt, era più affidabile degli inquirenti. Erano accuse incredibili nei confronti di Le Figaro e dei sistemi politico e giudiziario francesi. Ma Hiatt aveva ragione?

Ho deciso di verificare la sua versione dei fatti chiamando Cyrille Louis, il giornalista del Figaro. Louis aveva dato per primo entrambe le notizie: il presunto avvelenamento della Moskalenko e le scoperte degli investigatori che avevano smontato quelle ipotesi. Diversamente dal Post, The Nation non ha una redazione a Parigi. Eppure ci sono volute solo due telefonate per raggiungere Louis e chiedergli come avesse raccontato la storia. “Sono francamente sorpreso che il redattore capo della pagina delle opinioni del Washington Post abbia potuto dire una cosa del genere senza neanche chiamarmi per verificare se quello che dice è vero”, mi ha detto ridendo un Louis molto sorpreso. “È assolutamente falso. Ho usato diverse fonti, ma le due principali erano un alto ufficiale di polizia qui a Parigi e un alto funzionario della procura di Strasburgo”. Louis ha perfino nominato la fonte di Strasburgo – il sostituto procuratore Claude Palpacuer. Le sue fonti di Parigi sono persone affidabili perché ci lavora da anni. Louis ha spiegato che gli investigatori pensarono di avere probabilmente risolto il caso quando rintracciarono l'ex proprietario dell'auto, un antiquario che aveva effettivamente rotto un vecchio barometro (non un termometro) nell'auto poco tempo prima di venderla.

Ho poi domandato a Louis cosa pensasse dell'ipotesi più ampia di Hiatt: il fatto che le fonti di Le Figaro a Paris non fossero affidabili perché i francesi potevano non voler infastidire la Russia. Louis è nuovamente scoppiato a ridere per l'incredulità: “Sembra una specie di teoria del complotto. Bisognerebbe credere che dei giudici e degli ufficiali di polizia di due città abbiano complottato per manipolare un giornalista di Le Figaro fabbricando una storia che innanzitutto qui non era neanche una grossa notizia. Perché le autorità dovrebbero scomodarsi tanto per una storia così piccola? Trovo l'idea del complotto totalmente inverosimile”. Louis era deluso dalle accuse di Hiatt: “Magari dovrei sentirmi onorato per il fatto che il Washington Post si prende il disturbo di parlare di me, ma sai, sono un po' sorpreso. Se mi avesse chiamato gli avrei spiegato come ho scritto questa notizia. Ma non ci ha nemmeno provato. Spesso qui siamo colpiti dal modo di lavorare dei giornalisti americani, dai criteri rigorosi che usano per verificare le fonti... Dunque è una delusione sapere che [Hiatt] è giunto a queste conclusioni sul mio metodo di lavoro senza nemmeno prendersi la briga di chiamarmi”.

Louis mi ha passato il numero del sostituto procuratore Palpacuer, che sovrintende all'indagine. Ho chiesto a un vecchio amico di Parigi che fa lo scrittore e il traduttore, Thierry Marignac, di farmi da interprete. Palpacuer ha confermato tutto quello che aveva detto Louis, anche se le indagini avevano fatto dei passi avanti: “La quantità di mercurio era così piccola da non risultare tossica. Abbiamo prelevato campioni di sangue dalla famiglia Moskalenko e i risultati dicono che le tracce di mercurio nel loro sangue erano insignificanti. In ogni caso, per essere letale il mercurio dovrebbe essere inalato o iniettato”, ha detto Palpacuer. “L'indagine non è ancora chiusa ed è stata passata alla divisione criminale del dipartimento di polizia di Strasburgo. Ma sappiamo che l'ex proprietario del veicolo vi ruppe un barometro prima di vendere l'auto, e le quantità corrispondono effettivamente a quelle trovate”.

Di fronte alla teoria di Hiatt secondo cui le indagini sarebbero state inaffidabili e probabilmente influenzate dalle autorità parigine che non volevano infastidire la Russia, Palpacuer è scoppiato a ridere: “Scusi, è più forte di me. Io lavoro con le prove che mi trovo davanti nelle indagini. Ma... i russi? Influenzare questo caso? Non so che dire, è ridicolo. Vorrei solo dire: ben vengano le prove, se qualcuno le ha. Se ci sono prove delle influenze russe sulle indagini, ben vengano”.

Prove. Fatti. La risposta di Hiatt non aveva niente a che fare con questo. Comunque Hiatt mi ha chiesto di mandargli qualsiasi aggiornamento sul caso Moskalenko. Be', eccolo qui: un aggiornamento ottenuto con la magia di un paio di telefonate.

E questo ci riporta al punto di partenza. Il Post ritratterà questo editoriale malamente documentato e scarsamente professionale? La pagina delle opinioni verrà giudicata responsabile dal suo ombudsman e da altri giornalisti del Post? In fin dei conti l'ombudsman è riuscito recentemente ad attaccare il presunto “pregiudizio in senso liberale” del giornale, una posizione molto discussa. Ma in questo caso abbiamo un chiaro esempio di notizia non accertata e di mancata ritrattazione degli errori.

Dati i trascorsi del Post negli ultimi dieci anni, dalla guerra in Iraq al conflitto in Ossezia del Sud, e la replica di Hiatt relativa a questo caso, viene da chiedersi se la pagina delle opinioni abbia gestito male altre notizie fondamentali, soprattutto quelle che riguardano la Russia, come ha fatto con il caso Moskalenko. Questa domanda esige una risposta.

Originale:
Editorial Malpractice

Articolo originale pubblicato il 10/12/2008

Manuela Vittorelli è membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.