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Niger, la guerra degli uomini in blu

di Matteo Fagotto - 17/12/2008




Intervista al responsabile politico dei ribelli del Ffr

 

Domenica scorsa il diplomatico canadese Robert Fowler, inviato speciale dell'Onu in Niger, è stato rapito assieme ad altre tre persone (tra cui un altro diplomatico suo connazionale) a una quarantina di chilometri a ovest della capitale Niamey. Ieri, un comunicato dei ribelli Tuareg del Front des Forces pour le Redressement, che dallo scorso maggio combattono contro il governo guidato dal presidente Mamadou Tandja, aveva rivendicato l'azione. Ma un successivo comunicato, emanato dallo stesso leader del movimento, Mohamed Aoutchiki Kriska, ha smentito il coinvolgimento del Ffr nell'azione. La vicenda ha però fatto tornare d'attualità la ribellione Tuareg e le ragioni che la guidano. PeaceReporter ne ha parlato con Cheikna Hamaté, responsabile politico per l'Europa del Ffr.

 

A parte la possibile pista criminale, quali sono le possibili motivazioni per un gesto così forte come il rapimento di Fowler?

Il fatto che nessuno parli di quello che succede nel nord del Niger. Il governo conduce dei sistematici massacri nei confronti dei civili nel disinteresse totale della comunità internazionale, e la gente è stanca di questa situazione. E prova a farsi sentire con gli strumenti che ha.

 

Quali sono le principali colpe che imputate al regime di Tandja?

Innanzitutto c'è da fare una precisazione. Già negli decenni passati Tandja aveva partecipato alle campagne di sterminio contro la nostra popolazione in quanto prefetto della città di Tahoua. Intere famiglie, tornate dalla Libia perché credevano nella pace (siglata inizialmente nel 1995, ndr) sono state uccise. Il presidente sa cosa succede nel nord, e noi vogliamo gridare con forza che la comunità internazionale continua a sostenere un criminale che ha ucciso la democrazia. Organizzazioni come Amnesty International hanno condannato le campagne militari condotte dall'esercito nel nord, ma nessuno ha mosso un dito.

 

Quali sono le vostre rivendicazioni?

Le nostre richieste sono chiare, e sono sul tavolo da anni: vogliamo che i nostri uomini siano integrati nell'esercito e che alla regione settentrionale di Agadez venga concessa l'autonomia. Accordi su cui la ribellione e il governo si erano accordati già nel 1995, alla fine della prima ribellione Tuareg, ma che non sono mai stati rispettati in pieno dal governo.

 

Il governo aveva promesso anche un ritorno di tipo economico?

Sì, una quota pari al 15 percento delle entrate derivanti dallo sfruttamento delle materie prime sarebbe tornata alla regione di origine. Peccato che la legge approvata dal governo sia rimasta inapplicata per 5 anni, e i fondi abbiano cominciato ad arrivare solo quest'anno. Il problema è che non abbiamo un controllo sulle cifre rese pubbliche dal governo.

 

A livello economico cosa chiedete?

Vogliamo ricevere una quota di fondi proporzionale alle ricchezze che provengono dal nostro territorio, uranio in primis. Non siamo contro le compagnie straniere che lo estraggono, ma il problema è che finora i Tuareg non hanno visto un centesimo di quanto spettava loro. Le compagnie, soprattutto la francese Areva, si accordano con il governo centrale e basta. A noi lasciano solo le radiazioni e la distruzione del nostro ambiente naturale. Per far spazio alle miniere, interi villaggi Tuareg sono stati spostati senza ricevere compensazioni.

 

Quindi le vostre accuse si allargano anche alle compagnie che operano nel Paese

Non alle compagnie in quanto tali, ma a come operano. Anzi, dirò di più: il governo nigerino ora ha aperto le porte alle compagnie cinesi, mentre noi preferiremmo rimanessero quello europee. Con delle formule e degli accordi diversi da quelli che ci sono ora però. Le compagnie si devono rendere conto che con la loro politica armano la mano di un governo irresponsabile. Poco tempo fa, il responsabile sicurezza dell'Areva in Niger, un ex-militare, ha parlato apertamente di un sostegno militare al governo contro di noi, notizia riportata dal giornale francese Canard Enchainé.

 

Siete disposti a sedervi al tavolo delle trattative con il governo?

Non alle sue condizioni. Tandja chiede che i Tuareg depongano le armi prima di cominciare a trattare, e non vuole mediatori internazionali. Noi invece chiediamo l'intervento di un soggetto forte, l'Onu o l'Unione Europea. Siamo arrivati a un punto nel quale non abbiamo più nulla da perdere né da temere, non si può più nascondere la testa sotto la sabbia.