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Tangenti rosse

di Gianluca Di Feo e Marco Lillo - 18/12/2008

 
 
Arresti e sospetti, tangenti e favori: l'onda di piena è arrivata, tracimando a Potenza e Pescara, mentre a Napoli e Firenze ormai le voci di nuove retate sono incontrollate e fanno salire alle stelle il nervosismo negli ultimi palazzi della sinistra al potere. I magistrati colpiscono Margherita e Ds, contestando un sistema di governo dove si è perso il senso dell'illecito. Il presidente della Regione Basilicata accusato di rivelare notizie segrete, il vicepresidente della Commissione ambiente di Montecitorio che avrebbe manovrato per gli affari nati dal petrolio, il sindaco di Pescara che si fa scarrozzare dal jet e dalla Mercedes di Mister Air One. Ma soprattutto un groviglio di appalti che sembra avvinghiare le giunte rosse di Toscana e Campania in un intreccio tra politici, professionisti e imprenditori.

I risultati del voto abruzzese sono più di un campanello di allarme: la sconfitta secca del centrosinistra, lo spostamento delle preferenze verso la componente dipietrista dell'opposizione e soprattutto l'ondata dell'astensionismo. Il tutto con lo choc dell'arresto di Luciano D'Alfonso, numero uno del Pd regionale e sindaco di Pescara che ha tenuto nascosto il suo coinvolgimento nelle inchieste fino alla chiusura dei seggi. Un vero de profundis, con la bordata di contestazioni per la privatizzazione dei cimiteri a suon di mazzette. E poi la limousine messa a disposizione da Carlo Toto, i voli gratis su Air One, le cene elettorali omaggiate, i contributi alle associazioni amiche: una lista di doni destinati a ingraziarsi il primo cittadino nelle concessioni per le aree del centro. Regalie di poco conto per il magnate di Air One che grazie alla nuova Alitalia potrà realizzare i suoi sogni milionari, episodi che per il codice penale potrebbero non essere nemmeno reato, ma che feriscono profondamente la credibilità del Pd. Insomma, un Natale da incubo per la leadership democratica, alle prese con quest'onda alimentata ormai da una decina di inchieste.


A Firenze, per esempio, le indagini offrono una radiografia impietosa che non riguarda solo il Pd, ma l'intera società italiana. Perché mostrano come la logica dell'intrallazzo abbia contagiato anche le categorie che dovrebbero disegnare il Paese del prossimo decennio. I protagonisti sono giovani architetti e ingegneri, quarantenni con cattedre universitarie e studi di prestigio internazionale, uniti da un motto ripetuto nelle intercettazioni: "A buon rendere. Se tu poi hai bisogno della stessa cosa in altri comuni, conta su di noi". I compassi d'oro si scambiano appalti da un capo all'altro della Penisola, pilotando sistematicamente le gare. Al telefono si vantano: "Era tutto telecomandato". Il reato contestato non fa scandalo: turbativa d'asta ha un suono soft da peccato veniale. In realtà si traduce in milioni e milioni d'euro spesi in cantieri assegnati ai soliti noti e ai loro padrini politici, che gestiscono le opere pubbliche come se fossero feudi nobiliari: "Firenze è un po' divisa, a seconda delle zone ci sono delle imprese...". Il rapporto con i partiti - e in questo caso con il Pd - è di osmosi: "Altrimenti qui si arriva alle elezioni e il sindaco non ha impicciato nulla". Il rapporto con i costruttori ha il sapore del vassallaggio, come nelle corti rinascimentali. Casamonti, professionista famoso che a soli 43 anni guida l'atelier Archea con 70 laureati, si inchina davanti a Salvatore Ligresti: "Ho stima di lei. Io mi sono un po' innamorato: lei ha carisma, è un grande imprenditore".

Casamonti è stato l'unico a finire in cella per l'inchiesta fiorentina. I pm lo definiscono "un instancabile e formidabile organizzatore di trame". Nell'affaire di Castello, il piano urbanistico che partorirà la Firenze della prossima generazione, è stato indagato a piede libero: secondo il giudice, l'assessore all'Urbanistica Gianni Biagi impose a Ligresti il suo nome, con un compenso di mezzo milione di euro. Invece Casamonti è stato travolto per un appalto che vale meno di 100 mila euro, nel piccolo comune aretino di Terranuova Bracciolini. È rimasto in carcere due notti, poi per tre ore ha risposto alle domande dei magistrati, che si sono mostrati soddisfatti e lo hanno mandato a casa. "Ho fatto solo del bene a questa città", aveva detto prima dell'arresto: "Non mi va di essere fregato".

Siamo davanti a un nuovo Mario Chiesa, capace di aprire un'altra Tangentopoli? I suoi avvocati minimizzano: "Ha reso ampie e particolareggiate dichiarazioni rispondendo a tutte le domande. Non si nega l'evidenza. I fatti storici sono quelli contestati, ha risposto contestualizzandoli e spiegando che il suo impegno era legato alla volontà che le opere fossero fatte bene". Gli inquirenti ostentano cautela. Il gip Rosario Lupo è abituato ai grandi casi: ha svolto lo stesso ruolo a Milano nell'ultima fase di Mani Pulite, sequestrando i beni di Paolo Berlusconi e pronunciando la celebre assoluzione del Cavaliere e di Cesare Previti per il lodo Mondadori. Ma basterebbe che Casamonti avesse spiegato le sue telefonate sulla lottizzazione degli appalti per moltiplicare le inchieste. Nelle intercettazioni parlava del Consorzio Etruria, un colosso delle coop attivo da Gallipoli a Bologna che nel 2007 ha gestito cantieri per un valore di 2 miliardi, inclusa parte dell'Alta velocità: "In quella zona c'è un'impresa che comanda, ma comanda davvero. È il Consorzio Etruria". O che avesse chiarito le sue entrature con gli assessori di Palazzo Vecchio e con la Provincia, guidata da Matteo Renzi, indagato e candidato alle primarie sempre più grottesche per il candidato sindaco. O che avesse fatto il punto dei tanti scambi di favori tra professionisti. Tra gli altri, nelle registrazioni raccomanda Francesco Salinitro che a sua volta, come dirigente urbanistico del Comune di Como, affida allo studio di Casamonti un contratto da favola per risistemare un'area industriale comasca: parte del Sistema Sviluppo Fiera, un'organizzazione che si affaccia sul grande business dell'Expo 2015. Non a caso i magistrati parlano di "trasversalità di Casamonti". Che nel suo smistare incarichi è stato registrato anche mentre manovrava una gara di progettazione napoletana.

Trasversalità sembra essere anche la parola chiave del sistema costruito da Alfredo Romeo, imprenditore per tutte le stagioni. Anche a Napoli la Procura si è concentrata sull'accusa di turbativa d'asta. Ma gli appalti che finivano nelle mani del re dei palazzi, che sogna di ripetere i fasti di Achille Lauro, valgono centinaia di milioni. Dagli atti dell'indagine emerge il profondo coinvolgimento della giunta comunale, con l'intervento politico del sindaco Rosa Russo Iervolino per far approvare il contratto da 330 milioni che affidava a Romeo la manutenzione di tutte le strade di Napoli. Nella ricostruzione della Procura sarebbe stato fondamentale il sostegno di Italo Bocchino, che sta spodestando Nicola Cosentino nella sala di controllo del Pdl campano. Il contratto del Global Service fu varato nel marzo 2006 quando mancavano solo due mesi al voto che vide rieleggere la Iervolino con il 57 per cento dei consensi. L'anno prima Antonio Bassolino si era imposto alla Regione proprio su Bocchino con percentuali bulgare: 61 per cento.

Oggi la situazione è drasticamente cambiata, con un partito dilaniato, i consigli provinciali e regionali popolati di indagati e ben sette assessori già costretti a lasciare la giunta comunale. Un sondaggio Swg commissionato dal 'Mattino' ha evidenziato il crollo della popolarità, facendo infuriare il sindaco. Anche gli interventi del vertice del Pd per un rinnovamento del gruppo dirigente cadono nel vuoto. In municipio come in Regione, l'unico cambiamento sembra potere arrivare dalla magistratura. Bassolino è a processo per l'emergenza rifiuti e il contratto a Impregilo. Altre indagini vanno avanti, con esiti imprevedibili, sulla torta più grande amministrata dalla Regione: la spese sanitaria, con debiti miliardari che hanno alimentato un oscuro reticolo di cartolarizzazioni. Ma tutti restano arroccati sulle loro poltrone. Leonardo Domenici, sindaco di Firenze, non si è mai presentato in consiglio comunale dall'inizio della crisi giudiziaria. Rosa Russo Iervolino mostrando le "mani candide" respinge le richieste di dimissione che tentano anche la sua maggioranza. Il primo cittadino di Pescara, invece, pare che avesse promesso ai magistrati di farsi da parte subito dopo il voto, cercando un accordo per evitare l'arresto. E per tentare di salvare la faccia si era già rivolto a una società di public relation: perché l'immagine conta più dell'etica.

Anche il presidente della Basilicata, Vito De Filippo, avrebbe repentinamente cambiato atteggiamento nei confronti di un imprenditore. Secondo le accuse del pm Henry John Woodcock, prima lo avrebbe appoggiato, incontrandolo durante una cena elettorale, poi dopo le prime voci di inchiesta si sarebbe mosso pubblicamente contro di lui. Adesso si ritrova un avviso di garanzia per favoreggiamento e rivelazione del segreto di ufficio: uomini del suo entourage avrebbero comunicato al costruttore Francesco Rocco Ferrara notizie su un'indagine che lo riguardava. Il presidente è già dimissionario per le beghe della maggioranza bianco-rossa che da 13 anni governa la regione. E questa istruttoria rilegge la grande occasione della Basilicata: il petrolio. La vicenda ruota attorno al giacimento da 130 milioni di barili scoperto negli anni Novanta a Tempa Rossa e affidato in concessione nel 2006 dalla Regione a un'associazione di imprese con a capo la Total (con una quota del 50 per cento) insieme a Shell e Exxon (25 per cento ciascuna).

L'azienda è privata ma, essendo titolare di una concessione, è tenuta ai doveri del pubblico ufficiale. I manager della Total, secondo Woodcock, invece avrebbero brigato con i politici e gli imprenditori locali. L'obiettivo? Il solito: un appalto. La costruzione dell'impianto di estrazione, cinque pozzi per 35 milioni di euro, da assegnare a un pool di aziende lucane guidate dall'impresa di Francesco Rocco Ferrara. L'imprenditore, già coinvolto nell'inchiesta su Alfonso Pecoraro Scanio, secondo il pm avrebbe incontrato i leader regionali del Pd e ottenuto il loro sostegno. La Procura ha chiesto alla Camera di mandare agli arresti domiciliari l'onorevole Salvatore Margiotta: avrebbe fatto pressioni per aiutarlo e avrebbe acquisito informazioni per favorirlo in cambio della promessa di una mazzetta di 200 mila euro. Margiotta, rutelliano di ferro, è il numero uno nella lista di Potenza e ricopre la carica di vicepresidente della commissione Ambiente di Montecitorio. Il 16 dicembre 2007 gli agenti hanno pedinato Ferrara mentre discuteva con il deputato in una stradina di Potenza, all'aperto, sfidando il freddo glaciale. Per l'accusa in quell'incontro Ferrara ottenne il suo appoggio per la gara in cambio della mazzetta promessa da 200 mila euro. Ma per l'appalto - scrivono i magistrati - c'è chi è disposto a fare di tutto: pochi giorni dopo gli uomini della Total entrano di soppiatto nella sede per cambiare il contenuto dell'offerta di Ferrara, che così vince la commessa milionaria. Alla faccia del mercato e della legalità.