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Il libro della settimana: Gianfranco La Grassa, Finanza e poteri

di Carlo Gambescia - 18/12/2008

 

Il libro della settimana: Gianfranco La Grassa, Finanza e poteri, Manifestolibri, Roma 2008, pp. 160. euro 18,00 (http://www.manifestolibri.it/ ).

 
Siamo sempre stati intellettualmente curiosi. E non abbiamo mai liquidato gli avversari, o presunti tali, con un’alzata di spalle. Qualche anno fa leggendo la Storia dei marxismi in Italia ( Manifestolibri 2005 ) della brava Cristina Corradi, scoprimmo Gian Franco La Grassa, perspicace e brioso economista di formazione marxista. Che tuttavia, a differenza di dinosauri, per giunta ancora oggi celebrati, come Toni Negri, mostrava di avere un approccio politico alle questioni economiche. E di tipo schmittiano. Ovviamente senza saperlo…
E per dirla in parole povere, approccio al politico in senso schmittiano significa che non si crede affatto che la società capitalistica sia una specie di macchina della meraviglie. Come ad esempio continua a intenderla Toni Negri. Nel cui pensiero l’uomo comune grazie a misteriose trasformazioni del capitale, si scopre comunista e corre ad acchiappare le farfalle della nuova e santa socialità: Negri, come è noto, ultimamente ama citare San Francesco d’Assisi come esempio di postcomunismo del futuro. Ma lasciamo stare.
La Grassa invece, che è passato, pare, indenne attraverso il maglio di Togliatti, Althusser e Bettelheim, non vuole più parlare di comunismo come meta finale dell’umanità. Perché ecco il punto: l’uomo reale, più che mosso da una socialità francescana, rivolta alla cooperazione, sarebbe governato da una specie di anima nera che lo spinge al conflitto. Come ha insegnato Carl Schmitt.
E al riguardo c’è un passo significativo nel volume di Gianfranco La Grassa di cui qui ci occupiamo (Finanza e poteri, Manifestolibri, Roma 2008, pp. 160. euro 18,00): “In linea di principio dunque - e non soltanto nel capitalismo ma anche nelle società precedenti - il conflitto, la competizione, lo scontro sono aspetti generali e preminenti, mentre la cooperazione, la collaborazione, l’alleanza, sono aspetti particolari e subordinati. Se ne tenga infine conto con un minimo di realismo. Basta con le ‘pie’ intenzioni che annebbiano la mente e sviano le indagini”. Toni Negri e anche il pacifista-gandhiano Marco Revelli sono così serviti a dovere. Ma, pure, per dirla tutta, i post-comunisti veltroniani, che da quella parrocchia provengono.
Si dirà che scoperta è? Dove si è cresciuti a pane e realismo politico, certe cose sono note da sempre. E poi c’è sempre il misterioso caso – che non sappiamo però quanto piaccia a La Grassa - dell’americano James Burnham, passato da Trockij a Pareto, Mosca, Michels. O se si preferisce dal socialismo rivoluzionario alla destra anticomunista e conservatrice (su di lui si veda il bel libro di Giovanni Borgognone, uscito qualche anno fa (James Burnham, totalitarismo, managerialismo e teoria delle élites, Stylos 2000). Quindi nulla di nuovo sotto il sole.
In realtà, non crediamo che La Grassa stia per fare, se ci passa l’espressione, il salto della quaglia e più avanti spiegheremo perché. Ma riteniamo importante questo libro perché implica un’apertura al realismo politico: nel senso di considerare l’uomo per quello che è, e non per quello che dovrebbe essere. Che per ricaduta non potrà non far bene a una sinistra, tuttora imbevuta di veltronismo spicciolo, tutto amore universale e buoni affari.
Un atteggiamento, quello di La Grassa - di cui, tra l'altro, si consiglia la lettura del blog (
http://ripensaremarx.splinder.com/ ) - che ritroviamo anche in altri pensatori sulle sue stesse posizioni critiche, come Costanzo Preve e, in parte, Mario Tronti. Lontani anni luce dal buonismo filosofico della banda dei due: Negri e Revelli.
Parliamo di autori che meritano di essere seguiti, anche magari solo per scoprire come le vie del post-marxismo siano in realtà infinite. Soprattutto quando c’è volontà di capire e studiare senza paraocchi. E in verità questo è l’ aspetto positivo di Finanza e poteri : La Grassa, nel ricostruire il destino “policentrico” del capitalismo contemporaneo - e tra poco spiegheremo come e perché -dialoga ad esempio con il List il critico del liberismo britannico, imposto a colpi di cannoniere e di teoremi ricardiani; con il liberale Hobson, studioso dell’imperialismo, secondo il quale era possibile, già all’inizio del Novecento, mettere la finanza al servizio delle sviluppo industriale e non della pura e semplice speculazione. Ma anche con lo Schumpeter sulfureo teorico di un geniale capitalismo distruttore-creatore dalle mille vite come i gatti. Certo, poi nel libro ricorrono anche i nomi di Marx, Lenin, Gramsci, Althusser eccetera, ma, per quanto possibile, sono studiati in chiave iperpolitica: in termini di decisione, individuazione del nemico, conflitto.
Ma non vorremo farla troppo lunga con gli aspetti teorici, annoiando il lettore. Tuttavia, prima di passare oltre, non possiamo non notare che La Grassa accetta la teoria delle élites. Che lui mostra di ritenere un fatto sociologico: una divisione, al di là del bene e del male, della società in governanti e governati. Benché, e va onestamente ammesso, La Grassa parli di “dominanti e non dominati” . E qui, comunque sia, torna però ad affacciarsi il fantasma di Burnham…
Ma veniamo al punto. In Finanza e poteri si sostengono due tesi fondamentali:
La prima è che la finanza non viene considerata una fase terminale del capitalismo, come ancora ritengono certo verbo marxista e mercatista-globalista, quest’ultimo in preda a spavento da crollo. Invece per La Grassa la finanza è il braccio economico, di quelli che lui chiama “gli agenti strategici in lotta per la preminenza con l’ “arma del denaro” : le imprese capitalistiche che invece di investire e fare sviluppo, scelgono la via facile della speculazione per dominare le altre imprese. Dunque il “fine è la supremazia”, mentre il profitto resta solo un “mezzo” . E la società finisce per pagarne le conseguenze.
Di qui, e giungiamo alla seconda tesi del libro, la necessità, all’interno di una nuova fase, dove sembra prevalere il policentrismo grazie all’ascesa della Cina, della Russia contro il monocentrismo Usa, di assecondare il ritorno alla politica. E non in termini di bellicismo e imperialismo, ma di controllo democratico di un’economia, che non può più essere lasciata nelle mani “dei funzionari del capitale” . In primis quelli del settore finanziario.
Tuttavia La Grassa non va oltre, pur dichiarando di temere sia il neo-liberismo sia lo statalismo. L’economista indica quelle che per lui sono le sfere “inerenti ai rapporti di forza tra apparati” sociali: “ imprese, organismi politici (e statali) e ideologico-culturali” . Ne rileva i fattori di squilibrio legati “allo scontro tra i vari gruppi dominanti”, ma si accontenta di tratteggiare, per quanto maestosamente, le cose dall’alto.
Di qui le sue conclusioni, piuttosto sconsolate per uno studioso di formazione marxista: “Non c’è alcun ‘parto oramai maturo nelle viscere del capitalismo’ come non c’è alcuni intrinseco parassitismo finanziario in nessuna fase della complessa evoluzione spazio-temporale di questa forma sociale”. Eppure bisogna combattere la speculazione. La Grassa ne è consapevole, e pur rivalutando il ruolo della politica come conflitto e decisione, non chiarisce quali forze dovrebbero farsi carico dell’impresa, soprattutto a sinistra. Almeno in questo libro.
Si tratta una nostra impressione ma è come se La Grassa temesse di seguire il destino di James Burnham: un uomo di sinistra passato a destra (anticipatore del successivo e disgraziato percorso di alcuni neocons sul finire del Novecento, finiti nella braccia della famiglia Bush). Perché, da filosofo sociale, aveva già capito negli anni Quaranta del Novecento, che la sinistra, soprattutto quella marxista, la stessa da cui proviene La Grassa, non riusciva a superare il proprio determinismo storico ed economico. Se non in termini di terrore diffuso ed “applicato” nei riguardi di tutti quelli che si rifiutavano di credere nelle leggi del materialismo storico-dialettico. Ma poi commettendo l'errore - parliamo sempre di Burnham - di sposare la causa sbagliata, quella del capitale.
La Grassa è consapevole di tutto questo. Il che gli fa onore. E mostra con maestria di ritenere la politica superiore all’economia. Cosa, che considerati i tempi, può essere una buona base di partenza per aprire un confronto ideologico, come dire, al di là della destra e della sinistra con un economista "non conforme" . O no?