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Il falso mito del buon cinese

di Giuseppe Galasso - 18/12/2008



Il programma «La flotta dei tesori» del canale televisivo History Channel tratta della marina cinese sotto gli imperatori Ming (uso la vecchia grafia) Yong-lo e Hsüan-tê. La flotta, in varii viaggi fra il 1405 e il 1430, al comando dell'eunuco Cheng Ho, solcò il Pacifico e l'Oceano Indiano fino al Golfo Persico, al Mar Rosso e all'Africa orientale. Si afferma che le navi cinesi erano più grandi e di tecnica più avanzata di quelle europee. Si esaltano i risultati dei viaggi e lo spirito che li ispirava, non, come quello europeo, di conquista e sfruttamento, bensì di commercio e conoscenza. Poi, si dice, su una linea di nazionalismo rivendicazionista oggi più viva che mai, la Cina rinunciò al mare (ma aveva, si dice, già scoperto anche l'America), e tutta la storia del mondo ne risentì.
Le imprese navali cinesi sono, però, già ben note. Questo, dunque, non è affatto in discussione. Fa, invece, riflettere il modo in cui se ne parla: ossia in un confronto fra storia cinese e storia europea, in cui i cinesi, più avanzati in tutto, più umani e tolleranti, fanno la parte buona e brillante, gli europei la parte cattiva e opaca.
Che sia così si può dubitare, però, già per ciò che dice lo stesso Hystory Channel sul compito di Cheng Ho, ossia di far riconoscere dai sovrani di altri Paesi la superiorità cinese e ottenerne un tributo. Nessun disinteresse, quindi. Quei viaggi servivano alla politica di potenza, per cui la Cina impose la sua egemonia nell'Estremo Oriente, conquistò varii Paesi e rese altri suoi tributari (anche il Giappone). E si sa che vi si rinunciò perché li si ritenne superflui per la propria potenza continentale, costosissimi e senza utilità economica, benché aprissero la via al commercio e all'emigrazione cinese in Asia sud-orientale. Insomma, come sempre e ovunque, una «normale» linea di espansione economica e di ampliamento di una sfera di influenza politica. Se esibizione della forza e diplomazia non bastavano, puntuale era il ricorso alle armi.
Così, del resto, i cinesi facevano da sempre, costruendo una delle civiltà più importanti e di successo, e trasformando le loro etnie originarie in un grande popolo imperiale, che ha sottomesso e assimilato per lingua e cultura quelli di altra etnia e cultura in uno spazio di ampiezza continentale. E così hanno fatto tutti i popoli imperiali antichi e moderni. Che dire quando si sente parlare della tolleranza, ad esempio, di arabi o turchi? Gli arabi in breve tempo imposero il loro dominio, la loro lingua e la loro religione in un'area vastissima a popoli di grande civiltà e di tutt'altra lingua e religione. Lo fecero distribuendo fiori e ramoscelli di olivo? Quanto ai turchi, chiedetelo ai popoli balcanici o agli armeni. E che direbbero i popoli vittime degli aztechi per i sacrifici umani sull'ingenua mitezza dei loro dominatori, contrapposta alla sanguinaria furia dei conquistatori spagnoli? Si potrebbe continuare a volontà, ma basta riconoscere che Adamo ed Eva, Caino e Abele sono progenitori comuni di tutti gli uomini.
Altra questione è perché solo l'Europa sia giunta alla rivoluzione della modernità. Perché la modernità non è nata nel mondo ellenistico-romano o in Cina, visto il loro grado di sviluppo? La loro è una «storia spezzata», un destino interrotto?
Il problema, in sé, è inconsistente. La storia condiziona il presente, ma trarne il futuro è un altro affare, e non ha nulla di fatale o di automatico. Tutto, progresso o arresto o regresso, è sempre in gioco. La modernità europea non è stata un caso, né la piratesca o fortunata appropriazione di qualcosa che stava lì, dietro l'angolo, in attesa di qualcuno. Il grande problema del «perché non prima o altrove?» ha una risposta banale: «Perché così non fu». La modernità europea è nata da uno spirito, che altrove o prima non vi fu perché… non vi fu. Dov'è il mistero? Vi sono ragioni speciali per cui altri non approdarono alla modernità? Non lo si volle, non vi si pensò, non se ne sentì il bisogno, non se ne vide la possibilità. Non basta?
Basta e avanza. Si noti, semmai, che la modernità europea è stata quella che si sa. Una modernità ellenistico-romana o cinese sarebbe stata diversa. Non era scritto né che la modernità vi fosse, né quale dovesse essere. Del resto, oggi gli europei appaiono seduti sul loro passato (peraltro, spesso e molto rinnegato), superati o superabili da altri, senza un'ansia di proseguire la modernità o di andar oltre pari a quella che ebbero nel costruirla. Ma anche in ciò non vi è alcuna storia spezzata o destino interrotto. C'è solo la storia, una storia.