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Divagazioni sull’invidia

di Carlo Gambescia - 19/12/2008


Che cos’è l’invidia? Nella dottrina cattolica è addirittura un peccato capitale. Stando ai vocabolari è un sentimento di astiosa irritazione di fronte alla ricchezza, al successo alla felicità, alla fortuna o ad altre qualità dell’altro. Il latino invido (termine da cui deriva invidia) significa “guardare bieco”. Per farla breve, non è un sentimento positivo.
Tuttavia per alcuni sociologi l’invidia è un meccanismo di avvio. Può dare vita a un processo di emulazione dai risultati positivi: tu sei ricco, perché hai fatto tanti soldi, io di conseguenza, invidiandoti, mi metto subito all’opera per farne tanti anch’io. E così via…
Può essere. Anche se il passaggio dall’invidia teorica a quella pratica non è mai sicuro. Spesso l’invidia resta una specie di comodo riparo esistenziale, legato al "restiamo alla finestra"… Ben riassunto da un aforisma di Max Beerbohm: “L’invidia del cretino per l’uomo brillante trova sempre qualche consolazione nell’idea che l’uomo brillante farà una brutta fine”. Insomma, l’invidia teorica può trasformarsi in forza inerziale e non di mobilità sociale.
Ma, tornando all’invidia pratica, possiamo parlate di invidia positiva, se per la fretta di fare quei soldi - parliamo di un sentimento che comunque corrode l’anima - magari si finisca per imbrogliare il prossimo? Può perciò l’invidia essere coltivata come valore sociale? Esistono invidiosi onesti? O solo invidiosi furbi o fortunati?Immaginiamo un mondo - ipotesi limite - dove tutti provino invidia per tutti. Come si vivrebbe, singolarmente, sotto la sfida del continuo astio verso la ricchezza di chi ci sia vicino? Sicuramente male. Oggi, infatti, in una società come la nostra, a invidia sufficientemente diffusa, non si vive bene. Forse meglio rispetto ad altre società storiche. Ma, come dire, si vive più spiando la felicità degli altri che godendo, quando pure vi sia, della propria.
Quanto all’invidioso, secondo la saggezza popolare, si tratta di una persona “fegatosa”. Che soffre di disturbi al fegato. Di qui, come sostenevano i nostri nonni, quel colorito giallognolo tipico di tali persone. Secondo la medicina tradizionale cinese il fegato - punto debole dell’invidioso - , deve favorire l'armonioso fluire del Qi (l’energia individuale) all'interno di tutto l'organismo. Di riflesso, se tale energia viene “bloccata” a causa di una disarmonia del fegato, provocata dalla continua tensione nervosa, si avranno, ad esempio, disturbi agli occhi quali bruciore, dolore, secchezza, macchie di sangue nel bulbo oculare. Insomma l’invidioso vive male. Ma anche la medicina moderna consiglia, in via indiretta, di non sottoporre il fegato ad eccessivo stress di tipo alimentare-nervoso. Quello stress che segna la vita poco armoniosa di chiunque "guardi bieco" l'altro.
Ecco dunque la scienza medica dell’ Occidente e dell’ Oriente congiungersi contro gli invidiosi. Per una volta i medici sembrano più avanti di tanti sociologi.
Per tornare alla politica di oggi, Berlusconi è più amato o invidiato? Coloro che lo hanno votato lo amano? Oppure segretamente lo invidiano. E magari hanno votato il Cavaliere nella speranza di poter diventare ricchi come lui?
E quelli non lo hanno votato? Sicuramente non lo amano. Ma, segretamente, lo invidiano. E perché si dovrebbe invidiare Berlusconi? Perché è ricco. E la ricchezza, e non importa come accumulata, è la prima causa dell’invidia, almeno così insegnano i saggi. E Berlusconi? Pare non dia alcuna importanza all’invidia altrui. E se lo può pure permettere visto che è ricco.
Quanto alla persone comuni, vittime dell’invidia altrui, l’unica forma di difesa consigliata è ignorare gli invidiosi, seguendo il dantesco “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa” . Ma con maggiore fatica, rispetto a Berlusconi, soprattutto quando, come nel caso della gente comune, non si hanno i suoi miliardi.
Faticosamente guadagnati? Mah... Ecco, in quel "mah" c'è un pizzico di invidia.