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Somalia: chi perde e chi guadagna

di Eugenio Roscini Vitali - 21/12/2008

 

Sono quasi 120 i deputati somali che il giorno dopo l’insediamento del nuovo primo ministro, Mohamed Mohamud Guled, hanno chiesto l’incriminazione del presidente Abdullahi Yusuf: l’accusa è di violazione dell’articolo 14 della Carta transitoria ed ostacolo al processo di pace tra il Governo di Transizione Federale (TGF) e l’Unione delle Corti Islamiche (UIC), i tribunali locali che tra giugno e dicembre 2006 erano riusciti a dare al paese una parvenza di governabilità e stabilità politica. A far scattare la reazione dell’ala moderata del parlamento é stata l’inattesa estromissione del premier Nur “Adde” Hassan Hussein, personaggio politico di grande consenso che ha portato avanti gli accordi di Gibuti con l’ala moderata dell’ex governo islamico e ha posto le basi per un’intesa che avrebbe potuto mettere fine ad una ingovernabilità ormai ventennale.

Presentata lunedì dal deputato Ibrahim Isaq Yarow, la risoluzione d’impeachment, che ha trovato il sostegno di 117 parlamentari su 275, aggrava ulteriormente una situazione già difficile e divide definitivamente la presidenza Yufus dal gran parte del paese. Il Parlamento dovrà ora stabilire la data del voto per il quale è necessaria una maggioranza pari a due terzi dell’Assemblea. Nur “Adde”, che si è visto sbattere la porta in faccia subito dopo aver incassato la fiducia del parlamento, ritiene la sua estromissione una violazione della Carta transitoria e una prevaricazione sul Parlamento, unico organismo autorizzato a sfiduciare il premier, ed è convinto che con questa mossa il presidente voglia far naufragare il processo di stabilizzazione avviato in Gibuti.

Da parte sua Abdullahi Yufus, accusato anche di nepotismo ed uso illegale del potere, continua a negare che la sua politica rappresenti un ostacolo alla pace in Somalia; in un’intervista all'Associated Press il presidente ha ribadito che il voto di fiducia espresso dal parlamento nei confronti di Nur “Adde” è stato un atto inutile e incomprensibile, soprattutto visto che la nomina di Mohamud Guled era un fatto già noto. Ad attaccare il leader somalo però non è solo l’Assemblea.

Immediatamente dopo il licenziamento di Nur “Adde”, il Kenya ha annunciato una serie di sanzioni contro Yufus e la sua famiglia. Il capo della diplomazia keniota ha parlato del presidente somalo come un intralcio alla normalizzazione del Corno d’Africa ed ha annunciato che il suo paese è pronto ad emettere nei suoi riguardi un divieto di transito ed il blocco dei beni custoditi nelle banche di Nairobi.

Anche se gran parte dell’opposizione guidata dall’Alleanza Islamica per la Ri-liberazione della Somalia (ARS) si è schierata a favore del governo guidato da Nur “Adde”, Yufus può ancora dormire sonni tranquilli. Il risultato della risoluzione presentata dal deputato Isaq Yarow dimostra che il Parlamento non è coeso; i rappresentanti delle milizie al-Shabab, i gruppi islamici che controllano la parte centro meridionale del paese, non si sono infatti ancora schierati contro il presidente e questo rappresenta certo un ostacolo per la procedura d’impeachment, una divisione politica che unita al ritiro delle truppe di Addis Abeba potrebbe nuovamente trascinare il paese nel caos. La Somalia non è più governabile dal 1991, da quando i signori della guerra rovesciarono il regime del presidente Siad Barre per poi spartirsi il paese e dare vita ad una guerra senza quartiere; il fatto che l’Etiopia sia poi riuscita a cacciare le Corti islamiche non ha determinato alcuna stabilizzazione e non ha impedito che le milizie al-Shabab prendessero il posto dell’UIC.

Entrato in Somalia il 24 dicembre 2006, l’esercito etiope ha giocato un ruolo fondamentale in Somalia e secondo alcuni esperti da forza di occupazione potrebbero diventare forza di stabilizzazione. A quanto sembra, questo però non sarà possibile: primo perché Addis Abeba ha dimostrato di non essere in grado di fronteggiare le milizie ribelli; secondo perché la missione rientrerà in patria entro la fine dell’anno. Insieme agli etiopi, dalla Somalia è destinata a scomparire anche la piccola forza di pace messa in piedi dalle Nazioni Unite, talmente piccola che a meno di un sostanziale rinforzo non sarebbe in grado di proteggere neanche se stessa.

Paradossalmente così, dopo aver sconfitto l’Unione della Corti Islamiche (UIC), quello che in molti hanno definito un radicale regime estremista ma che peraltro si era dimostrato il “governo” più credibile degli ultimi 25 anni, l’Etiopia abbandona la Somalia e lascia il campo alle milizie al-Shabab, anch’esse islamiche e inserite nell'elenco delle organizzazioni terroristiche ma probabilmente meno invise all’amministrazione americana.

Nata all’interno delle Corti, Al -Shabab controlla ormai gran parte della Somalia centro-meridionale; la sua posizioni politica é certamente più radicale ed oltranzista dell’ARS che, al contrario, rappresenta gli islamici più moderati. Al-Shabab non è un’organizzazione monolitica e al suo interno ci sono frange che non esitano ad applicare la legge coranica più estrema, compresi casi di condanne a morte per decapitazione. Certo é che dall’arrivo delle truppe etiopi e dall’insediamento del TGF, per la popolazione civile le cose sono peggiorate notevolmente e c’è chi addirittura ricorda il governo delle Corti come un periodo di stabilità e tranquillità sociale. I numeri lo confermano: fino ad ora gli scontri hanno causato la fuga di circa un milione di civili ed in realtà l’invasione sponsorizzata da Washington non è stato altro che un atto rivolto a fermare l’espansione dell’Eritrea, principale sostenitore dell’UIC.

Favorendo nel 2007 l’istituzione di un nuovo potere politico-istituzionale, Addis Abeba si è trovata di fronte ad una situazione ingovernabile: nella maggior parte della regione il TFG è rimasto sono un nome e per molti l’Etiopia è diventata una minaccia. Certo è che con un Parlamento diviso, un paese frantumato e controllato in gran parte dalle milizie islamiche Al-Shabab e l’appoggio di una forza militare ordinante come l’Etiopia che viene improvvisamente a mancare, il compito di Mohamud Guled non è facile.

All’interno del governo le voci del dissenso non mancano e sono quelle che più di ogni altra riassumono lo stato di crisi in cui si trova il paese: in una intervista alla BBC, il ministro dell’Agricoltura, Mustafa Duhulow, ha affermato che il presidente Yufus ha il compito di lavorare per l’unita nazionale e la riconciliazione, cosa che ha dimostrato di non voler fare: “Per la Somalia il vero problema è il presidente. Il Parlamento ha tentato in ogni modo: ora ci resta un sola opzione, l’impeachment”.