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Gaza è “una piccola Baghdad”

di Amira Hass - 29/12/2008



Ci sono molti cadaveri e feriti, ogni momento che passa ne vengono aggiunti altri alla lista delle vittime; e in tutto ciò non c’è più spazio all’obitorio.

I familiari rovistano tra i cadaveri e i feriti in modo di dare ai morti una sepoltura veloce. Una madre che  ha perso i suoi tre bambini, che ora sono accatastati l’uno sopra l’altro nel obitorio, urla poi piange, urla e poi si rassegna al silenzio.

All’una del pomeriggio di sabato, Mustafa Ibrahim è stato testimone di tutto questo nell’ospedale di Shifa a Gaza. Come investigatore di zona per un’organizzazione dei diritti umani pensava di essere ormai diventato immune a tale scene di sofferenza, ma niente poteva prepararlo per quello che vide. Ai feriti meno gravi veniva chiesto di sgombrare l’ospedale per lasciare liberi i lettini. Il dottor Haidar Eid, docente di Studi culturali all’univeristà di Al-Aqsa, è anche lui stato testimone dei cadaveri e i feriti di sabato.  Anche dei bambini le cui arti erano state amputate.

Riassumendo i fatti, dichiara: “Scegliere un orario cosi, le 11 e 30 del mattino, per bombardare nel cuore delle città è un atto terribile. Questa decisione è stata presa con l’intenzione di causare il maggior numero di vittime possibile; è un massacro”
Abu Muhammad era a duecento metri dall’ospedale quando si è udito un terribile frastuono: tre centrali di polizia che si trovavano vicino all’ospedale sono state bombardate. “Nel giro di pochi secondi, è diventato un piccolo Baghdad, le bombe cadevano dappertutto, fumo, fuoco, la gente non sapeva dove nascondersi. La paura è dovunque, insieme al rancore e l’odio”, dice.

Si è recato di corsa alla scuola di sua figlia, lui come decine di migliaia di altri genitori nella striscia. Dalle 11 e 25  alle 11 e 30 del mattino, mentre intorno cinquanta aerei bombardavano i loro obiettivi, centinaia di migliaia di bambini si trovavano nelle strade. Alcuni venivano dalle loro prime classi mattiniere, mentre altri si recavano alla loro seconda. “Nel cortile della scuola ho visto cinquecento bambine in lacrime dal terrore. Non mi conoscevano, ma si sono aggrappate a me”, ricorda Abu Muhammad.

Solo nel quartiere di Sheikh Radwan ci sono state 43 vittime. È stata allestita una tenda del lutto per loro tutti. La maggior parte erano giovani poliziotti che di recente si erano unita alla polizia civile; sono stati uccisi durante la loro cerimonia di consegna.

I campi d’addestramento delle brigate Izz-al Din al-Qassam e i centri di detenzione e interrogatorio erano deserti al momento dei bombardamenti. Ma le centrali di polizia nella striscia, che svolgono i servizi per la popolazione, erano pienamente popolate. Nessuno credeva che fossero presi di mira durante i bombardamenti.

Nel pomeriggio, si cercavano ancora i cadaveri tra le macerie. Khalil Shahin è corso alla centrale di polizia situata al centro della striscia. “Un palazzo enorme; ora non ne rimane niente, è tutto per terra” dice. Sono morte intorno alle 30 persone all’interno. Sapeva che suo nipote, un civile,  è stato ucciso perché si era recato alla centrale per risolvere una faccenda con la polizia.

All’inizio, l’insegnante Umm Salah aveva pensato che l’esplosione fosse dovuta solo ad una bomba sonica. Ma quando l’intero palazzo tremò, i vetri si frantumarono, il fumo, la polvere ed il suono delle ambulanze divenne chiaro che qualcosa di molto più grave stava accadendo. Alcuni dei suoi studenti vennero feriti dall’esplosione dei vetri. Alcuni piangevano, altri rimasero in silenzio pietrificati.

Ha trovato suo figlio nel mezzo del caos della strada. Aveva appena iniziato l’esame di matematica quando sono iniziati i bombardamenti. Sono ritornati a casa insieme, trovando il fratello minore tra le braccia di sua nonna settantenne. La nonna, nel cercare di tranquillizzare i nipoti, provava a nascondere la paura ed il terrore.

“Non c’è stata elettricità, gas, farina o pane per quasi tutta la scorsa settimana”, dice Umm Salah. “D’improvviso è tornata la luce, ho acceso la televisione e ho visto le immagini. L’ho spenta subito e ho mandato i miei figli a fare i compiti”.
  

Amira Hass: Gaza è “una piccola Baghdad” - Bombe, paura e rabbia

Ha’aretz, 28 dicembre 2008

(Traduzione di Andrea Dessi per Osservatorio Iraq)