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Crimini e basta

di Gianfranco la Grassa - 29/12/2008

 

Non molti giorni fa, sia pure in un diverso ambito di discussione, avevo accennato ai fenomeni che, nel corso della storia, invertono il loro senso. Quelli che ieri sono stati massacrati – e il loro massacro deve essere esecrato senza nessuna revisione di giudizio – possono oggi diventare i massacratori e quindi vanno, nella contingenza attuale, esecrati con altrettanta radicalità. Questo accade agli israeliani che, fino a prova contraria, sono le generazioni successive a quelle ebree sterminate dal nazismo. Non si venga ipocritamente a dire che essi si difendono dagli attacchi palestinesi. Stanno occupando territori altrui e opprimendo comunque una data popolazione; e chi è oppresso ha pieno diritto di resistenza. Lo fa con i mezzi (pochi) che ha a disposizione.

In ogni occasione infatti, e così anche in quest’ultima, è eclatante la disparità delle azioni commesse dagli uni e dagli altri. E’ un pezzo che non ci sono vere ed efficaci azioni dei kamikaze. I razzi che vengono sparati contro Israele fanno tali danni che le uniche notizie lette sui giornali, fino ad ieri, parlavano di due bambine palestinesi uccise da un missile che ha compiuto più o meno lo stesso tragitto della “bomba della Berta” nel film di Chaplin Il grande dittatore. A simili “terribili” operazioni, gli israeliani hanno risposto facendo già in queste prime ore di aggressione centinaia di morti, distruzioni, ecc. (adesso leggo cifre approssimative, e inferiori al reale, di circa 300 morti e parecchie centinaia di feriti; e si preannuncia un’operazione di terra perché, come è stato dichiarato dal premier, “siamo appena agli inizi”). Questa è la legge applicata da tutti gli oppressori e occupanti: eliminare come minimo 100 “nemici” per ogni proprio ucciso. Qui, però, non ci sono state perdite da parte israeliana (solo dopo l’attacco assassino, è stata uccisa da un razzo palestinese una donna dell’altra parte); quindi, la “rappresaglia” ha connotati del tutto peculiari, non presenti neppure in quelle violentissime dei nazisti e di ogni esercito di paesi aggressori, di tipo coloniale o altro.

E’ bene ricordarlo: perfino secondo le regole di una “democrazia” all’occidentale (che non è quella reale del popolo che combatte per la sua libertà), Hamas ha pieno titolo a governare a Gaza. Eppure, pochi giorni fa, il ministro(a) degli esteri israeliano ha dichiarato che il suo paese intende farla finita con questo governo; è solo questione di poco tempo e poi il verdetto elettorale, che ha portato al vertice Hamas, sarà rovesciato con le armi (questa è una “donna” che parla, e alle donne il politically correct attribuisce sensibilità e umanità superiori a quelle degli uomini). L’arroganza dei massacratori, pronti a trincerarsi in ogni occasione dietro l’Olocausto per compiere un crimine dopo l’altro, è disgustosa; è un’autentica offesa ai loro martiri di 60-70 anni fa. Trova però sostanziale comprensione in tutto l’occidente – malgrado l’ipocrita invito ad “entrambe le parti” di cessare le ostilità; come se ci fosse la benché minima paragonabilità tra gli eccidi degli uni e la resistenza degli altri, e senza tener conto che gli uni opprimono e gli altri si battono per liberarsi – a partire dai post-“comunisti” (piciisti) fino ai post-fascisti alla Fini, passando per tutti i finti “democratici” (che si tratti di sedicente destra o di sedicente sinistra); ovviamente con tutta una serie di differenti sfumature per meglio ingannare e sviare l’indignazione di popoli già abbastanza “ottusi” in fatto di senso di giustizia, con poca capacità di provare orrore e di comprendere quali “mostri” l’occidente ha allevato nel suo seno. La Russia ha preso una posizione più dura e decisa contro l’eccidio appena iniziato da Israele, chiedendo nel contempo ad Hamas di cessare le ostilità, in definitiva di accettare il predominio incontrastato degli oppressori. Della Cina non ho sentito alcunché in queste prime ore, ma non credo si scalderà molto; siamo lontanissimi dalla “vecchia” politica maoista, di pieno appoggio a tutte le lotte di liberazione nazionale. 

Dal punto di vista di una moralità proprio minima, quella di una persona appena appena “per bene” (pur nel senso conformistico dell’espressione), l’atteggiamento di questi effettivi sicari degli Usa – che tuttavia agiscono anche in proprio e con una loro specifica e selvaggia ferocia, applicata con calcolo e cinismo senza pari al mondo in questo periodo storico – deve essere non semplicemente condannato, ma ripudiato e trattato quale puro assassinio in massa, prendendo finalmente atto che quel paese, tanto decantato come “civile e moderno”, è ormai una piaga particolarmente purulenta pur in un mondo tutt’altro che pervaso da spirito di “pacifica convivenza”. Questi israeliani si comportano in un modo simile, ma certamente moltiplicato per mille, a quello degli abitanti de La Zona (il recente film messicano, per chi l’ha visto). E, come nel film, quei pochi di loro che protestano o hanno dubbi su simili comportamenti criminali, vengono perseguitati e isolati con tipiche modalità da paranoici.

Ovviamente, queste atrocità israeliane andranno debitamente annotate nel “libro della Storia”; come hanno pagato i nazisti (in tempi storici brevi), così verranno a scadenza anche le condanne per questi eccidi di massa (e senza bisogno di “Tribunali di Norimberga”), pur se l’attesa è e sarà ben più lunga. Il mondo non è attualmente attraversato da correnti politiche, e da lotte di liberazione, in possesso di una forza tale da mettere in reale pericolo le posizioni di supremazia delle potenze (e subpotenze) capitalistiche: sia di quelle già sviluppatesi che di quelle in nuova crescita. E sono esse a mantenere in vita la piaga in questione; chi per servirsene per i propri analoghi scopi (Usa e parte della UE) e chi per viltà, ignavia, a volte reale impotenza. Se qualcuno pensa che la crisi economica in atto – ancora per tanti versi non chiara nei suoi prossimi andamenti – indebolisca questi paesi a tal punto da dare forza ai popoli attualmente soggetti all’oppressione (non parlo tanto dell’oppressione interna, quanto soprattutto di quella esterna), questi si sbaglia di grosso. Almeno lo presumo e ne sono convinto; sarei ben lieto di sbagliarmi. Nel presente periodo storico, più che i popoli in lotta contano i paesi maggiormente sviluppati e capitalisticamente avanzati (le famose “nazioni che tornano”, secondo l’opinione di chi pensava fossero sparite); questi ultimi fanno finta di cooperare al bene “comune” – che per loro è esclusivamente come uscire dalla crisi e riprendere il corso di un “normale” sviluppo – ma in realtà si studiano e si guatano reciprocamente per porre in atto le opportune misure al fine di migliorare, almeno in senso relativo (ai competitori), le proprie posizioni e sfere di influenza.

I “potenti della Terra” sono dunque in tutt’altre faccende affaccendati; se si può contare talvolta sull’aiuto di questo o di quel “potente” a questo o quel popolo oppresso (o ai gruppi subdominanti che li guidano nella lotta), è solo nell’ambito di più complessi scopi, di egoistico interesse (che, di riflesso e come debole ricaduta, riescono spesso a coinvolgere pure buona parte delle popolazioni dei paesi “avanzati” o “in avanzamento”), perseguiti con metodi vari e più o meno scoperti o invece subdoli, sotterranei. L’indignazione per le ingiustizie e le ferocie dei più potenti, e dei loro sicari (ma agenti anche in proprio) come Israele, è certo grande in noi (pochi temo); e, lo ribadisco, tutto verrà segnato e ricordato, con la speranza che arrivi infine il momento della punizione severa e definitiva. Tuttavia, è bene valutare con realismo l’impunità di cui godono al momento i massacratori. Contro di loro si scagliano da anni tante parole inutilmente minacciose, e si usano mezzi offensivi che non hanno nemmeno un centesimo della loro potenza.

Come non sussiste la semplice contraddizione tra proprietà capitalistica e lavoro salariato (non parliamo neppure più, per favore, di borghesia e proletariato o Classe Operaia), nemmeno è presente, nei termini elementari in cui viene pensata, quella tra paesi capitalisticamente dominanti (“imperialisti”) e popolazioni oppresse di aree arretrate (che sono in realtà altre formazioni particolari con loro specifiche caratteristiche sociali, con la loro peculiare configurazione in gruppi dominanti e raggruppamenti di dominati, ecc.). Le contraddizioni non sono affatto così semplici, non hanno quell’aspetto duale così netto, così semplice, così tranquillizzante per i “rivoluzionari” velleitari. Esistono fasci di contraddizioni; al loro interno, non v’è nemmeno quella irriducibilmente e permanentemente principale, che darebbe senso e coordinerebbe tutte le altre, dette secondarie. Essere principale o secondaria non è carattere specifico di questa o quella contraddizione; è una posizione che viene occupata, in ogni “storicamente determinata” congiuntura, cioè in ogni data fase storica, da contraddizioni diverse ed in movimento e trasformazione: in se stesse e nel loro reciproco articolarsi e contrapporsi.

La fase che stiamo vivendo è di trapasso; mentre noi invece insistiamo a riferirci ancora testardamente a quella vecchia e superata, senza prendere atto dei fallimenti (tanti ormai, un vero cumulo di macerie!) in cui le forze dell’agognata trasformazione sociale sono incorsi. Non è facile afferrare l’evolversi di una fase per troppi versi nuova, mentre disponiamo solo dell’esperienza della precedente e delle categorie teoriche interpretative che in questa si sono forgiate. Se è vero che la nostra comprensione del mondo (e per di più sempre imperfetta e parziale) è come la “nottola di Minerva” che “inizia il suo volo sul far del crepuscolo”, noi – trovandoci nel bel mezzo di un periodo storico di cambiamento ed evoluzione verso qualcosa di nuovo e ancora ignoto – facciamo ovviamente fatica ad orientarci; tale difficoltà non deve però diventare una semplice scusa per aggrapparsi al passato, per tornare addirittura indietro di secoli fino agli illusionismi dei comunisti utopisti. Nemmeno è lecito predicare catastrofi naturali, sperando che ciò convinca gli uomini a stringersi l’uno all’altro per sopravvivere. Invece di immaginarci situati in secoli passati o futuri, proviamo a tornare nell’epoca (nuova e in evoluzione) in cui realmente viviamo e dobbiamo muoverci (anche sguazzando).

Tale modo di pensare non smorza la nostra indignazione per i crimini perpetrati dagli oppressori attuali, fra i quali Israele occupa un posto preminente e “privilegiato”. Tuttavia, dobbiamo avere anche pazienza e renderci conto che non basta tuonare e minacciare. E’ necessario capire le contraddizioni specifiche di questa fase storica, quali sono le più dinamiche, le direzioni in cui evolvono, come intervenire in esse (e anche l’elaborazione di un pensiero è un intervento “operativo”, se non si disperde in semplici elucubrazioni consolatorie o catastrofiche, e tenta invece di calarsi nella “realtà” del presente storico). Non so quanto tempo ci vorrà per la “punizione” di tanti delitti, ma dobbiamo cogliere i caratteri di questo presente per affrettare i tempi della stessa. E’ certamente grande la rabbia nel vedere un simile scempio compiersi senza ritorsioni vittoriose e devastanti. E’ tuttavia necessario valutare ciò che è possibile realizzare e su quale contraddizione, la più attiva nel momento dato, è più utile agire e far leva.

Detto questo in termini generali che non possono non essere anche generici, resta indubitabile che noi siamo con i palestinesi e contro Israele; sempre finché sarà chiaro da che parte stanno i massacratori (d’oggi, pur se massacrati ieri). E non ci si venga a dire che anche i palestinesi hanno i loro torti. Sempre, in ogni lotta, si commettono “brutte azioni” da entrambe le parti; da una parte, tuttavia, sta la ferocia dell’oppressore, tecnologicamente avanzato e che ha una potenza di uccisione dieci, cento, mille volte maggiore; dall’altra, sta la volontà di liberarsi da questi oppressori e di infligger loro quante più perdite è possibile, con netta inferiorità di mezzi ma con l’intento di ferire onde stancarli, logorarli, e, alla fine, costringerli a mettere termine alla loro prepotenza: unita ad una crudeltà e senso di superiorità da autentici razzisti, perché è evidente che gli ebrei si credono eletti in confronto ai popoli arabi. Altrimenti non condurrebbero i loro scientifici e “oculati” stermini di massa, con l’atteggiamento di chi conduce una campagna di disinfestazione contro “fastidiosi insetti”. Hanno molto ben imparato dai loro sterminatori di settant’anni fa.

Detto per ultimo: questa è una buona “cartina tornasole” per valutare le pretese novità della presidenza di Obama. Per il momento, questi ha affermato la volontà di inviare altri 20.000 soldati in Afghanistan, confermando la strategia aggressiva statunitense in quella zona. Adesso, vedremo come disbrigherà la faccenda israelo-palestinese. Bush e la Rice hanno già scelto immediatamente. Il “nuovo” tace; ma non lo potrà fare a lungo. E intanto i traditori si smascherano sempre più. Il Quisling Abu Mazen prima ha parlato di aggressione, per poi concludere: “i palestinesi potevano evitarlo”. Certo, come i partigiani potevano evitare le Fosse Ardeatine o Marzabotto, ecc. semplicemente non combattendo i tedeschi e i repubblichini. E non crediate che l’indignazione di Mubarak e di altri governi arabi sia differente. Anche di questo, però, bisogna tener conto. Quando si conduce una lotta, si deve sapere da quanti – e di che tipo, perché ci sono pure i finti “radicali” che vogliono tutto e subito per condurre al fallimento – traditori e opportunisti devi guardarti le spalle.

 

Ore 13. Leggo che Abu Mazen e Mubarak hanno attaccato Hamas perché “con il dialogo si sarebbe evitato il massacro”. Come tutti gli ipocriti traditori, essi non dicono che “dialogo” sta per cedimento e accettazione del servilismo più totale. Inoltre, le loro menzogne spudorate sono state subito smascherate da quanto ha pubblicato Haaretz – giornale israeliano – secondo cui le odierne operazioni, di eccidio di massa ben calcolato e premeditato, erano state programmate e preparate da ben sei mesi. Questa è la fine – ovviamente ignorata da tutti i “ciechi che non vogliono vedere per tenersi tranquilla la coscienza – delle aberranti dichiarazioni degli Abu Mazen, dei Mubarak e degli altri opportunisti, finti indignati e reali sostenitori del tentativo israeliano di eliminare Hamas e l’arabismo radicale allo scopo di eleggerli quali loro particolari subordinati, muniti di uno statuto privilegiato.        

 Se non erro, Abu Mazen è andato a Mosca qualche giorno fa, e questo è un indicatore dei tipi d’intervento cui la Russia potrebbe essere interessata; d’altra parte, di ciò si deve tener conto, perché non c’è nessuna potenza (pur in fieri) favorevole all’appoggio di vere lotte di liberazione. Non parliamo della Cina, ancor peggiore della Russia. Questo è quanto, è la situazione della fase (non breve).