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Chakma e Karen contro i regimi oppressivi di Bangladesh e Birmania

di Fabrizio Legger - 29/12/2008

Nei due paesi asiatici la lotta armata delle minoranze non conosce tregua

La guerriglia è l’unica via per non soccombere al genocidio

Il Bangladesh e la Birmania sono due paesi asiatici confinanti. Il primo è a maggioranza islamica (l’85% della popolazione, con piccole minoranze induiste e buddiste), il secondo è a maggioranza buddista (il 56% dei birmani, con minoranze cristiane e islamiche). In entrambi questi paesi, però, i diritti delle minoranze non sono rispettati. In Bangladesh, la maggioranza musulmana, tratta gli indù e i buddisti come cittadini di serie B, mentre in Birmania la dittatura militare al potere non concede nessun diritto: solo oppressione, repressione e morte. Così, nei due paesi, alcune minoranze hanno impugnato le armi, in quanto quella della guerriglia è l’unica via per non soccombere al genocidio.
In Bangledesh, nella regione  sud-orientale degli Hill Tracts, le etnie di origine sino-tibeto-birmane (in particolare i Chakma, i Marma e i Marung) hanno dato vita al movimento armato Shanti Bahini, ovvero Forza di Pace, guidato dall’intrepido Joytirindra Bodipriyo, detto “Shantu” (il pacifico) ma conosciuto come il “Che Guevara del Bangladesh”. I guerriglieri della Shanti Bahini sono buddisti e la loro lotta armata mira essenzialmente a strappare al governo di Dacca una autonomia per le regioni degli Hill Tracts e un riconoscimento del Buddismo come religione di Stato del Bangladesh accanto a quella islamica e a quella indù. Ovviamente, i nazional-islamisti al governo in Bangladeh non vogliono nemmeno sentir parlare della Shanti Bahini e da anni mantengono nella regione migliaia di militari che si sono resi responsabili di stragi, deportazioni, stupri e massacri a danno dei civili delle etnie buddiste. Gli accordi di pace firmati nel 1998 sono ormai carta straccia, perché il governo bangladeshi, approfittando del silenzio del mondo sulla eroica lotta della Shanti Bahini, vuole annientare la guerriglia buddista con l’opzione militare. Ma la guerriglia prosegue dall’inizio degli Anni Ottanta, e nonostante tutti gli sforzi compiuti dai governi islamici che si sono succeduti a Dacca, la ribellione armata dei buddisti non è affatto stata stroncata.
Nella vicina Birmania, invece, i buddisti sono al potere. La dittatura militare birmana è una delle più repressive del pianeta. A tenere testa al governo dei generali di Yangoon sono soprattutto i Karen, la principale minoranza etnica del paese (ben 5 milioni e mezzo), di religione cristiana, i quali si oppongono allo strapotere dell’esercito birmano con i combattenti del Karen National Liberation Army (KNLA). Ogni anno, l’esercito birmano compie due offensive, una in primavera e una in autunno, per annientare i ribelli, e ogni anno le truppe della dittatura vengono respinte. Negli ultimi 12 anni sono stati distrutti più di 3000 villaggi karen e sono stati uccisi oltre 6000 civili appartenenti a questa bellicosa etnia. Ma i Karen sono combattivi, audaci e spavaldi: non si perdono d’animo e resistono, resistono, resistono, perché combattono per la loro terra e per la loro libertà. Purtroppo, la dittatura militare birmana ha due buoni protettori nella Cina e nella Russia, che la riforniscono di armi di e munizioni, consentendole così di portare avanti la sua guerra di sterminio nei confronti delle etnie ribelli (infatti, oltre ai Karen, lottano contro la dittatura birmana anche le etnie dei Kachins, degli Shans, degli Arakanais). La brutalità dell’esercito birmano è stata ben documentata da molte organizzazioni umanitarie, i rapporti economici tra Birmania, Cina e Russia sono noti, il narcotraffico operato da molti generali della giunta non è una novità. A questo punto perché l’Onu non dichiara la dittatura militare birmana un “governo-canaglia” e non organizza un intervento armato per abbatterla? E invece, silenzio, un silenzio che dura da decenni, e che in tutto questo tempo ha permesso alle giunte militari che si sono succedute al potere in Birmania di massacrare, angariare ed opprimere tutte le etnie che si ribellano al loro giogo dispotico. Di fronte a tante crudeltà, l’opinione pubblica non può tacere, deve intervenire, sostenendo la sacrosanta lotta per la libertà della Shanti Bahini in Bangladesh e del Knla in Birmania: la sopravvivenza di questi popoli dipende anche dal nostro interessamento e dalle pressioni che, come opinione pubblica, riusciremo ad esercitare qui, nel nostro indifferente ed edonistico Occidente!