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La paura del futuro fermerà il superfluo o l´equilibrio dinamico deve ancora attendere?

di Renato Cecchi - 30/12/2008

 
 
 
Il mondo sta male, è in crisi di astinenza. Vorrebbe consumare di più ma non può. Si è drogato di consumi. L’ultima droga, sintetica, si chiama “vivere a credito” (una via di mezzo tra Viagra ed Ecstasy) spacciata alla luce del sole vendendo debiti per creare altri debiti per vivere, illusoriamente, al di sopra dei propri mezzi. Ci eravamo dimenticati del ’29.

E intanto si sono scatenate la rincorsa al rialzo dei prezzi immobiliari e fondiari, guerre di prezzo e commerciali intorno alle materie prime. Arricchirsi senza fatica. All’infinito.

Ora, i consumi di beni di prima necessità (storicamente determinata, non si pensi alla candela o alla ciotola di minestra, anche se un terzo dell’umanità è sempre lì) si sono ridotti. In parte anche quelli di lusso. Altri consumi si sono fermati, fabbriche si fermano o chiudono, l’economia rallenta, l’economia si ferma. Si ferma? Gli esseri umani continuano a mangiare, si vestono, comprano case e auto, si riscaldano, viaggiano... meno, ma continuano a farlo. Allora che cosa si sta fermando?

Si ferma l’economia del soprappiù finanziario, quella della pietra filosofale che trasformava carta in oro. Ma anche quella del sovrappiù materiale (consumare sempre più cose e poi gettarle, neanche per possederle).

La paura del futuro ferma il superfluo. Ma l’economia di sussistenza non può fermarsi (sussistenza oggi non è la stessa di venti anni fa tanto meno di cinquanta o cento anni fa). Così capacità produttiva rimane inutilizzata in grandi quantità e non viene riconvertita, perché riconvertire vuol dire redistribuire ricchezza verso nuove attività e capacità necessarie, investimenti in conoscenza e istruzione, salari, pensioni, sicurezza sociale.

La crisi, perciò, spinge ad uno stato stazionario. E’ l’occasione per imboccare finalmente un sistema economico e sociale in equilibrio dinamico? No, è uno stato stazionario temporaneo, malato. Quando la crisi sarà passata con il rilancio dei consumi, gli stessi di questi ultimi 50 anni, consumati allo stesso modo, tutto ricomincerà come prima.

Non siamo in fondo al tunnel, non nei due o tre anni di questa crisi. Il caos sistemico non ha dispiegato ancora tutta la sua potenza, molti anni passeranno prima che l’umanità sia in grado di capire che cosa sta facendo. Non si pensi che per disintossicarsi da 50 e passa anni di consumi (preparati da tre rivoluzioni industriali e da più di 500 anni di storia del capitale), di psicosi del surplus da consumare rispetto a cui siamo disposti a rinunciare a diritti fondamentali a essere cittadini, per passare ad un sistema in equilibrio ecologico dinamico basti una crisi economica, sia pure delle dimensioni di quella attuale o di quella di ottanta anni fa.

Non è così, dovrà accadere ben altro. Occorre l’insegnamento della storia e correre i rischi di una critica radicale per una giustizia redistributiva della ricchezza dentro i confini delle risorse date, esauribili, del pianeta. Redistribuire vuol dire cambiare priorità del modo di vivere.