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La resa dei conti a Gaza

di Luca Mazzucato - 30/12/2008

 
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A un anno e mezzo dalla presa del potere da parte di Hamas a Gaza, il governo israeliano ha infine deciso di esportare la democrazia nella Striscia. Seguendo il modello dell'Operazione Mesopotamia, l'Israeli Air Force sta bombardando massicciamente la minuscola porzione di terra, per livellare ogni struttura appartenente ad Hamas per poi procedere con la fanteria pesante. Il presidente dell'ANP Abu Mazen, il cui mandato in scadenza verrà provvidenzialmente prorogato, ha dichiarato con Mubarak che Hamas è il vero responsabile dei bombardamenti. Il trio israeliano Olmert-Livni-Barak ha aspettato lo scadere della tregua di sei mesi negoziata con Hamas, per dichiarare che non si può trattare con i terroristi di Hamas e scatenare l'offensiva elettorale, Secondo i sondaggi, l'attacco sta dando ottimi risultati in vista delle elezioni anticipate di Febbraio.

I ritmi della politica israeliana si declinano con la guerra. Nel 2006, subito dopo le elezioni il governo di centrosinistra invase la Striscia di Gaza (dopo il rapimento del soldato dell'IDF Shalit da parte di Hamas) e scatenò contemporaneamente la Seconda Guerra del Libano (dopo il rapimento di due soldati israeliani da parte di Hizbullah). In quel caso, Olmert e Peretz dovevano dimostrare di avere la tempra dei guerrieri, ma fu un disastro su entrambi i fronti, che segnò la fine politica di Olmert. A due anni di distanza, la lunga agonia del governo Labor-Kadima è giunta all'epilogo.

Dopo aver rimandato le elezioni di oltre due anni, nella speranza di manomettere la sicura vittoria del Likud di Netanyahu (saldamente in testa ai sondaggi sin dalla fine della guerra in Libano nel 2006), il governo si sta giocando l'ultima carta, peraltro di sicuro effetto. Il giorno di Natale, mentre Ehud Barak istruiva i suoi piloti, Tzipi Livni volava al Cairo per mettere al corrente Mubarak dei piani israeliani. Poi il fulmine a ciel sereno. Alle undici e mezza di sabato mattina, gli F16 dell'aviazione israeliana attaccano la Striscia e sganciano tonnellate di bombe in pieno centro a Gaza City, nell'ora di punta, mentre i bambini del primo turno di lezione escono da scuola e i genitori vanno a prenderli. Il risultato è stato un massacro, oltre duecento morti in poche ore, centinaia di feriti ma un ospedale ridotto all'età della pietra dall'embargo israeliano sui medicinali. Il bilancio dopo tre giorni di bombardamenti è di circa quattrocento morti: l'attacco più pesante contro la Striscia dal 1967.

Lunedì i razzi lanciati dai militanti palestinesi hanno ucciso un soldato e due civili israeliani: i razzi Katyusha si sono spinti per la prima volta fino alla popolosa città costiera di Ashdod, a circa quaranta chilometri dalla Striscia. Tuttavia, gli israeliani si aspettavano una risposta molto più massiccia da parte di Hamas. Il portavoce del Comitato di Resistenza Popolare, ha dichiarato incredibilmente: “Se i soldati israeliani sono veri uomini, devono combattere sul terreno. […] Però sappiamo di aver a che fare con dei codardi che dagli anni Ottanta hanno sempre temuto il confronto faccia a faccia con noi.” In sostanza, Hamas sta provocando Barak, sperando che l'IDF invada la Striscia in forze.

I militanti non rimarranno sicuramente delusi: dopo aver richiamato oltre seimila riservisti, Olmert ha vietato ai suoi ministri di parlare di tregua e si prepara a dare l'ordine dell'attacco. I sondaggi del weekend, infatti, danno ragione al premier uscente: l'ottantadue percento degli israeliani ebrei appoggia l'invasione della Striscia, mentre solo il dodici percento è contrario. Tutti gli attori sembrano intrappolati nella retorica degna di un poema epico, ingaggiati in un duello d'onore. Rende l'idea un commento di Barak alla Fox News: “Chiederci di firmare un cessate-il-fuoco con Hamas è come chiedere a voi americani di fare un cessate-il-fuoco con Al Qaeda. Non possiamo accettarlo.” Rimane da capire dunque chi abbia firmato la precedente tregua tra Israele ed Hamas, ma persino in Israele la maggior parte dell'opinione pubblica non era evidentemente al corrente della tregua e del fatto che Israele non stesse rispettando la sua parte dell'accordo, mantenendo l'embargo sulla Striscia.

Fonti diplomatiche di Gerusalemme hanno lasciato trapelare che la finestra utile per l'invasione si chiuderà il 5 Gennaio: con la fine delle vacanze natalizie in Europa e Stati Uniti, il risveglio dell'opinione pubblica costringerà i governi occidentali a ritirare l'appoggio ad Israele. Altre indiscrezioni provenienti da Gerusalemme hanno denunciato un'ipotetica iniziativa diplomatica congiunta di Nicolas Sarkozy e Gordon Brown. Francia e Regno Unito vorrebbero proporre alla Lega Araba un negoziato ufficiale con Hamas. Questo rappresenterebbe una totale sconfitta per la linea israeliana della fermezza, dunque Olmert e Barak cercheranno di accelerare la vittoria militare sul campo, prima che si inizi a prendere in considerazione un cessate-il-fuoco. La sensazione di deja vù è opprimente, tutto si sta ripetendo esattamente come due anni fa, durante la guerra in Libano.

I palestinesi sono irrimediabilmente divisi al loro interno e mandano messaggi contraddittori sia all'occidente che ai paesi arabi. Abu Mazen dal Cairo, in una conferenza stampa con Mubarak, ha scaricato su Hamas la completa responsabilità della carneficina a Gaza, in perfetto accordo con le dichiarazioni di Condoleezza Rice per l'amministrazione Bush (Obama finora non si è fatto vivo). Non sembra vero ad Abu Mazen che finalmente l'esercito israeliano ripulisca la Striscia dal controllo di Hamas, dopo averci provato e fallito per ben due volte negli ultimi due anni. La stessa leadership di Hamas sembra al momento profondamente divisa. A quanto pare, il premier de facto Haniyeh, da Gaza City, avrebbe voluto rinnovare la tregua semestrale con Israele, nonostante lo stato ebraico non avesse tenuto fede alla propria parte dell'accordo. Da Damasco, tuttavia, l'ordine di riprendere il lancio dei razzi verso il sud di Israele è stato perentorio ed ha avuto un peso considerevole nell'accelerare l'escalation.

Gli arabi israeliani sono in agitazione dal primo giorno di bombardamenti israeliani. Numerose manifestazioni si sono svolte in tutte le città arabe al di qua della Linea Verde: ad Umm al Fahm, Gerusalemme Est, persino ad Afula, migliaia di giovani hanno marciato sventolando la bandiera dell'OLP (ma non quella di Hamas) chiedendo la fine degli attacchi israeliani e lanciando pietre alla polizia. Il capo della polizia israeliana tuttavia ritiene improbabile che si ripeta la rivolta del 2000, che segnò l'inizio della Seconda Intifada: “Il pubblico arabo-israeliano ora ha leader responsabili.” Analoghe manifestazioni nella West Bank hanno visto il lancio di molotov e sassaiole contro macchine di coloni israeliani, mentre a Modi'in un giovane palestinese ha accoltellato quattro ebrei. La polizia israeliana ha ucciso due giovani palestinesi nei disordini in West Bank.

Ma in queste ore la rabbia dell'opinione pubblica araba in tutto il mondo si sta concentrando soprattutto contro i cosiddetti regimi arabi moderati, ancor più che contro Israele. Soprattutto l'Egitto è l'oggetto delle contestazioni, l'anziano dittatore Mubarak è dipinto come il complice di Israele, per aver avallato l'attacco durante il suo incontro con Tzipi Livni. Hassan Nasrallah, il segretario della resistenza libanese di Hizbullah, ha invitato i musulmani egiziani a scendere nelle piazze fino a che il governo egiziano non sarà costretto ad aprire il valico di Rafah per dare una via di fuga ai palestinesi intrappolati nella Striscia. L'attacco israeliano di domenica su Rafah ha preso di mira i tunnel sotterranei usati per contrabbandare merci e armi dal Sinai alla Striscia di Gaza, creando il panico nella città di confine. A quel punto, centinaia di palestinesi hanno cercato di forzare il confine per scappare in Egitto, aprendo dei varchi lungo il muro di filo spinato. Dall'altra parte hanno trovato le guardie egiziane pronte ad aprire il fuoco: il bilancio è di un morto palestinese ed uno egiziano.