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Palestina: Tsahal alle porte di Gaza. Adesso si combatterà casa per casa

di Eugenio Roscini Vitali - 04/01/2009

 

Operazione militare “Piombo fuso” su Gaza, ottavo giorno. Dopo i raid dell’aviazione israeliana e il martellante e distruttivo bombardamento dei cannoni Howitzer, i carri armati Merkava varcano il confine e la guerra entra nella seconda fase. Le truppe di terra penetrano dal confine settentrionale della Striscia: due i punti di ingresso, nei pressi di Beit Lahiya, proprio dove nel pomeriggio l'artiglieria pesante aveva colpito duro, distruggendo una moschea piena di fedeli. L'operazione prende il via alle 20:00, ora locale, proprio mentre con un comunicato lo Stato maggiore informa che l'obiettivo dell'incursione è prendere il controllo delle aree dalle quali Hamas effettua il lancio di razzi sul Neveg . Mentre i miliziani palestinesi cercano di rispondere all'invasione con un fuoco di sbarramento e con l'uso di mortai, sei i colpi sparati in serata, le truppe del Tsahal (Esercito di Difesa di Israele) avanzano appoggiate da elicotteri da combattimento e in poche ore assunto il controllo di alcune rampe di lancio dei razzi Qassam.

Secondo quanto riportato dal quotidiano on line Haaretz, l'artiglieria ha aperto il fuoco alle 16:30 e, su indicazione del Mossad, ha colpito la moschea di Beit Lahiya, identificata come deposito di armi e munizioni e il campo profughi di Jabalyah, dove sono state distrutte alcune rampe di lancio utilizzate dalla Jihad Islamica. In serata Gaza ha subito un intenso bombardamento navale e circa 30 miliziani sarebbero morti; un compound della Jihad sarebbe stato centrato da una cannonata sparata dalla marina militare israeliana. Poche ore prima erano stati uccisi Abu Zakaria al-Jamal, importante leader delle Brigate al Qassam, l'ala militare di Hamas, e Mohammed Maaruf, comandante del movimento inslamico colpito mentre viaggiava su un'auto a Khan Yunis.

L'operazione “Piombo fuso” inizia il 27 dicembre: Israele lancia un'offensiva aerea sulla Striscia di Gaza nella quale vengono colpiti il porto, il commissariato di Elgewzet (intorno al quale sorgono almeno tre scuole e l'università), le caserme, gli arsenali bellici e le basi di addestramento dei miliziani. L'attacco è di un'intensità senza precedenti: muoiono almeno 230 palestinesi, in gran parte poliziotti di Hamas ma anche molti civili. Il giorno dopo vengono bombardati i tunnel che collegano Rafah al Sinai e l'università di Gaza, dove il Mossad sospetta vengano assembrati i razzi Qassam e i micidiali Grad da 122 mm. Il 29 dicembre l'esercito ha già ammassato circa novemila soldati e centinai di carri armati nelle vicinanze dei principali valichi; i raid aerei non si fermano e Hamas risponde intensificando i tiri di razzi sui centri abitati del sud di Israele. Lungo la Striscia si contano quasi 300 vittime; quattro gli israeliani. Il 30 dicembre il Tsahal è pronto per un’operazione di terra; mobilitati 6500 riservisti. Continuano i bombardamenti: colpiti i ministeri, un edificio del Parlamento e le abitazioni dei dirigenti di Hamas.

Insieme ad altre 17 persone, fra cui quattro mogli e dieci figli, viene ucciso uno dei principali capi del movimento, Nizar Rayan. Il 31 dicembre una motovedetta della Marina israeliana sperona e danneggia gravemente la barca del movimento pacifista internazionale “The Free Gaza Movement”. La Dignity, partita dal porto cipriota di Larnaca, viene fermata mentre si trova in acque internazionali a largo di Haifa. Carica di aiuti umanitari, è costretta a far rotta verso il Libano. Il 2 gennaio Israele permette agli stranieri di lasciare la Striscia; il 3 gennaio i caccia effettuano almeno 40 incursioni mentre dal mare i cannoni delle unità della Marina bersagliano Gaza; nel pomeriggio iniziano i tiri dell'artiglieria che a Beit Lahiya colpisce una moschea piena di fedeli. Sono più di 460 i palestinesi morti in otto giorni di guerra e circa 2.300 i feriti.

Alle 20:00 prende il via l'operazione di terra: i tank e la fanteria invadono la zona settentrionale della Striscia; in serata l'esercito israeliano bombarda un deposito di petrolio a Beit Lahiya, provocando un incendio di vaste proporzioni. Per paura che dal mare arrivino armi e munizioni, il ministro della Difesa Ehud Barak ordina il blocco navale di Gaza: per 20 miglia nautiche dalla costa non possono transitare imbarcazioni. Nelle stesse ore il Parlamento richiama 30 mila riservisti che si vanno ad aggiungere ai 6500 gia operativi. L'intenzione è quella di rafforzare il confine con il Libano; viene dichiarato lo stato d'allerta nel Nord del Paese.

Gli scontri a Gaza non sembrano destinati a fermarsi e il ministro della difesa israeliano Ehud Barak ha già detto che l'offensiva di terra nella Striscia “non sarà né facile né breve”. Nonostante la schiacciante superiorità tecnica i problemi non mancano: Hamas, che cercherà di trasformare lo scontro in guerriglia urbana e colpire le truppe israeliane durante la notte, è avvantaggiata dal fatto che nella Striscia risiede quasi un milione e mezzo di civili e sotto l’occhio attento dei media per le truppe dello Stato ebraico non sarà facile stanare i miliziani. Per Tsahal in campo aperto la minaccia rimane invece limitata: Hamas ha a disposizione un sistema anti-tank che risale ai primi anni Sessanta, il lancia missile di fabbricazione sovietica Phagot 9K-111. C’è poi da considerare il fatto che dei 15000 militanti che formano l’ala armata del movimento (in gran parte forze di polizia e giovani volontari di età che varia tra i 15 e i 16 anni), solo 1500 sono addestrati all’uso di questi sistemi d’arma. L’arsenale a disposizione di Hamas comprende i Qassam da 90 e 115 mm, che hanno un range di poso inferiore ai 20 chilometri e un numero limitato di mortai da 120 mm e Grad da 122 mm.

Dopo aver occupato Jebalya, Beit Hanoun e Beit Lahiya, località identificate come principali centri di lancio dei razzi Qassam e dei missili Grad, gli israeliani potrebbero proseguire l’invasione occupando le zone meridionali ed orientali della Striscia. Con la tacita approvazione del Cairo, i tank israeliani avanzerebbero lungo il corridoio che divide la Striscia di Gaza dall’Egitto, la Philadelphi root; oltrepassato il valico di Rafah, e contemporaneamente quello più orientale di Sufa, percorrerebbero Salahhadin road fino a Bani Suhaylah e Khan Younis, tagliando fuori l’aeroporto internazionale e tutta la zona costiera fino a Gaza Beaches; toccherebbe poi al valico di Kassufim, dal quale sarebbe possibile raggiungere le località di Dayr al Balah e Al Burayj, e al valico di Karni, da dove verrebbero occupati i campi profughi di Moazi e El Bureij e conclusa la manovra di accerchiamento di Gaza. Tra tregue ed interventi umanitari a favore dei civili, ostaggi essi stessi dell’assedio e degli assediati, i combattimenti potrebbero durare settimane: basti ricordare Shaker al-Absi e ai terroristi di Fatah al-Islam che, asserragliati a Nahr al-Bared, uno dei 12 campi profughi palestinesi che sorge a nord di Tripoli, hanno resistito quasi due mesi all’esercito libanese prima di arrendersi.