Inizio d’anno, tempo di previsioni. Quanto, però, sono fondate? Quindici giorni fa tutti assicuravano, in Italia, e in Occidente, un drastico calo nelle vendite natalizie. Non è stato quasi mai così, anche se solo negli Stati Uniti (dove peraltro si temeva il crollo maggiore), ci sono stati feriti gravi per la ressa degli acquirenti all’apertura dei grandi magazzini. Il futuro, anche vicino, si rivela ancora impenetrabile, seppur scrutato da esperti. Allora perché continuare a spiarlo?
Il fatto è che l’uomo rinuncia con difficoltà all’ipotesi che il domani sia già scritto, e che quindi la riuscita della vita dipenda solo dall’indovinare la soluzione, in realtà già stabilita. A molti questa specie di scommessa sembra più accettabile e facile che riconoscere invece che tutto è in continuo movimento, e quindi il successo è piuttosto legato alla prontezza nell’adattarsi alle circostanze, alla determinazione nel continuare a costruire giorno per giorno, disponibili ad adattare, modificare, disfare, ricominciare.

Ad alimentare la fede per le previsioni e le profezie, magari formulate da economisti piuttosto che da veggenti dichiarati, concorrono alcune tenaci speranze umane: quella che le situazioni si possano controllare con facilità piuttosto che impegnarsi a costruirle, e quella di potersi sottrarre al confronto col destino (l’anànche greca o la necessitas latina), con le sfide che ogni giornata ci può presentare, senza che noi le si conosca in anticipo.
È questa, anche, la contrapposizione tra un atteggiamento «religioso», che riconosce nell’esistenza umana variabili che l’individuo non può controllare, ma che deve affrontare di volta in volta (come Giobbe nel suo confronto con Dio), e una speranza-delirio di onnipotenza, che consegni all’uomo la mappa della propria esistenza, già tracciata grazie a statistiche, o divinazioni, o altre tecniche di eliminazione dell’incertezza (per esempio le ideologie).
Dal punto di vista psicologico, si manifesta qui un aspetto della nevrosi ossessiva, che vorrebbe avere la realtà sotto controllo e non accetta, viceversa, di doversi adattare ad essa. In questi due atteggiamenti, la convinzione di poter «prevedere» l’esistenza, e il riconoscere la necessità di costruirla giorno per giorno, si riflette anche l’idea che ogni uomo ha della libertà, e della sua legittimità. I dittatori, e in genere chi vede la libertà degli altri come qualcosa che è meglio limitare (con norme, misure di polizia, o tecniche, non importa), è affascinato dagli indovini, di cui generalmente si circonda, come Hitler, e comunque alla costante ricerca di un percorso umano «già scritto», che gli dia potere e tranquillità.
Le grandi tradizioni filosofiche e religiose, invece, hanno sempre mal visto maghi e indovini, identificandoli con i falsi profeti, venditori di verità di fatto inconoscibili. È vero che il confucianesimo, filosofia laica del vivere e dell’amministrazione dello Stato, che ha ispirato per secoli la vita in Oriente, ha dato un’impronta significativa al più antico (e più diffuso nel mondo) testo di divinazione: l’Yi Ching, o Libro dei mutamenti. Ma l’Yi Ching, appunto, non suggerisce affatto cosa accadrà, e cosa bisogna fare (anche se molte sue traduzioni popolari lo lasciano credere), bensì con quale atteggiamento dell’animo predisporsi ad accogliere l’inevitabile mutamento in corso, unica vera certezza della vita.
L’Yi, infatti, è il principio del mutamento, e la continua trasformazione delle situazioni è l’unica profezia sicura, a cui attenersi per l’equilibrio nella vita.