E’ da poco uscito il libro di Edmondo Berselli, Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe politica, Mondadori 2008. Presentandolo in Tv Corrado Augias ha fatto notare che sulla copertina è raffigurata una pezza, una toppa, mal cucita su qualche indumento, un pantalone, una maglia: rappresenterebbe la condizione miserabile in cui si trovano oggi gli elettori e i militanti di sinistra, metaforicamente ridotti a poveri straccioni politici, «spintonati ai margini di una società cattiva». Una sinistra con le pezze sul sedere.

Eh, no! Non ci sto! Chi ha letto qualche testo sulla decrescita ha già capito dove voglio andare a finire. Chi gira con le toppe sugli abiti non è un poveraccio: è un cittadino virtuoso ed esemplare, che ha imparato a non buttare gli abiti consumati, a ripararli e a riusarli. Quando gli oggetti che adoperiamo si guastano o sono usurati, li gettiamo nei rifiuti e li ricompriamo nuovi, anche perché non si trovano i pezzi di ricambio, e se si trovano costano come il prodotto nuovo. Ma questo comportamento produce due autentiche «catastrofi», per usare una parola del sottotitolo del libro: a valle, si accumula una maggior quantità di rifiuti che ammorbano l’ambiente; a monte, la riproduzione dell’intero oggetto, invece del pezzo di ricambio, richiede un maggior consumo di materie prime e di energia, sempre più scarse e costose. Il discorso vale anche per gli abiti.

I Have a Dream, pure io, nel mio piccolo: vorrei vedere sempre più cittadini con le toppe sui pantaloni, sulle maglie, sulle cuffie, sui calzini, sperando che sotto siano rattoppate anche le mutande, i mutandoni, le canottiere, le magliette.
Cittadini a toppe che si muovono in pubblico non vergognosi ma orgogliosi, perché sono membri della collettività saggi e virtuosi. Che hanno ricuperato l’antica virtù della sobrietà. La pezza sul sedere deve diventare un must: no toppa no party. Vorrei che i circoli del Partito delle libertà cominciassero a dare il buon esempio lanciando gli «aperitivi della pezza»: gli aderenti più facoltosi si tolgono l’abito nuovo, lo regalano ai poveri, e al suo posto indossano i pantalonacci vecchi da giardino. Vorrei che i circoli del Partito democratico, ansiosi di innovare, inventassero i «meeting della scarpa risuolata»: una cerimonia in cui i compagni meglio sistemati - consiglieri regionali, membri del parlamento, impoltronati di enti vari - regalano le scarpe nuove agli indigenti e si infilano vecchie scarpacce ricucite. Vorrei che, ai loro pranzi di rappresentanza, i celebri sindaci delle nostre più grandi città si togliessero la giacca lasciando apparire maglioni con le pezze ai gomiti. Vorrei che qualche ricco assessore, se ancora a piedi liberi, esibisse con orgoglio i calzini rammendati. Ma mi accontenterei che tutti i consiglieri comunali della mia piccola città, invece di aumentarsi il soldo, si presentassero in aula con i cappottoni del nonno, o troppo stretti, o troppo larghi, o troppo lunghi. Non ci apparirebbero affatto dei poveracci, ma degli austeri statisti, con la sobria dignità dei Padri Costituenti del 1946-47. Mettere le toppe assomiglia a fare di nuovo manutenzione nei servizi: non crederebbero ai loro occhi i pendolari delle ferrovie, gli studenti delle scuole, i ciclisti urbani vittime di strade dissestate. Chissà, forse solo alla sinistra non basterà mettersi una toppa.