1 Gennaio 2009
Vi fu un giorno nel quale ci preoccupavamo per le "masse arabe", ossia per i milioni di arabi "comuni" che circolavano nelle strade del Cairo, Kuwait, Amman, e Beirut, e per come queste masse reagivano ai costanti bagni di sangue del Medio Oriente. Sara’ in grado Anwar Sadat – ci chiedevamo allora - di contenere la rabbia del suo popolo? E adesso, dopo trent’anni di Hosni Mubarak, ci chiediamo: sara’ in grado Mubarak ("La Vache qui Rit", la vacca che ride, come ancora lo chiamano al Cairo) di contenere la rabbia del suo popolo? La risposta, naturalmente, e’ che agli egiziani, ai kuwaitiani ed ai giordani, verrebbe concesso di urlare nelle strade delle loro capitali, ma per poi essere tenuti a bada con l’aiuto di decine di migliaia di agenti della polizia segreta e di miliziani governativi al servizio dei principi, dei re, e degli anziani governanti del mondo arabo.
Gli egiziani chiedono che Mubarak apra a Rafah il passaggio di confine per Gaza, che rompa i rapporti diplomatici con Israele, e persino che mandi armi al movimento islamico di resistenza Hamas. E si prova quasi una perversa soddisfazione nell’ascoltare la risposta del governo egiziano: allora perche’ non lagnarsi dei tre passaggi del confine che Israele si rifiuta di aprire? Comunque, il passaggio di Rafah e’ controllato politicamente dalle quattro potenze che hanno escogitato la "mappa stradale per la pace", fra le quali l’Inghilterra e gli Stati Uniti. E quindi perche’ biasimare Mubarak?
Ammettere che l’Egitto non possa neanche aprire quel confine - la cui sovranita’ gli appartiene - senza il permesso di Washinghton, fa chiaramente capire quale scarso potere abbiano oggi i satrapi che reggono il Medio Oriente in nome nostro.
Infatti aprire il passaggio di Rafah, o rompere i rapporti diplomatici con Israele, significherebbe per l’Egitto il crollo delle sue basi economiche. Qualsiasi capo arabo che facesse un passo del genere verrebbe subito privato di ogni appoggio economico e militare, e senza sussidi l’Egitto farebbe bancarotta. Naturalmente il problema e’ duplice, perche’ oggi i singoli capi arabi non sono piu’ disposti a gesti emozionali a favore di nessuno. Quando Sadat si reco’ in volo a Gerusalemme e disse ai capi arabi suoi colleghi "I nani mi hanno stufato", pago’ col suo sangue. Mentre su una tribuna assisteva a una rivista militare uno dei suoi soldati gli dette del "faraone", gli sparo’ e lo uccise.
Ma la vera disgrazia dell’Egitto non sta nel come esso ha reagito al massacro di Gaza. Sta nella corruzione che ha preso piede nella societa’ egiziana, nella quale il concetto di servizio pubblico – sanita’, pubblica istruzione, sicurezza vera per la gente comune – ha semplicemente cessato di esistere. Ormai e’ un paese nel quale il primo dovere della polizia e’ quello di proteggere il regime, un paese in cui i dimostranti vengono picchiati dalla polizia di sicurezza, in cui le ragazze che contestano la durata senza fine de regime di Mubarak (che probabilmente passera’ a suo figlio Gamal, come con i califfi) vengono molestate degli agenti in borghese, e in cui le guardie del complesso carcerario di Tora-Tora obbligano i prigionieri a commettere sconcezze.
In Egitto ha preso piede un tipo di facciata religiosa nella quale il vero significato dell’Islam e’ stato cancellato dalle sue manifestazioni materiali. Gli impiegati statali egiziani e i funzionari governativi sono spesso scrupolosi nei loro doveri religiosi ma poi tollerano e tengono mano a elezioni truccate, infrazioni alla legge e torture ai carcerati. Un giovane medico americano mi ha recentemente raccontato che in un ospedale del Cairo alcuni sanitari troppo occupati bloccarono le porte con delle sedie per impedire che i malati ricevessero visite, e in Novembre il quotidiano egiziano Al-Masry riferi’ che dei medici avevano tranquillamente abbandonato i loro pazienti per andare alle preghiere del Ramadan.
E in mezzo a tutto questo gli egiziani devono vivere fra le stragi che avvengono tutti i giorni nelle loro infrastrutture fatiscenti. Alaa al-Aswani ha recentemente scritto sul giornale del Cairo al-Dastour che il numero dei "martiri" del regime ha ormai superato quello di tutti i morti delle guerre dell’Egitto contro Israele. Si tratta di vittime di incidenti ferroviari, naufragi di traghetti, crolli di fabbricati cittadini, malattie, cancri, avvelenamenti da pesticidi; e sono tutte vittime – dice al-Aswani – "della corruzione e dell’abuso di potere". E anche qualora il confine venisse aperto ai poveri palestinesi feriti (per poi rimettere in carcere a Gaza il personale medico dopo scaricati in territorio egiziano i sopravvissuti alle incursioni aeree) cio’ non cambierebbe il letame nel quale tutti gli egiziani sono costretti a vivere.
Sayed Hassan Nasrallah, il Segretario Generale della Hizbollah del Libano, se la e’ sentita di sollecitare gli egiziani a "insorgere a milioni" per aprire il confine con Gaza, ma essi non lo faranno. Ahmed Aboul Gheit, il debole Ministro degli Esteri egiziano, si e’ limitato a rimproverare sarcasticamente ai capi della Hizbollah di stare cercando di provocare "un’anarchia simile a quella che hanno creato nel loro paese". Ma lui e’ ben protetto, come il presidente Mubarak.
Il malessere di cui soffre l’Egitto e’ in molti sensi altrettanto cupo di quello che affligge i palestinesi. E la sua impotenza di fronte alle sofferenze di Gaza e’ il simbolo della sua propria malattia politica.
Articolo originale : http://www.independent.co.uk/opinion/commentators/fisk/rober t-fisk-the-rotten-state-of-egypt-is-too-powerless-and-corrup ...
Traduzione di Rilando M. |