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Notte di plenilunio

di Francesco Lamendola - 12/01/2009


 

È una notte fredda, freddissima d'inverno; il cielo è terso, limpido; sagome maestose di abeti si levano al di sopra di silenziosi giardini; e, su tutto, domina lo splendore della luna piena, grande astro brillante nel cielo della sua fredda luce madreperlacea.
I tetti delle case, le strade, gli orti sono coperti di neve e ghiaccio e i raggi lunari vi si riflettono, aumentando il chiarore innaturale della notte, sì che pare una luce inspiegabile promani dalla neve stessa, diffondendosi dal basso, mentre quella dell'astro notturno scende dall'alto ed entrambe si fondono in una enigmatica sinfonia.
E, su tutto, passa un vento gelido che pure sembra avere in sé, non si sa come, un remoto e quasi impercettibile palpito primaverile; come se l'inverno, ancora agli inizi, volesse elargire alla terra la lontana e tuttavia gioiosa promessa d'un nuovo inizio.
Circonfusa di splendore argenteo e attraversata dai fremiti e dai sussurri di un aspro, virile presentimento di cose nuove e dolcissime, la notte di gennaio si trasfigura in un paesaggio immenso, scintillante, fiabesco e si apre soavemente agli orizzonti di una felicità inesprimibile e travolgente.
Mai il mondo è sembrato più bello, più lindo, più solenne e al tempo stesso più armonioso e pacificato, di come appare in questa gelida notte di plenilunio, che sembra sgorgata dal prodigio di una divinità benevola e infinitamente saggia.

Una analoga atmosfera di sospensione e di magico incanto ha voluto esprimere il poeta greco Alcmane (VII secolo avanti Cristo) nel suo celebre «Notturno», che sfida il trascorrere del tempo  con la nitida bellezza dei suoi versi immortali (Fr. 89 Page):

Еύδоυσιν δ' όρέον κορυφαί τε και φάραγγες,
πρώονές τε και χαράδραι,
φϋλά τ' έρπέτα <τ>όσ<σ>α τρέφει μέλαινα γαι̃α,
ση̃ές τ' ορεσκω̃οι και γένος μελισσα̃ν
και κνώδαλ' εν βένθεσ<σ>ι πορφυρέας άλός
ευδουσιν δ' οίωνω̃ν
φυ̃λα τανυπτερύγων.

Ed ecco la traduzione italiana di Salvatore Quasimodo:

«Dormono le cime dei monti
e le vallate intorno,
i declivi e i burroni;
dormono i rettili, quanti nella specie
la nera terra alleva,
e le fiere di selva, le varie forme di api,
i mostri nel fondo cupo del mare;
dormono le generazioni
degli uccelli dalle lunghe ali.»

Immersa nella gran pace della notte d'inverno, pura come una fanciulla ignara di nozze, l'anima si libera dalle scorie che gli affanni della vita diurna le depositano senza tregua e, finalmente, spalancando lo sguardo intatto sulla meraviglia del mondo, ella vede.
Vede come non mai vede di giorno, quando il sole brilla alto nel cielo; vede con quella chiarezza con la quale un'anima riconosce un'altra anima, al di là di tutti i condizionamenti del corpo, e si incontra con essa da sola a sola, senza che alcun elemento superfluo la possa distrarre o turbare o confondere.
Dice Platone che l'anima incomincia a vedere realmente le cose solo quando gli occhi del corpo si chiudono; e così è dello spettacolo del mondo avvolto e incoronato dal fulgore della notte: solo allora esso rivela una parte del suo profondissimo mistero a coloro che lo sanno accogliere, in umiltà e reverente silenzio, colmi di lode e di gratitudine.
Tale è la legge misteriosa che pervade l'intero universo: solo quando si desiste dal cercare con i sensi, si trova veramente ciò che conta; solo quando si rinuncia all'attaccamento e al desiderio di possesso, si ritrova ciò che pareva perduto; solo quando ci si riconosce immensamente poveri e ignoranti, si viene riempiti dalla ineffabile ricchezza della Grazia.
È inutile chiedere con prepotenza, pretendere, gonfiare il petto e giudicarsi degni di conoscere: non si può essere postulanti e giudici al tempo stesso. Non sta a noi decidere se e quando siamo divenuti meritevoli di accedere ai livelli superiori della comprensione; è una forza che non viene da noi, ma da fuori di noi, quella che irrompe e ci introduce alla vita spirituale.
E non è il caso di afferrare la maniglia del portone e scuoterla con fare imperioso: non si aprirà perché noi lo vogliamo, ma solo se e quando saremo meritevoli di accedere all'interno del palazzo con tutte le sue meraviglie.
Noi, da soli, non possiamo fare niente: non è questione di volontà, e tanto meno d'intelligenza o di cultura; è, semmai, questione di mollare la presa e di lasciarsi prendere dalla benevola corrente. Allora, e soltanto allora, comincerà ad aprirsi in noi il terzo occhio, quello della vista interiore; e soltanto allora cominceremo realmente a vedere, e non a guardare soltanto.

Intanto le montagne se ne stanno accovacciate nella notte di plenilunio, tutte bianche di neve, come giganti addormentati nella malia di un incantesimo senza tempo e senza nome; dormono e sognano, anch'esse, nella luce innaturale che sgorga ovunque.
Mistero della notte: gli uomini, gli animali, le cose sognano, ciascuno il proprio sogno inafferrabile; ciascuno inscritto nello spazio magico di un altrove che nessuno sa di dove venga, e che pur giunge puntuale, ogni note, stendendo un velo sulla fronte dei viventi.
Ci si sente piccoli, infinitamente piccoli, davanti a tanta superba bellezza, a tanta maestà e, nello stesso tempo, a tanta soave pienezza; a uno spettacolo di così profonda e consapevole armonia, che ricorda quello di una donna la quale, dopo un lungo travaglio, ha partorito e contempla con infinita tenerezza la propria creatura.
La notte, infatti, e specialmente una notte di neve e di luna piena come questa, non trasmette soltanto il senso del mistero e dell'umana fragilità, ma anche quello dell'innocenza, della purezza. Infatti il convulso movimento del giorno scompare, scompaiono gli uomini con la loro febbre indomabile di azione, di possesso e di piacere; e subentra una gran calma, una gran quiete, un meraviglioso senso di pulizia e di pace.
La notte cammina in punta di piedi; in punta di piedi ruotano le costellazioni intorno alla Polare, lassù, nella sua algida bellezza settentrionale; in punta di piedi si muovono le uniche creature viventi che amano i raggi della luna, i gatti, scivolando silenziosi lungo i muri o saltando oltre le siepi, senza muovere neppure una foglia.
I gatti, compagni della notte: minuscole tigri elusive, che si muovono con la grazia e con la forza contenuta di chi è al corrente di una verità negata ad ogni altra creatura; di chi è in grado di percorrere un raggio di luna su fino al cielo e poi di ritornare indietro, recando seco un impronunciabile segreto.
Ma in questa notte gelida neppure i gatti si fanno vedere; tutto è immobile e silente.
Solo il vento, con la sua forza gagliarda e giovanile; solo il vento che soffia giù dai fianchi delle montagne, carico di tutti i sogni e di tutti i presentimenti del mondo, passa e ripassa incessante, carezzando ruvidamente ogni cosa al suo passaggio.
E i rami dei platani, spogli, dritti, quasi umani, che cosa vorranno mai dire; che cosa staranno sussurrando alla luna che sale lentamente nel cielo, brillando di una luce così intensa da far risaltare più netto il fondo oscuro delle sue valli e dei suoi mari?
Custodiscono il sonno degli uccelli i quali, incredibile a dirsi, riescono a scaldarsi nel nido, anche con questa temperatura di molti gradi inferiore allo zero?
Forse, semplicemente, stanno pregando; così come pregano gli abeti, laggiù, nel giardino; come pregano le strade, le case addormentate e i tetti ricoperti di neve ghiacciata; come pregano le colline boscose ricamate di candidi merletti e le montagne accovacciate nella notte, simili a leoni con la criniera abbassata, che sognano le loro lontanissime foreste tropicali.
Pregano anche le poche stelle che riescono a vincere il grande chiarore opalescente e brillano alte nel cielo limpidissimo d'inverno che pare una notte bianca del Circolo Polare.
Tutto sta pregando, nel silenzio della notte; ovunque si leva una concorde preghiera di lode e di ringraziamento.

Soltanto l'uomo ha la possibilità di dire no, di trarsi fuori dal coro sacro della creazione e di separarsi dalla universale preghiera di lode e di ringraziamento. E può farlo perché possiede il bene incommensurabile della libertà; perché la sua vocazione è quella di aderire autonomamente, responsabilmente, alla grande sinfonia del mondo.
Anche quando cade, perciò, vi è in lui una sorta di grandezza che rende pensosi; egli è la sola creatura che può cadere: ma anche la sola che si può rialzare!
Meraviglioso è lo spettacolo del cielo notturno, dei monti e dei boschi addormentati nel chiarore nottilucente del plenilunio; ma ancor più inesprimibile è la bellezza dell'anima umana, allorché essa si apre al senso del mistero ed accoglie in sé il germe dell'amore, capace di fecondarla e di moltiplicarne l'ardore e la tensione verso l'Assoluto.
Nessuno spettacolo naturale è superiore a quello dell'anima che si lascia fecondare dall'amore universale e che si avvia, trepidante come una vergine chiamata dallo sposo, verso il suo destino di impareggiabile splendore.
Di essa si può dire ciò che il Cantico dei Cantici dice della sposa terrena (4, 1; 7-9; tradizione dalla «Bibbia di Gerusalemme») :

«Come sei bella, amica mia, come sei bella! (…)
Tutta bella tu sei, amica mia,
in te nessuna macchia.
Vieni con me dal Libano, o sposa,
con me dal Libano, vieni!
Osserva dalla cima dell'Amana,
dalla cima del Senir e dell'Ermon,
dalle tane dei leoni,
dai monti dei leopardi.
Tu mi hai rapito il cuore,
sorella mia, sposa,
tu mi hai rapito il cuore
con un solo tuo sguardo,
con una perla sola della tua collana!
Quanto sono soavi le tue carezze,
sorella mia, sposa,
quanto più deliziose del vino le tue carezze! »