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Il prezzo delle arance nel deserto

di Alessandro Marmiroli - 12/01/2009



Devo confessare questa vergogna: sono partigiano, perciò odio chi non parteggia, come diceva Gramsci. Sto con chi a Gaza resiste, punto.
Non possiamo non dichiarare chiaramente la nostra posizione, che non cambia a seconda di come soffia il vento. In questi giorni il conformismo ha toccato l’apice, grazie alla moltitudine di commentatori proni alla logica del politically correct. Dichiararsi a favore degli assediati ma non di chi li difende, riconoscere il diritto a rivoler la propria terra ma negare quello di combattere per riprenderla, solidarizzare con Israele, condannare la sua violenza e giustificarne la risposta allo stesso tempo, appellarsi ai palestinesi affinché isolino gli estremisti sorvolando sul fatto che la maggior parte dei palestinesi si riconosce in essi... Gli unici coerenti sono coloro che da sempre urlano all’antisemitismo appena vedono una kefiah, poichè la loro idiozia è immutabile.
Ed è bastata qualche bandiera bruciata da pochi individui per far dimenticare, a quelli che hanno sempre una parola inutile per tutto, il motivo delle proteste e poter strumentalizzare i fatti a loro piacere. Blablabla di leghisti sull’invasione dei “terroristi” arabi (anche se a bruciar bandiere spesso erano italiani, non importa...) , sacerdoti che accusano l’intolleranza islamica e chiedono, con cristiana tolleranza s’intende, di vietare altre manifestazioni di confessioni non gradite. In mezzo, una marea di posizioni tutte rigorosamente a metà del fosso (pur di non prenderla, la posizione, ovviamente).
Un giornale locale offriva ai lettori una bucolica visione del deserto del Negev: “Quante vite hanno spezzato i razzi di Hamas in quel deserto che Israele ha saputo trasformare in un giardino di agrumi e rose”. Nel ’48 dal Negev, il novello stato israeliano deportò decine, forse centinaia di migliaia degli abitanti originari (che da allora in massima parte è ospite di campi profughi, sicuramente molti proprio nella scatola di sardine chiamata striscia di Gaza) e ne rubò la terra.
Forse, anche se allora la frutticoltura non andava forte, la popolazione locale non se ne faceva un dramma e campava comunque facendosi i fatti propri in casa propria, magari era meglio così per tutti, nessuno veniva cacciato e nessuno conviveva con razzi svolazzanti.
Ma chi se ne frega, e il panorama migliorato? Ora ci sono le arance, vuoi mettere?