Forse il «riscaldamento globale» non ci sarà. Alcuni meteorologi, ambientalisti convinti, hanno comunicato con imbarazzo che i ghiacci sono tornati ai livelli di alcuni decenni fa. Nel frattempo, fa piuttosto freddo, nevica molto, e piove abbondantemente.
Il nostro immaginario, che stava sviluppando fantasie tropicali, è di nuovo alle prese col gelo ed altri guai invernali. La psiche collettiva è abbastanza disorientata e confusa. Come condursi in scenari ambientali così mobili e incerti?
Il tempo, quello che fa e quello che ci si aspetta, pesa molto sulla psicologia dei popoli. I riti agresti, le danze della pioggia, i sacrifici perché il sole non si spenga, raccontano come le manifestazioni climatiche abbiano sempre ed ovunque preoccupato l’uomo. Esse, infatti, si collocano tra i fenomeni incontrollabili dell’esistenza, quelli che influenzano fortemente la vita dell’uomo, ma sono scarsamente condizionabili da lui.

L’autonomia dei grandi fenomeni climatici, capaci di sconvolgere interi continenti ma ampiamente indifferenti all’attività degli uomini, ha sempre preoccupato l’inconscio, ed anche la coscienza umana. I cambiamenti climatici, portando mutamenti e problemi anche profondi nella vita dell’uomo, hanno turbato e impaurito i livelli profondi della sua psiche, e hanno spinto la coscienza collettiva a chiedersi il perché di quei fenomeni. La risposta è stata duplice. Se i cambiamenti erano positivi, e provocavano raccolti più fertili e una vita più facile, i gruppi umani li interpretavano come un premio ai loro comportamenti e costumi. Una delle ragioni delle fortune (che hanno anche altre origini, ben più complesse), del monachesimo è stata questa: le terre attorno ai Conventi benedettini diventavano più fertili e ricche, e le proposte di vita dei monaci dunque più credibili.
Quando invece i cambiamenti climatici erano negativi, gli uomini si chiedevano quale era la colpa, il peccato, il comportamento negativo che aveva scatenato il castigo celeste.
Anche molta psicologia collettiva suscitata dal «riscaldamento globale» appare legata a una struttura di questo tipo. L’uomo, come nei miti tradizionali, attribuisce al suo comportamento la causa del fenomeno. Oggi, laicamente, parla di errore e non più di peccato; ma siccome nutre un oscuro (e giustificato) senso di colpa per gli eccessi dell’industrializzazione e le devastazioni naturali, ne deduce che l’effetto serra nasca da lì (mentre potrebbe non esserci affatto, o avere altre cause, che non c’entrano nulla con l’uomo).
In ogni caso, il fatto che l’uomo da sempre si senta responsabile dei cambiamenti di clima, spiegandoli con dei miti, a struttura religiosa, o scientifica (le scienze sono oggi le fedi più diffuse nel nostro tempo), ci fa capire come sia profondamente toccato da essi, e quanto incidano sul suo equilibrio.
Che fare dunque quando, come oggi nei nostri paesi mediterranei, ci si trovi in bilico tra due scenari diversi, uno tropicale e surriscaldato, ed un altro, proposto dalle cronache, di «ritorno del freddo», e delle stagioni?
L’equilibrio umano è sempre più forte quanto più i suoi comportamenti aderiscono alla realtà. Se la paura dell’effetto serra correggerà gli scempi contro la natura, sarà servita a qualcosa. Intanto, le grandi nevicate delle grandi città del nord insegnano a cittadini troppo indaffarati a muoversi più lentamente, a privilegiare vestiti comodi e caldi rispetto a quelli d’effetto, ma incuranti del clima. Soprattutto ci insegnano a guardare bene dove mettiamo i piedi (psicologicamente: su quale realtà ci si appoggi). Non è poco.