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Bot ai minimi storici e record del debito pubblco: si rischia la bancarotta?

di Ilvio Pannullo - 13/01/2009

Per la prima volta dopo poco più di 5 anni, i titoli di Stato a 3 mesi, con scadenza il 15 aprile 2009, registrano un calo di 0,805 punti all'1,659% lordo, mentre i BoT a 12 mesi sono scesi oltre il precedente minimo storico del giugno 2003 (1,860%), toccando la risibile quota di 1,84% d’interesse sul capitale investito. Mai nella storia del nostro paese il rendimento dei titoli di Stato era sceso tanto in basso. La causa di una così scarsa redditività è dovuta alla robusta domanda da parte degli operatori, con quasi 20 miliardi di titoli richiesti a fronte dei 13 miliardi offerti. La crisi finanziaria che tanto ha ridimensionato la credibilità del settore bancario ha, infatti, massimizzato lo scetticismo e la diffidenza degli investitori, che ormai vedono i titoli di Stato come l’unico porto sicuro e si precipitano in massa ad ordinarli.

Investire i propri risparmi in modo sicuro, parcheggiare quei pochi soldi che si hanno investendo in strumenti liquidi –-emessi da un debitore affidabile - a breve termine, in attesa di tempi migliori. Quale che sia il rendimento. E' questa la strategia - difensiva, prudente e attendista - dei risparmiatori, degli investitori istituzionali e degli operatori finanziari italiani ed esteri che hanno affollato ieri l'asta dei BoT, con ordini di acquisto che hanno superato di un terzo la quantità di titoli in offerta. Come se non bastasse giovedì prossimo si riunirà il Consiglio della Banca centrale europea ed un ulteriore taglio dei tassi d'interesse è dato quasi per certo. Per quanto, dunque, il rendimento di questi Bot possa essere basso, resta molto probabile che sarà ancora più basso nel prossimo futuro; dunque, si fa provvista prima che ciò accada.

Se questa è ovviamente una buona notizia per le casse dello Stato, è vero anche che una così bassa redditività, oramai di molto inferiore all’interesse riconosciuto su qualsiasi deposito bancario on-line, porterà inevitabilmente e in tempi rapidi ad una fuoriuscita di capitali in favore di titoli di Stato più redditizi, ma comunque ugualmente garantiti . Su tutti i Bund tedeschi. È di ieri, infatti, la notizia che a ottobre il debito pubblico italiano - secondo quanto risulta dal supplemento al Bollettino Statistico di Bankitalia - si è attestato a 1.670,6 miliardi, nonostante a settembre fosse stata registrata invece una contrazione (1.648,6 miliardi) dopo il record raggiunto in agosto (a 1.666,6 miliardi). E' il nuovo record del debito pubblico italiano. E non promette nulla di buono.

La costruzione di un avanzo primario - la differenza, cioè, fra le entrate e le spese pubbliche, senza considerare gli interessi da pagare sul debito - con caratteristiche di consistenza e stabilità, è una delle condizioni indispensabili per sostenere il processo di riassorbimento del debito pubblico e, dunque, abbattere la spesa per interessi, creando nuove possibilità d’intervento per le politiche economiche del governo. La contrazione in corso dell'avanzo primario sta, al contrario, spingendo nuovamente al rialzo il debito pubblico. Anche se l'ultima emissione di titoli di Stato è andata a buon fine, un'Italia fuori dal sentiero di riassorbimento del debito rimane enormemente esposta alla volatilità degli indici delle borse internazionali, rischiando il declassamento del debito da parte delle agenzie di rating.

I mercati finanziari internazionali rimarranno, infatti, fonte di grande preoccupazione per le economie di tutto il mondo, dovendo scontare tanto i postumi della crisi esplosa nel 2008, tanto il tentativo disperato, da parte della Fed e della Bce, di recuperare l’irrecuperabile attraverso politiche monetarie iperespansive. Gli inevitabili riflessi sull’inflazione e il conseguente crollo del potere di acquisto delle rispettive monete, rappresenteranno i problemi più feroci che gli Stati saranno chiamati a risolvere in questo nuovo 2009.

A ciò deve aggiungersi il fatto che ormai il debito italiano non è più prevalentemente interno, ma classato per quasi la metà presso operatori non residenti, per i quali è ipotizzabile una elevata reattività delle scelte finanziarie rispetto a fattori congiunturali. Tuttavia, se da una parte costruire e salvaguardare un consistente avanzo primario é indispensabile, per non abbandonare il sentiero del pieno controllo delle finanze pubbliche, dall'altra le misure anticicliche - quelle cioè miranti a ridurre l’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale - soprattutto sul fronte del tamponamento della disoccupazione e del sostegno della domanda delle famiglie, richiedono un aumento della spesa fiscale in deficit. Per evitare il peggio servono dunque soldi che non ci sono né ci saranno.

In una simile situazione il nostro efficientissimo governo ovviamente latita. Soprattutto in tempi di crisi, sarebbe necessaria, infatti, più trasparenza sull’andamento dei nostri conti pubblici. Una migliore comunicazione, oltre a essere sintomo di serietà, serve a rassicurare i mercati, dunque a ridurre lo spread fra il rendimento dei nostri titoli di stato e quello sui Bund tedeschi. Il Governo, tuttavia, ha scelto - forse per la naturale tendenza del nostro infaticabile premier - la strada della reticenza. Nonostante il forte deterioramento del quadro macroeconomico, non si registrano previsioni sull’andamento dei nostri conti pubblici da settembre. Questo fa apparire ogni dato di consuntivo molto peggiore di quanto sarebbe se si tenesse conto dell’andamento dell’economia.

In Italia il percorso di superamento della crisi è, infatti, molto stretto, perché su di esso pesa il vincolo macrofinanziario del debito pubblico. Quello che servirebbe è una moderna ricetta keynesiana adattata al nostro contesto. Solo così, il peggioramento dei saldi di finanza pubblica, che è normale osservare in fase di ciclo negativo, potrà avvenire senza compromettere le aspettative sulla dinamica futura dei conti. Viceversa potremmo correre il rischio di un declassamento del debito e l’inevitabile bancarotta in pieno stile argentina. In un momento tanto delicato per le economie di tutto il mondo, la ricetta del Cavalier Sorriso è, tuttavia, sempre la stessa: spendere e consumare anche se non si hanno i soldi per farlo. Verso la catastrofe insomma, ma con ottimismo.