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Tra i guerriglieri che controllano la Striscia di Gaza

di Guido Rampoldi - 15/01/2009

 

Il cielo appartiene a Israele, ma in città comanda tuttora Hamas. I suoi capi, i suoi guerrieri, escono dopo le nove di sera, quando scatta il coprifuoco. Di giorno non si fanno vedere, se non sul valico di confine con l'Egitto. Una decina, non uno in divisa. Un paio a piedi nudi. Gli altri in tuta da ginnastica; tre con una camicia avana di foggia militare. Imbronciati, diffidenti, ma nel loro modo rustico grati all'europeo che si affaccia da questa parte. Discutono a lungo se autorizzarti a raggiungere Gaza city a bordo di un'ambulanza, ma concludono che non è possibile, le ambulanze egiziane non fanno questo genere di trasporti e le ambulanze palestinesi non viaggiano tra il nord e il sud della Striscia: "Gli israeliani le mitragliano. Ma no, mica sempre. È gente civile, quella!", ghigna l'unico che parla l'inglese. Hanno l'aspetto di un gruppo di sbandati: eppure Hamas non sembra affatto allo sbando. A Rafah ha perso il municipio e le stazioni di polizia, spianati dalle bombe israeliane, ma non il suo potere di controllo.

Non riesce a garantire la pulizia delle strade, peraltro sporche anche prima della guerra. Ma se chiami il 100, l'equivalente del nostro 113, accorrono. Rapidi ed efficienti. Due giorni fa hanno arrestato un ladro di motorette, e non potendo metterlo in guardina perché non c'è più una guardina, l'hanno ammanettato ad un palo di ferro, in modo che i passanti potessero sputargli addosso.

Vista da questa città, la prima dopo il confine egiziano, la guerra d'Israele è molto più chirurgica di quanto si mostri in queste ore a Gaza city, ma altrettanto insensata. Non si può dire che l'aviazione israeliana non faccia sforzi per evitare vittime tra la popolazione. Ma avendo deciso di dare la caccia ad un nemico invisibile nascosto nelle città, e parte di quelle città, finisce per ammazzare soprattutto i civili. Così convince i palestinesi che nessuna pace, nessun compromesso, nessuna convivenza è più possibile con chi ammazza i loro bambini. O noi o loro, senti ripetere. O noi cancelliamo loro o loro cancellano noi.

 

Un tempo era il grido di guerra di quello che si chiamava il "fronte del rifiuto" poiché rifiutava l'esistenza di Israele. Ora lo trovi sulla bocca di palestinesi che avevano accettato l'idea di convivere con lo Stato ebraico. Forse l'ira sbollirà. Ma al momento la guerra sembra riunificare i palestinesi della Striscia sotto le bandiere che a Rafah sventolano da ogni lampione: le verdi di Hamas, le nere della Jihad islamica.

Non era così nelle prime giornate. Per capire perché sia cambiato l'umore di Rafah val la pena di seguire le tracce di un gruppo di poliziotti palestinesi che Israele ha inseguito con una specie di cecità omicida, tanto ostinata quanto stolta. Poliziotti di Hamas, ma poliziotti. Addetti al traffico, alla repressione dei furti, alla stesura delle denunce. Il primo giorno di guerra, quando l'aviazione israeliana li ha bombardati, i loro uffici ospitavano un gruppo di persone convenute per chiudere con un accordo amichevole un incidente di traffico nel quale un automobilista aveva ferito un passante, e a ragione di questo era stato arrestato. La bomba ha ammazzato un legale, un giureconsulto islamico, un medico incaricato della perizia, l'arrestato, un suo parente e vari impiegati.

I poliziotti sopravvissuti hanno trovato riparo in un edificio comunale, il "Parlamento della gioventù palestinese", costruito molti anni fa con l'idea di educare i ragazzi alla democrazia. È nel quartiere di al-Shabura, zona povera che tifa Fatah, gli avversari di Hamas. Non pochi abitanti di al-Shabura erano tra i duecento palestinesi che il 30 dicembre hanno trasformato il funerale di un militante di Fatah morto sotto le bombe in una furiosa manifestazione contro Hamas. "Hamas, tu hai provocato questa guerra, adesso fermala", scandivano. La notte del 31 una bomba ad alto potenziale ha sventrato il "Parlamento della gioventù palestinese". Ma la dozzina di poliziotti che per due giorni vi aveva dormito, non c'era. Sospettando che le spie avessero segnalato la loro presenza agli israeliani, i poliziotti si erano dispersi nella città. La bomba ha strappato a due palazzi la parete che affacciava sulla strada, devastato una cinquantina di appartamenti, ammazzato due abitanti, ferito altri venti. E convinto la gente di Fatah che il nemico non è più Hamas. Ora e sempre, è Israele.

I compagni degli otto bambini feriti quella notte, ieri avevano ripreso a giocare sotto il tronco di una palma mozzata dall'esplosione. Anche la vita degli adulti prosegue in una stralunata normalità. Restano aperti i barbieri, farmacie, negozi di alimentari; e il ristorante Bassam, di cui ieri abbiamo apprezzato la shawarma. Circolano automobili. Il corso è affollato. L'erogazione di acqua e di luce subisce sospensioni saltuarie in alcune zone. La campagna rifornisce ancora le bancarelle del mercato di zucchine, cavoli e arance. Il prezzo di alcuni generi di prima necessità, come lo zucchero, è triplicato. Il costo della benzina è raddoppiato, ed è aumentato in proporzione il numero di carretti trainati da cavallini e asinelli. Sui carretti, su rimorchi di trattori, famiglie si trasferiscono da zone pericolose ad aree più sicure, il marito alla guida, i bambini e la moglie (o le mogli) sul pianale.

Scappa soprattutto chi abita le case affacciate sulla linea di confine, lì dove l'aviazione israeliana martella giorno e notte, per distruggere le gallerie che passano sotto la frontiera. I boati che mentre scrivo scuotono le finestre di questa casa provengono appunto da quella zona. Un minuto dopo, dal walkie-talkie del ragazzo apparso all'improvviso una voce concitata annuncia che una persona è morta ("Un martire", dice più esattamente il ragazzo, militante di Hamas).

In centro conto sei palazzi colpiti dalle bombe. Palazzine come sbranate da fauci enormi. La "Scuola per figli di martiri e per orfani Daral Fadila", e la moschea annessa: erano vuote quando l'esplosione le ha sfondate. Un edificio a due piani, largo una trentina di metri. Prima di essere ridotto ad una rovina era adibito, mi dicono, a deposito per medicinali. Forse ospitava anche altro, e probabilmente l'aviazione ha colpito con cognizione di causa. Ma agli occhi della popolazione, Israele sta semplicemente ammazzando palestinesi. E questo sconvolge quegli abitanti di Gaza che magari non amavano gli israeliani, ma mai li avrebbero creduto capaci di tanto.

"Perché ammazzano i nostri bambini? Perché? E' incomprensibile", dice Nidal, un giovane ingegnere. "È tutto indecente", dice Abdullah Shiada, il direttore dell'ospedale. E i Qassam, i missili che Hamas spara dal centro di Rafah? "Giocattoli o poco più, al confronto delle armi con cui un esercito tra i più forti della terra attacca le nostre piccole città. Ci attacca con gli F16, con gli elicotteri, con gli aerei-spia che stanno fermi sopra le nostre teste pere 24 al giorno. Con le navi che sparano su Rafah dal mare. Con i tank che avanzano da est e ormai sono a pochi chilometri dalla periferia. Ieri hanno spianato il villaggio di Sofa, 35 case, ammazzato due palestinesi, di cui non riusciamo a recuperare i cadaveri, e fatto una strage di pecore.
L'Europa potrebbe chiamare la Protezione animali?".

Nei 18 giorni di guerra l'ospedale di Rafah ha ricoverato 440 feriti, 38 dei quali sono morti. Se si sottraggono a quei 440 i bambini (89), le donne (71), gli anziani e i non-combattenti, di numero imprecisato, si ricava il sospetto che Israele ammazzi soprattutto inermi. O almeno questa è la convinzione del dottor Shiada. Quale poi sia logica del tutto, in effetti non è chiaro. Qui a Rafah l'aviazione da due giorni bombarda soprattutto la zona limitrofa alla terra di nessuno tra Egitto e Gaza, lì dove sbucano centinaia di tunnel sotterranei. Ma quelle gallerie probabilmente non sono così fondamentali agli equilibri strategici come si vuol far credere.

Per quanta precisa sia l'aviazione, talvolta i suoi razzi colpiscono le case. Forse non va ascritto ad un errore il missile che secondo alcuni beduini sarebbe caduto due giorni fa in Egitto, proprio al di là del confine, e proprio nel momento in cui Gamal Mubarak il figlio del presidente egiziano, visitava il valico di Rafah. Se questo è vero, forse si è trattato di un avvertimento, nel linguaggio misterioso con cui Israele e l'Egitto si scambiano segnali in margine ad una blitz-krieg forse ancora indecifrata, o forse assai poco razionale.