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Chi salverà Israele da se stesso?

di Alessandra Colla - 15/01/2009

Fonte: alessandracolla

 

Ho trovato qui un bel testo di Mark LeVine, docente universitario di Storia mediorientale in California. Ho cominciato a tradurne dei brani, a tempo perso. Lo concluderò nei prossimi giorni, ma intanto posto quello che ho fatto finora, e che mi sembra interessante (non quello che ho fatto io, quello che dice LeVine).

Le motivazioni via via fornite da Israele per la sua ultima guerra nella striscia di Gaza restano oscure.
L’argomento della guerra puramente difensiva, tirato fuori solo dopo che Hamas ha interrotto una tregua di sei mesi, è stato contestato non soltanto da osservatori come Jimmy Carter ma persino da think tanks israeliani di centro-destra come l’Intelligence and Terrorism Information Center: un rapporto del quale, datato 31 dicembre 2008, confermava che la tregua del 19 giugno era già stata violata sporadicamente e non da Hamas bensì da “alcune organizzazioni terroriste”.
Al contrario, “l’escalation e l’erosione del regime di tregua” si sono verificate dopo che Israele ha ucciso sei membri di Hamas, il 4 novembre, in assenza di provocazioni; e dopo che, il 5 novembre, tutta la Striscia di Gaza è stata messa sotto un assedio di intensità senza precedenti.
Secondo uno studio congiunto dell’università di Tel Aviv e di un’università europea, l’assedio s’inserisce in uno schema più ampio che vede la violenza israeliana come la responsabile di almeno il 79% di tutte le tregue stipulate dall’inizio della seconda intifada, a paragone di un misero 8% imputabile ad Hamas o ad altre fazioni palestinesi.
Di fatto, il ministero degli esteri israeliano sembra rendersi conto che questo argomento sta perdendo credibilità.
Nel corso di una conferenza tenutasi giovedì 8 dicembre e che ha visto la partecipazione di una mezza dozzina di professori filoisraeliani, Asaf Shariv, il console generale d’Israele a New York, si è concentrato sull’importanza di distruggere l’intricato sistema di tunnel che collega il Sinai a Gaza.
Egli ha sostenuto che tali gallerie fossero “grandi come il tunnel Holland e il Lincoln”, e ha offerto come prova il “fatto” che attraverso di essi leoni e scimmie siano stati contrabbandati a uno zoo di Gaza. In realtà, i leoni erano due cuccioli drogati, ficcati in un sacco e trascinati in una galleria fino a uno zoo privato.

L’immagine che Israele ha di sé

L’affermazione che Hamas non accetterà mai l’esistenza di Israele si è dimostrata altrettanto inesatta, dal momento che i capi di Hamas hanno dichiarato esplicitamente la loro intenzione di farlo pubblicamente sulle pagine del Los Angeles Times o di formularlo ad un qualsiasi capo di Stato o giornalista disposto ad incontrarli.
Con ogni nuova famiglia di 10, 20 o 30 persone sepolta sotto le macerie di un edificio a Gaza, la credibilità dell’affermazione secondo cui le forze israeliane sono state costrette a derogare dal loro modo abituale di procedere, consistente nel ridurre al minimo il numero delle vittime civili, è in caduta libera.
Chiunque sia provvisto di una connessione internet può digitare su Google “Gaza humanitarian catastrophe” e accedere ai dati forniti dall’UN’s Office for the Coordination of Humanitarian Affairs in the Occupied Territories, per leggere migliaia di pagine che documentano senza ombra di dubbio la realtà del conflitto in corso, e la lunga durata dell’assedio a Gaza che l’ha preceduto.
La Croce Rossa, di norma scrupolosa nella sua riluttanza a colpevolizzare i singoli attori di un conflitto, ha invece criticato aspramente Israele per la sua politica volta ad impedire al personale medico di raggiungere i palestinesi feriti, alcuni dei quali sono rimasti intrappolati per giorni, morendo lentamente di fame tra le macerie di Gaza, in mezzo ai cadaveri dei loro familiari.
Intanto, le Nazioni Unite hanno categoricamente smentito l’affermazione israeliana secondo cui i combattenti palestinesi avrebbero utilizzato i locali della scuola dell’UNRWA — nel cui bombardamento, il 6 gennaio, sono morti 40 civili —, per lanciare i loro attacchi, e ha sfidato Israele a dimostrare il contrario.

L’ammissione di crimini di guerra

Inoltre, numerose e insolenti osservazioni da parte di alti politici e generali israeliani, compreso il ministro degli Esteri Tzipi Livni, che hanno rifiutato di distinguere tra civili, istituzioni e combattenti, sono state giustamente considerate come un’ammissione di crimini di guerra.
Infatti, rileggendo le dichiarazioni dei vertici militari israeliani che hanno pianificato l’invasione, è chiaro che vi è stata una decisione ben ponderata di entrare a Gaza dopo la distruzione delle infrastrutture — e, con esse, dei civili.
La seguente citazione, tratta da un’intervista con il maggior generale Gadi Eisenkot e apparsa sul quotidiano israeliano “Yedioth Ahronoth” nel mese di ottobre, dice testualmente:
«Eserciteremo un potere sproporzionato verso ogni paese da cui vengono sparati razzi contro Israele, e provocheremo danni enormi e distruzione. Dal nostro punto di vista questi [villaggi] sono basi militari», ha detto.
«Questa non è un’ipotesi. È un piano che è già stato autorizzato.»
Ora, causare “danni enormi e distruzione” e considerare interi villaggi “basi militari” è assolutamente vietato dal diritto internazionale.
La descrizione che Eisenkot fa di questa pianificazione, alla luce di ciò che succede ora a Gaza, è una chiara ammissione di intenti e di cospirazione per commettere crimini di guerra; e sommata con le osservazioni di cui sopra, e con molte altre, rende inattendibile ogni dichiarazione da parte di Israele secondo cui esso avrebbe cercato di proteggere i civili e di non impegnarsi in un uso sproporzionato della forza.

Violate le leggi internazionali

Sul terreno, le prove dimostrano in modo schiacciante che Israele ha sistematicamente violato una serie di leggi internazionali, compresi (e non solo) l’articolo 56 della IV Convenzione dell’Aia del 1907, il primo protocollo aggiuntivo della Convenzione di Ginevra, la Quarta Convenzione di Ginevra (più specificamente conosciuta come la “Convenzione di Ginevra relativa alla protezione dei civili in tempo di guerra del 12 agosto 1949″), il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, e i principi del diritto umanitario internazionale.
(…)

Mark LeVine su al-Jazeera